Carl Brave è un artista maturo, e ne è consapevole. Partendo dai temi più nostalgici, arrivando ad immagini fotografiche importanti, passando per la caciara, il produttore romano si è fatto conoscere sempre più al “grande pubblico”, proprio in virtù di una poetica difficilmente riscontrabile. Già intuibile e presente, il consenso per la musica di Carlo Coraggio però si è fatto sentire forte e chiaro proprio nell’ultimo tour, che ha visto una location d’eccezione: il teatro.
Abbiamo avuto il piacere, proprio in questo momento, che si inserisce fra la fine degli spettacoli e la preparazione di nuovi show, tra cui quello assolutamente non-teatrale di Nameless Festival a inizio giugno, di chiacchierare con questo artista.
Inizierei da una domanda banale, ma non troppo: come stai?
Mi sento bene, anche se mi si è appena rotto lo scaldabagno. Sto cercando di aggiustarlo, ma senza riuscirci, chiaramente. A parte gli scherzi, sono un po’ stanco, sto facendo un miliardo di cose, sto preparando ‘sto tour estivo e stiamo provando tutti i giorni 8/10 ore al giorno per portare un live diverso da quello che avete visto nei teatri, in cui siamo “incappati”. Stiamo cercando di fare una roba più “rozza”, più bora…
Più caciara, come dici tu!
Bravissima! Più caciara, ma anche più elettronica, o meglio, un mix tra acustico ed elettronica. Devo dire che stiamo lavorando bene: per fortuna, siamo a buon punto. Siamo tutti un po’ ansiati, anche perché siamo molto certosini. Abbiamo preso il ritmo, ed è quello che bisogna prendere: si inizia piano e man mano si sale, andando sempre più forte.
Stai lavorando con lo stesso team con cui hai lavorato per lo spettacolo nei teatri?
Assolutamente, sto lavorando con la stessa squadra. Sai com’è, “squadra che vince non si cambia“. Ormai ci conosciamo tutti bene, conosciamo le nostre peculiarità, i nostri pregi, ma anche i nostri difetti. Io giocavo a basket e vedo questo team appunto come una squadra: ognuno ha il proprio ruolo ed è bello, anche perché siamo tutti amici. Il saper organizzare, il far interagire varie qualità è quello che effettivamente gli sport di squadra ti danno: ti segnano, ti educano, proprio nella vita in generale. Puoi applicare ciò che ti insegna lo sport a tutto ciò che fai poi nella vita.
Quindi non ti stai rilassando dopo il tour nei teatri…
No, per niente.
Sempre parlando del tour nei teatri, io sono venuta ad una delle due date di Trento. Ho notato che molti pezzi sono stati riarrangiati in chiave jazz…come mai questa scelta?
A teatro volevo portare proprio qualcosa che si discostasse da tutto ciò che c’era in giro, da tutti i trend, da ciò che andava e che va in questo momento. Volevo cambiare la caciara e renderla più intima, più misteriosa, se vogliamo. Ho quindi cercato di ricreare e riarrangiare tutti i pezzi in maniera diversa. Mi sono, anzi, ci siamo, divertiti molto a farlo, a prendere cose che in estate nei palazzetti non puoi portare. Perché, diciamocelo, una roba jazz, un po’ “da localino” è molto impegnativa per il pubblico. Portarlo in questo modo, mixarlo al pop e alla musica moderna è stato un bel trucchetto.
Comunque ritengo che sia un lavoro davvero impegnativo, anche perché hai messo in gioco davvero tanti tipi diversi d’arte: non solo la musica, ma anche l’interpretazione teatrale, l’improvvisazione,…penso tu sia stato uno dei primi per quanto riguarda ciò che fai tu.
