Durante lo scorso Kappa FuturFestival, Burn ci ha invitato a scambiare quattro chiacchiere non solo con un buon manipolo di partecipanti alla Burn Residency (a proposito: il nostro Lorenzo De Blanck si è fermato sul podio, arrivando fra i primi tre classificati, il vincitore assoluto per il 2017 è il turco Furkan: complimenti ad entrambi) ma anche con uno dei suoi neo-arruolati ambasciatori: “Ti interessa fare un’intervista al volo con Seth Troxler?”. Certo che sì. Per più motivi. Perché ormai ci si conosce bene, ci si è incontrati più volte (anche non per interviste; e il più delle volte si è finiti col parlare di musiche non prevedibili, tipo dissertazioni sui Violent Femmes o su altre faccende che mai ricondurresti a techno e house). Perché Seth è una persona molto simpatica. Perché Seth, dietro alla simpatia e alla cazzoneria, è anche una persona intelligente e con una sensibilità superiore alla norma. E perché, di conseguenza, anche le interviste ufficiali con lui spesso sono diverse dalla solita routine “disco nuovo da promuovere / ho aperto una label / wow che serate fighe che sto facendo”. Ecco che allora il sottoscritto e Seth si sono ritrovati in un corner dietro il Burn Stage poco prima che iniziasse il suo (ottimo!) back to back coi Martinez Brothers e, tra mille interruzioni per amici che passavano e svariate risate per divagazioni che insomma non finiranno su questa pagina, ne è venuta fuori una chiacchierata che aiuta, ancora una volta di più, a capire come Troxler sia in ogni caso uno che ci tiene a non cadere nel cliché del dj di successo ricco, contento e annoiato. Proprio ieri la serata al Pikes Hotel, ad Ibiza (posto incredibile!), faceva anche un po’ da scusa per festeggiare il suo compleanno, che cade in questi giorni: lo omaggiamo allora così, dandogli modo di far vedere quanto sia una persona a trecentosessanta gradi. E quanto la sua emotività, il suo essere flamboyant, sia anche al servizio della consapevolezza. Tanti auguri, Seth.
Insomma, le cose continuano ad andare avanti alla grande Seth. Siamo qua, stai per suonare assieme ai Martinez di fronte a migliaia e migliaia di persone, sei headliner un po’ dappertutto in giro per il mondo…
Ma lo vedi? E’ pazzesco, cazzo. Incredibile. Guarda: proprio con questo 2017 sono dieci anni che mi sono trasferito in Europa. Sono successe tante di quelle cose che… davvero, non avrei mai immaginato di essere dove sono ora, di aver fatto tutto quello che ho fatto, raggiungendo quello che ho raggiunto. E ora, con l’età, metti su anche un po’ più di consapevolezza: quindi ti rendi conto meglio di quello che stai vivendo e delle conquiste a cui sei arrivato. Te le godi di più. Al tempo stesso, ne capisci anche meglio i lati negativi e superficiali. La strategia per giocarsela al meglio? Ricordarsi che devono essere arte, gioco e creatività a guidarti. Il resto viene dopo. Il resto inganna.
Non hai infatti la sensazione, ogni tanto, di essere finito in un meccanismo enorme, incessante, potentissimo, da cui è molto difficile uscire?
…che poi, tanto per non farmi mancare nulla, gestisco pure tre etichette discografiche…
Ecco, appunto.
Non lo so. Non so che dirti. Di sicuro ho un team eccezionale di persone che lavorano per me. Senza di loro non potrei fare nulla. L’idea iniziale, la spinta, è quella di dare vita a proprie idee, a proprie intuizioni: un’esigenza che il sento di continuo, ho sempre bisogno del brivido del “E’ una buona idea? E allora facciamolo!”, ecco perché non mi fermo mai. Se mi fermo, mi sento perso. Se mi sento perso, mi deprimo. Se mi deprimo, smetto di essere creativo. Capisci? E’ vero, è un meccanismo grosso, è un meccanismo potente e qualche volta pure eccessivo, ma cerco di sfruttarlo a mio vantaggio.
Ok, le tue idee. Capisco la voglia di portarle avanti, di renderle concrete. Domanda: cosa hanno di speciale? Perché “meritano” di essere portate avanti?
Se non altro, sono molto personali. Perché nascono sempre dal mio tentativo di interpretare le sensazioni che sto provando. Io sono una persona molto emotiva: attraverso l’arte e la musica, riesco a trasmettere, anzi, a tradurre alle altre persone queste mie emozioni. Le condivido. L’alternativa sarebbe tenerle tutte per me, e diventerebbe un fardello molto pesante. Perché sono tante, escono a getto continuo.
Però a questo punto devo proprio chiederti: e se fossi rimasto negli Stati Uniti, oggi che persona saresti? Cosa sarebbe stato di te?
