“5000 euro per fare una playlist: vergogna!!1!”: ecco, come prevedibile l’affaire Calcutta è scoppiato con tutto il suo fragore. D’altro canto, la notizia è troppo ghiotta, è una perfetta arma da condividi-anche-tu-sei-sei-indignato: anche perché te la puoi prendere con Calcutta (a cui non si perdona il successo, lui!, lui che arriva da una scena indie, lui che canta stonato, eccetera eccetera eccetera), te la puoi prendere con la ka$ta (nella fattispecie, il Comune di Bologna). Bingo!
Il via alla deriva “gentista”, comunque, lo ha dato proprio Repubblica, la testata che dovrebbe essere il primo bastione contro il “gentismo”, con una titolazione davvero carognetta dell’articolo in cui si annunciava il tutto, squadernando anche i costi (…o almeno, alcuni di essi): “Bologna, 5mila euro a Calcutta per fare la playlist del Capodanno 2018 (ma lui non ci sarà)“. Ecco, questo è pessimo giornalismo. Il giornalismo del condividi-anche-tu-se eccetera eccetera. Perché leggi una cosa così, e d’istinto ti sale l’incazzatura, vero? Ma se invece leggevi “Capodanno 2018: Calcutta sonorizza le strade del centro di Bologna”, la reazione sarebbe stata “’Anvedi ‘sti bolognesi, sempre un passo avanti”; eppure si sta parlando della stessa cosa. Strana la vita, vero? Ancora più strana quando ci si mettono i titolisti, a maggior ragione in un’era storica in cui ci si ferma al titolo per partire subito lancia in resta.
Proviamo a fare ordine. 5000 euro per stilare una playlist sono tanti, ma non tantissimi: vi sorprenderebbe quante gente è (stra)pagata per fare da consulente musicale a brand legati per lo più alla moda, il che guarda un po’ è né più né meno che stilare delle playlist. Altra cosa: il Comune specifica che nell’accordo è incluso anche l’appoggio dell’artista all’operazione tramite i suoi canali social, e un “personaggio” come Calcutta – controllate i suoi numeri social e il numero di like o cuoricini per post – al mercato delle vacche attuale degli influencer quei soldi occhio e croce li vale eccome. Perché sì, non crediate che chiunque sia un minimo vippaiolo (o si venda come tale) non si faccia pagare per post, oggi come oggi. I più morti di fame, pardon, di fama in semplice cambio merce, altri invece in moneta sonante. Se chiedete a noi, non vediamo l’ora che questo andazzo finisca, che i marchi tornino ad investire in pubblicità trasparente e non in scatti o testi finto-spontanei di questo o quell’influencer, ma per ora la situazione è questa.
Ecco, queste cose il titolo di Repubblica non lo dice, né ci arrivano tutti quelli che fanno gli indignati ad orologeria standogli dietro, chi in modo felpato chi con la bava alla bocca. Il problema però è un altro.
Parliamo in prima persona: chi vi scrive l’anno scorso è stato chiamato, guarda un po’, proprio dal Comune di Bologna per scegliere – assieme a due ottimi amici/colleghi, Marco Ligurgo direttore artistico di roBOt Festival e Salvatore Papa deus ex machina della redazione bolognese di Zero – chi far suonare a Capodanno in piazza. Una consulenza, insomma. Fin dall’inizio è stata chiara una cosa: non c’erano soldi. Lo sapevamo. Io mi sono prestato – ma penso lo spirito sia stato lo stesso anche per i due soci – perché comunque mi faceva piacere, perché Bologna negli anni mi ha dato molto e questo mi sembrava un micromodo per sdebitarsi, perché comunque non era male l’idea di stravolgere il format e chiamare a Capodanno non i “soliti famosi” (indie o mariadefilippeschi che fossero) ma delle persone che a) facevano musica di qualità, innovativa, non scontata ma comunque ballabile b) gente dalle richieste economiche molto basse, per dare un taglio ad alcuni grandi (eccessivi?) esborsi del passato. Considerate tutte queste circostanza, accettare una consulenza gratuita ci stava eccome. Il tutto figliò un Capodanno bolognese con Nas1 e Dj Rou: ancora oggi siamo orgogliosissimi della scelta: soldati cittadini della club culture di qualità ammessi al “salotto buono” nella sera più importante dell’anno. Grande.
