Siamo molto, molto affezionati alla Biennale Musica veneziana da queste parti: una realtà culturale che è – ovviamente, inevitabilmente, per mille motivi – legata a doppio filo col mondo della musica classica e “colta”, che non è esattamente il nostro mondo, chiaro; ma pur partendo da questo status, ha programmaticamente dato sempre spazio ad una idea di musica in grado di prendersi dei rischi, di scegliere strade non scontatissime e di accettare delle sfide. Il grande paradosso infatti è che la musica meno “classica” di tutte le musiche è, da decenni, proprio la classica contemporanea: quella che più ha voluto scardinare le sue stesse regole, esplorare timbri sonori anomali e strutture compositive atipiche, lambire i mondi dell’arte e della performance multidisciplinare. Più del pop, più del jazz, più del rap e, diciamolo, anche più del 95% dell’elettronica. Il problema è che lo ha fatto partendo dal suo stesso establishment (quel nucleo di operatori di settore, compositori, musicisti, giornalisti): ecco perché ha sempre dato l’idea di essere qualcosa di paludato, adulto, conservatore. Paludato forse lo è nei modi, adulto nell’età facilmente avanzata di parecchi gatekeepers ed anche in parecchie “regole non scritte”, ma conservatore lo è molto meno di quello che sembra, almeno musicalmente parlando. Da anni consigliamo a tutti di dare attenzione a quello che accade alla Biennale Musica, insomma: anche se sappiamo che è difficile convincere il lettore medio appassionato di elettronica, rap e black più o meno futuristica che sì, vale decisamente la pena andare ad un festival di musica di questo tipo. Con qualcuno però ce l’abbiamo fatta. E ci ha ringraziato parecchio.
Nel 2025 ad ogni modo forse c’è un argomento in più, dalla nostra. Superando i rumours psichedelici e divertentissimi – di cui vi avevamo dato conto – che volevano Giovanni Lindo Ferretti nuovo direttore artistico, il da poco insediato direttore del consiglio d’amministrazione della Biennale (la Biennale tutta, non solo quella Musica) Pierangelo Buttafuoco ha tirato fuori un coniglio dal cilindro: Caterina Barbieri.
(A voi la nuova direttrice artistica per il prossimo biennio della Biennale Musica di Venezia; continua sotto)
Sì: la “nostra” Caterina Barbieri. Artista dal talento cristallino e profondissimo, che si è fatta la ossa e il cursus honorum non nelle Accademie e nei “salotti buoni” della classica d’alto ma in festival tipo il Sónar. Artista che è stata anche criticata dalla sua scena d’appartenenza più stretta, in quanto accusata di essere sovraesposta solo perché giovane e donna, quindi naturaliter più mediatica e “vendibile”: una critica a nostro modo di vedere semplicemente infantile, immatura e sconfortante, se solo ci si prende il disturbo di uscire dai propri pregiudizi e di andarla a sentire dal vivo e di analizzarne la grande crescita artistica nell’arco degli anni. La Barbieri è brava davvero: punto.
Ma questo giudizio e questa disputa attorno al suo valore ed alla sua mediaticità abbiamo sempre pensato sarebbero rimasti delimitati al “nostro” terreno d’azione e confronto. Mai avremmo pensato – ma forse nemmeno lei l’avrebbe fatto, a maggior ragione considerando come lei dall’Italia si sia allontanata ben presto – che una istituzione di alto livello anche “politico” come la Biennale si accorgesse di lei, anzi, “accorgersi” è un eufemismo, visto che si è arrivati a tal punto da darle un incarico di enorme prestigio, l’incarico di prestigio per eccellenza: la direzione artistica di una sezione.
Già. Notizia di meno di un’ora fa, Caterina Barbieri è la nuova direttrice artistica della Biennale Musica veneziana. Lo sarà per la prossima edizione, quella del 2025, ma anche per quella del 2026.
Possibile obiezione critica: la Barbieri non ha una esperienza particolare come direttrice artistica, e la direzione artistica è un mestiere specifico, coi suoi segreti, le cose che si imparano con l’esperienza, le sue malizie. Ma questa obiezione critica scompare abbastanza rispetto al dato di fatto che finalmente, in Italia, viene premiato e riconosciuto nei giri-che-contano un talento giovane, contemporaneo, non legato alla politica ed ai suoi maneggi, sintonizzatissimo sul mondo contemporaneo reale ed anche, oh sì, sul mercato. Starà poi magari a lei farsi aiutare dalle persone giuste, scegliere i collaboratori e i suggeritori più adatti, per limare il difetto della non-esperienza, evitando il rischoi di farsi tirare per la giacchetta da vecchi lupi o insidiosi squali. Per quel poco che la conosciamo di persona, ha tutti i mezzi e le capacità per fare effettivamente così.
Insomma: questa è davvero una bella notizia. Chi la vede in altro modo a nostro modo di vedere ha una visione abbastanza corta. L’estabilishment musicale italiano che premia un talento che non ha mai fatto nulla per ingraziarselo, questo establishment, e che anzi ha per lo più operato all’infuori di esso per cercare un proprio posto nel mondo, nel mondo “nostro”: che sorpresa, è un plot twist tutto tranne che scontato. Poi boh, magari è accaduto tutto perché Buttafuoco voleva fare una scelta situazionista e si è ricordato, in modo randomico, di quella tizia che suonava le macchinette in qualche evento alla Biennale Arte; ed in effetti è difficile immaginarsi Buttafuoco stesso che si legge Resident Advisor soppesando tutte le polemiche fra i commenti sull’effettivo spessore artistico della Barbieri rispetto a, boh, Fennesz o Demdike Stare. Sia come sia, resta la realtà fattuale: il nuovo direttore della prestigiosa Biennale Musica veneziana è Caterina Barbieri, e dovremmo essere tutti felicissimi di questa scelta. Una ventata di aria fresca, un premio ad un’artista italiana rispettata internazionalmente – e la valorizzazione di entrambe queste caratteristiche, perché in Italia l’aria fresca e la valorizzazione dei nostri talenti (quelli veri, non quelli paraculati) spesso la buttiamo nei servizi igienici.