Per quello che è il mio mondo, sicuramente. Il fattore teatrale non è proprio considerato dal mio giro, dal mio mondo. O almeno, dai ragazzi della mia età. Che poi vabbè, non sono neanche più un pischello, ho quasi 30 anni, ma diciamo 29, per ora. Il teatro di solito è un passo che si fa dopo aver fatto i palazzetti, è un passo a cui si arriva con l’esperienza, è stato un rischio, una sfida. Poteva andare molto bene, com’è andata, ma poteva anche essere un fallimento…
Infatti sei stato molto…brave!
Io sono sempre molto brave in tutto quello che faccio. Per me l’importante è rischiare, se non rischi non puoi prendere il trofeo.
A teatro volevo portare proprio qualcosa che si discostasse da tutto ciò che c’era in giro, da tutti i trend, da ciò che andava e che va in questo momento
Hai preso anche delle “cantonate” nella vita?
Beh, ne ho prese duemila! Prima di avere successo, diciamola così, ho preso una caterva di porte in faccia, di pali e di “no”. Io ci provo da anni a fare questa cosa, e devo dire che arrivarci adesso è stato pure giusto, ci sono arrivato con un’altra testa. Ora so quanto conta quello che ho costruito finora. Se fossi arrivato al successo a vent’anni sarebbe stato completamente diverso: magari mi sarei montato la testa, non lo so. Insomma, è arrivato nel momento giusto, nel momento di maturità.
In “Notti Brave” possiamo dire che hai collaborato con artisti molto maturi, portando comunque anche una varietà stilistica importante. Volevi lanciare un certo tipo di messaggio dando l’opportunità a vari artisti di creare con te?
Certo, io cerco sempre ciò che io non ho nella mia musica. Io sono per prima cosa un produttore, e come produttore cerco chi può far svoltare, chi può indossare meglio le mie basi. Prendiamo “Fotografia”, avevo bisogno di una voce “bianca” per il ritornello, ho chiamato quindi Francesca (Michielin, ndr). Mi serviva anche però qualcuno che staccasse dal cantato mio e da quello di Francesca, quindi ho sentito Fabri Fibra: c’è sempre una ricerca musicale nei miei pezzi, cerco sempre qualcosa che non ho oppure qualcosa che sia diverso, che mi possa arricchire musicalmente.
Il processo con cui crei quindi viene prima dalla produzione e poi da tutto ciò che ne consegue?.
Sì, quasi sempre.
È veramente difficile incasellarti in una categoria, che poi in realtà io non sono molto favorevole a parlare di categorie…
Bravissima, nemmeno io. Secondo me non è giusto etichettare la musica, la musica di adesso comprende tanti sottogeneri, tanti sottogruppi: c’è un po’ di reggae, un po’ di hiphop, un po’ di rock, un po’ di tutto, è semplicemente musica!
Veniamo ai temi che affronti, secondo me sei poco astratto e molto realista. Io immagino che le esperienze della vita ti abbiano portato a tutto questo, più in particolare credo sia centrale per te il rapporto che hai con Roma. Ho notato che, di conseguenza, hai un modo molto fotografico di descrivere le situazioni. Ad esempio, quando dici “fiori cresciuti in mezzo ai sampietrini” in “Sempre in Due”…ci sta dentro di tutto, in primis, il voler sentirsi diversi rispetto ad una società indistinta e fredda rappresentata dai sampietrini, ma volendo c’è anche un accostamento ad Ungaretti (“Come questa pietra; del S. Michele; così fredda”)… Immagino tu abbia anche visto gli ultimi video di Liberato, stiamo vivendo, secondo te, un momento di evoluzione in senso artistico della musica?
Onestamente ad Ungaretti non ci avevo pensato, buono a sapersi (ride, NdI). C’è una nuova spinta, secondo me anche molto ghettizzata nei vari dialetti, nelle varie città. È però un ghettizzato che si apre al mondo, ormai non ci sono più barriere, ad esempio nel romano che viene ascoltato dai milanesi, così come il napoletano. Ormai Liberato è un fenomeno quasi mondiale, a mio parere. La musica è ripartita, ha subito una rivoluzione, che però riporta anche alle origini delle persone, delle piccole cose, dei paesi, dei dialetti, delle città.
