Carte scoperte sul tavolo verde già dalle prime parole in questo nuovo “Bignami d’esistenza” targato Casino Royale: “Io ora vedo e non prevedo aria di festa e apocalisse“. Questi versi, ci crediate o meno, sono stai scritti un attimo prima dell’apocalisse che c’ha investito negli ultimi sedici mesi. Fa impressione, vero?
Come abbia fatto Alioscia a prevedere tutto questo rimane un mistero, ma da sempre la “Locomotiva Royale” è una cosa viva, lanciata a bomba sopra i nostri tempi (spesso ingiusti e sicuramente incerti); e quando sei lanciato con i polmoni e i bronchi ben aperti allora respiri il presente col suo fumo, la sua inquietudine. Ne pitturi gli attimi. Ne cogli le sfumature. Questo hanno sempre fatto i Casino Royale. Questo sono i Casino Royale. Fondamentalmente, fotografi che arrivano prima di tutti sul terreno del conflitto, esteriore o interiore che sia.
Ed eccoli arrivare prima anche a sto giro allora, mentre gli altri radunano la troupe e caricano sul furgone macchine da presa loro sono invece già sul posto: “Schiacciati tra di noi proviamo a respirare” recita l’iniziale “Tra noi”: e cosa se non proprio il respiro e la difficoltà d’esplicare questa primaria funzione basic è stato al centro di questo folle e psichedelico periodo? Dai respiratori negli ospedali alle mascherine di tutti i giorni, fino all’“I can’t breathe” che denunciava in mondovisione l’ennesima brutalità della bestia umana.
Ancora il Conflitto? Certo. Eccolo il nemico invisibile, quello più ostico e bastardo, ovvero il NOI: “Contro me stesso ho combattuto” e “Ho perso il senso”, altra tematica ricorrente nella storia dei Casino (…do you remember “Protect Me From What I Want”?). Sì, perché il trovare il nemico sempre nell’altro è gesto facile e vile, ma sforzo immane a spesso doloroso è riconoscerlo dentro di noi. E qui il processo necessario è scendere giù in profondità, e ripulirci. Magari ce la si può fare, step by step. Rimettiamoci quindi al centro e guardiamo nella giusta direzione – perché non si vede mai l’alba ad ovest.
In buona tradizione Royale, tra l’altro, si sbagliano del tutto le tempistiche: questo disco in uscita i primi giorni di giugno è quanto di meno estivo si possa pensare. Non ci sono bibite fresche e gelati al cocco, non ci sono mari cristallini all’orizzonte (se non quello giamaicano dei bassifondi, trasfigurato e reso gelido). Ci sono, invece, le pareti delle stanze in cui abbiamo passato il lockdown che si stringono, e profili d’ombra che s’ingrandiscono.
(Il suono di “Polaris”; continua sotto)
Musicalmente, si ritorna a quei beat spezzati tanto cari ai ragazzi sul finire dei 90. Siamo un po’ più lenti con il battito, ma chi li segue da tempo e conosce i loro giri della morte musicali non può non ripensare al periodo glorioso della perla nera “CRX”, e quindi sì, volendo si balla anche, perché il fattore danza è sempre stato centrale nella loro musica – alla fine poi erano una tribù di rude boys inflippati per ogni scheggia impazzita di novità musicale che portasse dentro il levare, o un ricordo d’esso, e lo sono ancora.
As usual, zero spazio ad aperture commercial-radiofoniche, ma non ne avevamo dubbi: d’altronde non l’hanno fatto quando la logica lo chiamava, perché farlo ora? Ricerca e cura nei suoni più gusto e attenzione ai tempi sono il marchio fin dai primi anni ’90, e questo pattern si ripete. La novità in questo lavoro sono gli archi, maestosi (un plauso a Francesco Leali, sempre più a suo agio nei territori tra elettronica e classica, i tempi clockworkiani sembrano lontani, e a Giorgio Mirto), archi che creano quell’effetto cinematografico che rende il tutto una perfetta soundtrack per la “metropolitana poetica” dei testi e dei concetti. Una sorta di “Carpenter meets Morricone al Polo Nord“: pensiamo a una Coney Island con i guerrieri ancora in piedi ma in una alba gelida che preannuncia un’imminente fuga da New York, e nel cielo uccelli dalle piume di cristallo che volano su una ruota panoramica ghiacciata.
Sedetevi e mettetevi comodi. Non è “Musica Leggerissima” ma è, piuttosto, l’ennesima Polaroid difficile sul nostro tempo difficile. E magari occhio a fare vostro anche il supporto fisico: i packaging, pensati dal grandissimo DeeMo, sono spettacolari.