Che fortuna, per Milano, anzi, per chi ama la musica a Milano, avere Polifonic. Oh sì. Il festival nato in Puglia (in Valle d’Itria, prima edizione nel 2017) ed estesosi poi a Milano nel 2022 da sempre si è contraddistinto per l’alta, altissima qualità delle scelte artistiche. E di sicuro nemmeno quest’anno fa da eccezione. Lo si dà forse troppo per scontato, questo. In realtà in anni in cui i fee crescono vertiginosamente e l’attenzione del pubblico si focalizza su sempre meno nomi (…che per questo chiedono sempre più soldi) è un atto di coraggio, di convinzione e di quasi di “resistenza culturale” costruire dei cartelloni come fa Polifonic: ogni volta è infatti una line up che è un incrocio di hype e di ricerca, di stile e di conoscenza. Sempre di più, sempre meglio.
(Il Main Stage di Polifonic Milano in una edizione passata, foto di Vittorio La Fata; continua sotto)
Non è infatti solo una lunga teoria di nomi-del-momento (magari telecomandati dalle solite due, tre agenzie), ma non è nemmeno qualcosa che si nasconde dietro la formula del “Due, tre nomi forti che fanno vendere i biglietti, e poi il resto riempitivo”, che spesso sono due facce della stessa medaglia. Ogni singolo nome ha una storia, uno stile, una dedizione alla qualità assoluti. E tutto insieme concorre a far capire quanto la club culture possa essere – ora forse ancora più di prima – un linguaggio artisticamente sofisticato, sfaccettato, articolato, dove trovi insieme techno e house, rare groove e sperimentazione, recuperi inaspettati e collaborazioni esplosive, gente abituata da mo’ a girare il mondo perché è entrata nel “giro giusto” (per merito) ma anche chi è rimasto un mero eroe locale o è ancora un emergente, sì, ma cazzo se è bravo: tutto si tiene insieme. E non diventa un paciugo confuso ma un’esperienza profondamente appagante, nel momento in cui c’è una mano sicura e competente a comporre tutto quanto, a fare slalom tra budget e logistica, tra risorse in campo e risposta del pubblico, tra spalle larghe di chi organizza e capacità di stare indietro agli imprevisti.
Di imprevisti Polifonic ne ha affrontati in passato (con qualche passo falso, come raccontammo in modo trasparente in qualche caso, perché i report piattamente “embedded” qui non hanno cittadinanza) ma sbagliando si impara e, per quanto riguarda Milano, Polifonic ha anche affrontato una città viva e competente sì, ma ogni tanto pure un po’ sazia e schizzinosa: una città che guarda caso non ha mai troppo premiato i festival in generale (è un format che non ha attecchito, all’ombra della Madonnina: come mai? Troppi eventi durante l’anno? Troppi brand che offrono serate gratis? Troppo uncool godersi un festival nella città dove vivi e lavori, invece di farlo a Torino, a Barcellona, nel deserto californiano, in Olanda, a Tulum, in Vietnam?). Sia come sia, sarebbe il caso di togliersi questa “insostenibile leggerezza del sottovalutare” e darci dentro ad affollare gli ampi e comodi spazi del Parco Esposizioni di Novegro, alle porte della città, vicino a Linate, dove c’è tutto per stare bene. È successo anche negli anni passati delle edizioni milanesi di Polifonic, questo “sottovalutare”: non è che sia mancata l’affluenza, ma per quanto messo in campo come proposta artistica la partecipazione del pubblico per la declinazione milanese del festival può e deve essere di più, come già lo è da edizioni in Valle d’Itria per intenderci, dove c’è addirittura il problema di non farne troppa, di affluenza. Non è solo chic, Polifonic a Milano, o mondano (e lo è, ovviamente): è anche di sostanza, di ricerca, di spessore. È insomma un grande valore per la città, e per tutti i musicofili (reali, o autoproclamati) che la abitano quotidianamente. Giudicate voi stessi, e se un minimo ne sapete capite subito che le chiacchiere stanno a zero:
Scorrendo il programma, le nostre personali segnalazioni sono tutta la giornata di preview all’ADI Design Museaum (e non solo e non tanto per Jeremy Underground, quanto per il battaglione di casa nostra Bulma Brief, Vittilucchi, Dirty Channels), mentre per l’1 da mani euforiche in aria l’alleanza bulgara tra Kink e Raredub e sempre bello vedere Luke Slater. Il giorno dopo, applausi per dare il Main Stage a Turbojazz, ancora di più per aver portato quella che è molto spesso la cosa migliore successa al clubbing milanese nell’ultimo decennio, ovvero la serata Carnale, chiamando in campo tra gli altri il bravissimo GNMR e i fiammeggianti Fjaak; notevolissima anche la presenza di Chris Korda nel Magma Stage.
…però davvero: ribadiamo che ogni singolo nome nella line up che vedete sopra è prezioso, appropriato, intrigante. Ogni singolo nome. Sì: difficile costruire meglio un festival legato alla club culture di qualità, come proposta artistica. Ok che Milano non è la Valle d’Itria (lì l’appuntamento è tra il 25 e il 28 luglio, line up stellare per gusto pure lì), ma questo weekend – 31 maggio, 1 giugno, 2 giugno – se amate la musica e il ballo stiloso e di qualità fate rotta verso questa prima declinazione di Polifonic. Altrimenti non lamentatevi che la qualità non c’è più: un festival così a Milano non c’è mai stato. C’è stato altro: le epifanie lunghe un giorno stile Elrow e Circoloco (format planati da fuori e ripetibili in mille posti diversi), o le adunate spettacolari e muscolari grandi numeri targate Social Music City. Ok. Ma un festival così, no. Biglietti, qui.