Volevo arrivare proprio al dialetto, che è fondamentale nei tuoi brani. Come dici in “Posso”, non puoi esprimere facilmente un concetto in italiano, ma in romano sì. Immagino sia anche il tuo modo “speciale” di mostrarti e presentarti al pubblico, esprimendoti con la lingua che usavi da bambino nei contesti più intimi e familiari.
Sì, diciamo che il mio è un parla come magni.
Che poi, non so se sai che i PopX ti hanno copiato e pure citato…
Certo, chiaro che lo so (canticchia “Teke Taki”), grandissimi loro!
Possiamo aspettarci un featuring romano/trentino?
Chissà, mai dire mai nella vita! Tutto può succedere.
Cosa diresti invece al Carl degli inizi, di quando facevi il fonico, di quando lavoravi al mercato?
Cosa direi?! Mmm…”Bravo, continua così”.
E continuerai così?
Sì sì, assolutamente. Io sono un lavoratore, lavoro sempre, non mi fermo mai. Secondo me è quello il trucco in generale nella vita. Se decidi di fare una cosa, di puntare su quella e spingi sempre, anche quando le cose vanno male, anche quando tu non ci credi più, puoi farcela.
È molto difficile fare pop; copiare l’indie, invece, è più facile
Ti è mai successo di pensare di non farcela, di sentire la stanchezza? Insomma, nell’ultimo hanno hai fatto un tour e rilasciato due album…
Pensandoci, ho fatto un sacco di cose! In realtà comunque non ho mai provato questi sentimenti, io ci credo sempre, questo è il mio mantra. Mi ripeto sempre di crederci e che ce la posso fare, anche perché effettivamente adottando questo modus operandi di vivere sono riuscito ad emergere, quindi continuo così.
Immagino comunque che te la vivrai sempre con un po’ d’ansia, insomma, il mercato è molto saturo.
Assolutamente, il mercato è davvero saturo. Io mi sento comunque abbastanza diverso dal mercato, quindi sento di potermi giocare il jolly. Come hai detto anche tu prima, io non sono niente: non sono pop, non sono indie, non sono rap…e quindi questo va sicuramente a mio favore. Sono abbastanza unico.
È questa la qualità per poter farsi notare?
Sì, certo. È importante trovare il tuo modo di fare musica, trovare te stesso ed essere quello, sempre. Cercare sempre di emozionarsi, di evolversi, ma nel tuo. Quelli che seguono il trend arrivano sempre tardi, devono sempre inseguire. Ci sono una marea di copie che non riescono ad emergere…
Sì, magari non solo dal punto di vista radiofonico, ma anche da quello del pubblico….
Questo vale soprattutto nell’indie, nel rap, nella trap. Il pop è ancora più difficile, perché devi pure seguire un certo tipo di schema abbastanza standard, se vogliamo, però la gente che lo fa è molto forte, sono delle brande. Quindi è molto difficile fare pop; copiare l’indie, invece, è più facile.
Mah, secondo me l’indie è diventato molto pop.
L’indie è chiaramente diventato il pop, ma manca ancora qualcosa per entrare in radio ed arrivare al pubblico. Non saprei dirti quale sarà lo step successivo, magari non arriverà nemmeno. Nel pop esistono delle regole da seguire, ci sono delle strutture musicali ben definite e quindi non è così facile da prevedere in realtà.
Dato che parliamo di previsioni, quale sarà il tuo prossimo step, al di là del tour di cui abbiamo parlato inizialmente? Ti stai interessando a nuovi generi, a nuovi artisti?
Sì, in realtà sì, sto sperimentando.
Niente spoiler…
Brava, niente spoiler, sennò poi mi rubano le idee.