Ogni anno che passa, sto diventando sempre più preoccupato su tutto ciò che è politica. Sono abbastanza sicuro che se fossi rimasto a vivere negli Stati Uniti, oggi sarei una persone ancora più radicale, molto più radicale. Stiamo vivendo anni preoccupanti, sempre più brutti. C’è una inquietante ascesa dei populismi un po’ dovunque – anche da voi in Italia, no? Se poi pensi che la storia spesso si ripete, procede in circoli, c’è davvero da preoccuparsi, da tenere la guardia altissima. Ho letto delle considerazioni molto interessanti di Noam Chomsky: dice che stiamo vivendo una fase storica inedita ed incredibile. Prima c’era un’unica arma di distruzione di massa: la bomba nucleare. Ora ce ne sono due: sempre la bomba, ma ad essa si è aggiunto tutto ciò che è intelligenza artificiale. Perché l’intelligenza artificiale ha l’incredibile potere di manipolare ed indirizzare la realtà, come mai in ere passate. Credo che stiamo vivendo una fase storica cruciale e mai vista prima: sui manuali di storia, nei prossimi secoli, si parlerà di noi.
In tutto questo, i dj possono fare qualcosa? O meglio in fondo che pensino a fare bene il proprio lavoro, lasciando l’analisi e l’impegno politico a chi lo fa di mestiere?
Io penso che se credi fermamente nelle tue idee, e se in generale in quello che fai dimostri la capacità di saper comunicare con le persone, entrare in contatto emotivo con loro, non c’è nulla di male nel tentare di diffonderle il più possibile, queste idee. Bello fare i party, bello vivere i party, figo, fighissimo: ma dobbiamo renderci conto che possiamo essere, anzi, siamo una comunità. Una comunità per giunta molto particolare, con due punti incredibilmente significativi: una comunità legata all’inclusione e allo stare bene da un lato, una comunità legata strettamente al progresso tecnologico dall’altro. Abbiamo insomma tutti gli elementi per essere la cultura più aperta, progressista ed innovatrice in assoluto. La club culture oggi può essere questo, è nel suo DNA. E’ una cultura che guarda al futuro, e al tempo stesso è radicalmente ed intimamente inclusiva – o almeno dovrebbe esserlo. Il grande macrocosmo techno può essere questo.
Tutto molto bello. Però la mia impressione è che queste splendide – e giuste – condizioni di principio siano in realtà molto influenzate (e limitate) dalle regole di mercato. Che sono sempre più invadenti e sempre più stringenti, e questo ormai da abbastanza anni, qui nel mondo della techno.
La tecnologia è un’arma a doppio taglio. Prendi i mezzi di comunicazione odierni, prendi l’onnipresenza dei social network: dovrebbe aiutare, in realtà spesso e volentieri intorbidiscono le acque, rendono tutto più confuso e melmoso. Sai qual è il punto? La tecnologia rende più facili e divertenti molte delle cose che facciamo. Bene. Ma quello che ci dimentichiamo sempre di chiederci: quanto costa, tutto questo? Per avere le cose più facili, più semplici ed immediate cosa stiamo sacrificando di noi e della nostra vita, della nostra umanità? Vedo troppe poche persone che se lo chiedono. Vedi, io potrei dedicarmi a giocare al “Game Of Thrones” della club culture: chi ha la label più grande? Chi il party più di successo? Chi la residenza più prestigiosa? Chi il cachet più grosso? Al diavolo tutto questo. Non voglio essere ricordato così. Non voglio essere ricordato come un “grande”, come uno dall’ambizione smisurata. Anche perché ‘sta gente qua, credimi, spesso invecchia molto male, sfiorando – se non superando – il ridicolo. Non voglio fare questa fine. Voglio essere ricordato come uno tranquillo, rilassato. E voglio essere ricordato come uno che si pone sempre delle domande e cerca sempre di dare delle risposte ai problemi veri che ci circondano, non alle cazzate. I problemi che affrontano quotidianamente le persone normali. Che poi sono la stragrande maggioranza. Anche la stragrande maggioranza di chi ci ascolta, e ci dà un grande supporto.
Tra decennali della tua permanenza in Europa e altre ricorrenze, forse siamo nel trip giusto per una domanda del tipo: ok, ora siamo qui, ma fra vent’anni, tipo nel 2037, dove sarà Seth Troxler?
Wow. Vent’anni. Faccio anche fatica ad immaginarlo. Spero di essere ancora un artista, ecco. Ma difficile poterlo dare per scontato: perché davvero, dove ci porterà la tecnologia? Dove ci porterà il progressivo processo di automazione del lavoro? Che conseguenze avranno e come saranno gestiti i flussi migratori? E che flussi saranno? Perché sono persone che cambiano nazione e continente in cerca di lavoro, ma fra vent’anni ci sarà ancora il lavoro, così come lo conosciamo oggi? O sarà quasi tutto in mano ai robot? Perché c’è anche il rischio che fra vent’anni il 99% della popolazione sia in povertà vera, con la ricchezza nelle mani di pochi ricchi e persone che vivono di rendita, e tutti gli altri a soffrire, a cercare giusto di sopravvivere. Questo è lo scenario più apocalittico. Nello scenario migliore, trionferà invece il socialismo, un socialismo aperto, tollerante, inclusivo, dove tutti lavorano e tutti si sentono parte di una comunità globale. In quel caso sì, in quel caso sarebbe davvero bello essere ancora un artista…