Spesso quando si parla di musica elettronica si tende inizialmente a collocare un determinato lavoro, artista o label nei due macro-gruppi underground oppure mainstream. Certo è che possono, nel tempo, passare dall’uno all’altro macro-gruppo di appartenenza. Ciò di cui andremo a parlare ora appartiene al macro-gruppo dell’underground e nel leggere quanto segue non troverete mai un qualcosa che abbia riferimenti nel mainstream.
Il Burn The Machine Festival è organizzato dalle due label berlinesi che per attitudine e scelta artistica meglio rappresentano il sottosuolo dell’elettronica cittadina e nazionale: Ad Noiseam e Subdivision. Arrivato alla terza edizione con grandissimi risultati, il festival si concentra sulla parte più oscura del suono e dell’immaginario. Sottoculture che partono dalla d’n’b, passando dalla dubstep, la breakcore, la dark-ambient e arrivando all’hard-techno, lasciando che il pubblico percorra tre giorni di buio e violenza sonora che solo poche altre realtà europee riescono a ricreare (viene in mente il Machinenfest di Oberhausen, sempre in Germania). Partendo dalla location, il Subland, da sempre chiamata dagli avventori berlinesi “The Beast of the East”, accoglie da ormai moltissimi anni realtà che abbracciano la d’n’b e la dubstep. Difficile vedere all’interno di questi adombri locali sotterranei, dei turisti, dato che il luogo è lontano anni luce da quella che può essere un’attrazione della notissima club culture berlinese. Enormi soundsystem sono sistemati sui dancefloor delle due sale come mostruosi robot che ti scrutano immobili. Proprio di robot tratta il Burn The Machine, tanto che nella giornata di sabato l’androide simbolo del festival viene bruciato nella parte esterna del club, tra fiamme alte tre metri, fuochi d’artificio che esplodono nel cielo, come ultimo baluardo meccanico di una guerra futuristica e ragazzi con occhi persi tra le vampe a sorseggiare birra insieme agli artisti che si sono esibiti, o che si dovranno ancora esibire.
Andando più nel dettaglio si può dire che la notte di giovedì è dedicata ai droni, alle sonorità dark-ambient, ma soprattutto agli ipnotici beat etnici di Shackleton che, per l’occasione, confeziona uno speciale set di due ore, un viaggio liquido in cui il pubblico è il serpente ondeggiante e l’inglese è l’incantatore che suona il flauto. Prima di lui i Nadja che, per l’occasione (il giovedì è Halloween), si presentano sul palco con delle maschere di cartone a forma di zucca confezionate home made. Com’era presupponibile i due canadesi sciolgono per un’ora ogni suono in rumore, ogni pizzicare di chitarra in un drone metal, supportati da una drum machine quasi fosse soltanto un’essenziale metronomo. La serata però, è aperta da Svarte Greiner, seguito da Subhein. Il primo, inginocchiato a terra dinnanzi ad una chitarra, diversi effetti e pedaline e un piatto da vinili, compone un’ambient introspettiva, d’ascoltare ad occhi chiusi. Il greco Subheim è accompagnato dall’amico producer Poordream, e si guadagna scrosci di applausi per una performance senza sbavature, tra percussioni acustiche, echi di stringhe e vocalismi mediterranei.
Il venerdì uno dei due palchi (se si possono chiamare tali due consolle ricavate da due piccole cabine protette da reti metalliche di una ex fabbrica) viene affidato alla selezione della label Ad Noiseam, mentre per l’altro ci si dedica rigorosamente alla techno, cui vedremo susseguirsi durante tutta la notte Patrick DSP, Mono.xid, il bravissimo D.A.V.E The Drummer che animerà il dancefloor con fucilate di potentissima hard-techno e altri. Nella consolle assegnata ad Ad Noiseam, vince il premio come miglior act Mobthrow. Il giovane ragazzo è preceduto da un Balkansky che tralascia il suo lato più sperimentativo a favore di un live set ricco di bordate dubstep. Come già detto, però, la coppa è per Mobthrow; il set è perfetto, mezz’ora iniziale di scuri riferimenti tribali, magnetiche ritmiche di percussioni e bassi profondissimi, che esplodono in un finale di death-step senza spiragli di luce. Segue Monolog, che presenta il primo album uscito giusto qualche settimana fa. Un set molto difficile considerando l’attitudine musicale del ragazzo danese, un torturatore di suoni, anche lui proveniente da un passato di band metal (come molti altri artisti nella line up del festival), ma anche appassionato di musica jazz e sperimentazione. Segue Igorrr, il ragazzo polacco fa heavy metal e grind, però usa sequencer per suonarli. Nessun doppio pedale, basso e chitarra, solo le dita e i controller a donare malefica breakcore. Il consiglio di chi scrive, se ancora non si conosce il soggetto in questione, è quello di ascoltare il suo ultimo lavoro “Hallelujah”, giusto per capire l’entità di violenza di ciò di cui si sta parlando.
Il sabato è il giorno della d’n’b, dunque la selezione di una delle due consolle passa tra le grinfie di Subdivion e dunque i nomi che si alternano sono niente meno che Dean Rodell, Counterstrike, Current Value e il primo progetto di Balkansky: Cooh. Insomma, nomi di producers che hanno preso la d’n’b così come venne concepita in principio e l’hanno fritta nell’acido, come per esempio il set di Current Value: disarmante. Necessità di tappi per le orecchie. Soundsystem in pericolosa e pericolante vibrazione. Seconda sala e seconda consolle commissionata a Surgical, one night fissa del Subland. Nomi quali Huron, una vecchia conoscenza di Berlino: idm macchiata da beats di future dubstep, mistiche sonorità per un viaggio liquido e leggero che è un po’ come cavalcare un enorme ratto nel silenzio spezzato dall’eco delle fognature di una grossa città, quando le zampe della bestia si poggiano tra l’acqua melmosa e stagnante del cemento dei condotti sotterranei. Oppure i Fausten, il progetto-duo tra Monster-X e Stormfield che si esibisce al gran completo (presente anche il visualist).Vestiti con camice Hawaiane e corone di fiori forse per accentuare il nero dell’ultra violenza gratuita del loro set, si avvalgono di proiezioni di bondage pornografico, vivisezione, torture, marce Ku Kux Klan, il tutto rigorosamente in bianco e nero, a sfondo di sonorità maligne, in cui i dettagli di ogni suono sono tracciati per scarnificare la pelle e l’udito. Seguono Diasiva e poi Stormfield a completare l’opera di spolpaggio.
In conclusione, l’immagine più vivida che resta impressa nella memoria di chi porta il peso di raccontare per Soundwall il Burn the Machine, è il falò che ha acceso il robot nel giardino, le fiammate che si sono alzate fra gli ultimi tentativi di resistere alla devastazione. Quello è il simbolo che racchiude l’immaginario di tutte le performance cui si è assistito. Una grande famiglia, quella che vede Ad Noiseam, Subdivison, Surgical e il popolo del Subland, in cui tutti paiono conoscersi e rispettarsi e dove, soprattutto, l’intero spazio viene dato alla musica, che può anche non essere abbastanza mainstream per raccogliere il grande pubblico, ma è vera e viva.