Quest’anno il Comune ha cambiato format. Dicono: dopo i fatti di Torino di Piazza San Carlo, non ce la sentiamo di organizzare concerti o dj set in piazza (… mmmh, però in mille altre città italiane se la stanno sentendo: com’è ‘sta storia?). Sul pauperismo, mah: vengono stanziati 110.000 euro che, onestamente, non sono tanti ma nemmeno pochissimi. Di questi, a giudicare dall’articolo di Repubblica – che presumiamo informato – 7000 sono destinati all’agenzia privata di sicurezza per gli inevitabili controlli extra, 5000 per la famigerata playlist di Calcutta (più il push social), 5000 per la “selezione degli artisti” (l’anno scorso era zero: io, Marco e Salvatore i soliti fortunelli, nevvero?). Ok. Dove sono finiti gli altri 93.000? Tutti che servono ad incendiare il Vecchione? La vera domanda da “indignati” (stavolta per un motivo sensato) sarebbe più questa, non credete? Non invece incazzarsi per i 5000 di Calcutta (cioè, il principale nome musicale dell’intero Capodanno si prende, nella suddivisione di bilancio dell’evento, meno di un ventesimo? Stiamo messi bene, stiamo).
A me lascia perplesso più altro. Mi fa lascia perplesso più la foglia di fico de “i 5000 euro sono comprensivi anche della promozione del Capodanno bolognese sui suoi social”, come dichiarato dall’assessore alla cultura della città felsinea. Boh: Bologna ha proprio bisogno di infilarsi in queste dinamiche da fashion blogging? Proprio per la sera di Capodanno, poi? Ha bisogno che Calcutta ne parli bene, la “spinga” sui social? A mio modo di vedere, no. Il marketing territoriale ci sta: ma di solito si fa in modo meno grossolano. Qui, sembra più una scusa per giustificare un esborso di cui il Comune stesso non pare troppo convinto.
Invece era una scelta che poteva essere rivendicata. Oh sì. Fra i Comuni italiani, il Capodanno diventa spesso e volentieri una sagra dello spreco, una specie di anticipo INPS per balene spiaggiate, artisti che sopravvivono solo grazie alle apparizioni televisive o alle marchette in piazza o nei supermercati. Un progetto fresco ed innovativo con uno dei più interessanti/amati cantautori della nuova generazione non era manco male come idea. Meritava pure un investimento.
Col fatto che non c’era modo di pensare ad un live o dj set, come da scelta “conservativa” logistica del Comune, è nato l’escamotage delle playlist. Ora, sinceramente: non ci voleva Nostradamus per capire che la notizia strillata da molti (e da molti capita) sarebbe stata “Calcutta si prende 5000 euro per fare una playlist da un’ora, WTF”. Calcutta e chi ne cura gli affari potevano giocare d’anticipo, e dire o che purtroppo non avevano tempo, o che non gli interessava; o invece potevano accettare dicendo chiaramente “Accettiamo per un compenso simbolico: vero, il prezzo di mercato per una prestazione del genere sarebbe ben altro, ma il prezzo di mercato lo applichiamo ad un brand che deve vendere e fatturare, non per la festa in piazza di fine d’anno di una città che tra l’altro è da qualche anno la nuova residenza di Calcutta stesso”, prendendosi un gettone giusto a mo’ di rimborso spese, non certo 5000 euro.
Fosse stato così, ne sarebbero venuti fuori bene (quasi) tutti: il Comune che fa una cosa interessante e fuori dagli schemi spendendo poco (almeno per l’artistico…); Calcutta che faceva un “regalo” alla sua nuova città; non ci sarebbe stato bisogno di tirare fuori improbabili “promozioni del Capodanno bolognese” sui social (peraltro, ad oggi 29 dicembre non ancora partite: ehi, com’è ‘sta storia?).
Al tempo stesso, chi tira fuori forconi e ulula all’avidità di Calcutta o chiama lo scioglimento (…nell’acido, Travaglio style?) del Comune di Bologna farebbe bene a darsi una calmata. Sì, l’operazione è sbagliata sotto molti punti di vista, ve li abbiamo citati proprio in queste righe, ma in giro ci sono ben altri sprechi. Quella di Bologna, di Calcutta e della sua playlist diventa più che altro un’occasione mancata: per una serie di particolari minimi, una cosa che poteva essere una buona idea per un Capodanno diverso dagli altri e meno bollito è diventata, invece, l’ennesimo simbolo dello spreco e della malagestione, così come Calcutta è passato per avido (quando gli sarebbe bastato considerare prima gli effettivi contraccolpi negativi d’immagine per la cosa così come si poteva intuire sarebbe stata presentata), cosa che non è, si è giusto regolato ai livelli di mercato – su cui si regola il 99,9% degli artisti che partecipa ad eventi di Capodanno.
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Update: torniamo a far parlare la musica. Ecco qui la tanto chiacchierata playlist, svelata all’alba del 30 dicembre e fatta uscire in anteprima su Spotify: considerato il contesto, le richieste e la situazione complessiva, a noi pare un bel lavoro – anche col giusto sense of humour. Le considerazioni su tutta la questione restano restano, ma nulla impedisce di passare la parola alla musica. E a un Capodanno all’insegna del sorriso e del divertimento.