Rientriamo in quella categoria di persone che, pur adorando in modo viscerale il concetto di “clubbing” in senso lato, proprio non riesce a capire chi, mosso da una passione evidentemente accecante, ne fa una questione di vita o di morte, scivolando spesso in commenti più vicini al tifo da stadio che da fruitori-alimentatori di un ecosistema che sa essere tanto magico quanto elettrizzante. È una cosa che capita più spesso di quanto immaginiate e il polverone sollevatosi non appena lo Zu::bar ha comunicato la decisione della questura pescarese di chiudere il club per novanta giorni non ha fatto certo eccezione, specie perché il provvedimento arriva a pochissima distanza da una precedente interruzione “preventiva” (che ha portato gli organizzatori a spostare il party con Raresh a Tipografia), durata appena un paio di settimane.
Ma il problema, purtroppo, non sta tanto nella reazione di chi il club vorrebbe viverselo senza questo tipo di vincoli o barriere, piuttosto in quanto viene fuori a margine di una lettura più critica dei fatti, almeno quelli appresi attraverso il comunicato apparso martedì scorso appena prima dell’ora di cena:
Poche righe, nessun vittimismo e una sola parola su cui ruota l’intero pensiero di chi, da cinque anni a questa parte, si è messo al lavoro per fare di Pescara se non uno dei poli internazionali, almeno uno dei centri italiani più validi e interessanti – soprattutto in relazione alle risorse umane e culturali da cui attingere e su cui far leva. Bene, quella parola è “ipocrisia”, ma non nell’ottica cittadina a cui (ovviamente) lo Zu::bar tutto fa riferimento, piuttosto con quella di una società spesso incapace di capire i propri limiti, le proprie pecche e i suoi più terribili difetti e sempre pronta ad addossare a qualcuno/qualcosa la responsabilità dei propri errori e delle proprie mancanze. Punire un locale con tre mesi di chiusura non è di per sé un atto di forza incomprensibile, spesse volte le misure adottate sono perfettamente in linea con le leggi da applicare, e dal nostro punto di vista non è possibile determinare chi abbia ragione in questa circostanza; ma c’è una cosa su cui vorremmo che ci interrogassimo tutti, dal clubber-ultras a quello da tastiera: applicare la legge in modo tanto scrupoloso quando si ha a che fare col mondo della notte, a quali benefici reali può portare se i provvedimenti non sono adeguatamente supportati da politiche di informazione e prevenzione? Senza vestire i panni delle vittime sacrificali, dal momento che siamo troppo intelligenti per indossarli, sarebbe bello veder applicati lo stesso rigore e la stessa fermezza anche negli ambiti considerati “meno problematici”, ma non per questo più sicuri.
È presto per sapere cosa sarà dello Zu::bar una volta giunti al novantunesimo giorno, così come passa in secondo piano qualsiasi riorganizzazione del calendario degli ospiti (alcuni, credeteci davvero importanti). Sembrerà un’utopia, ma se c’è una cosa ad oggi ci auguriamo davvero si realizzi, spazzando via qualsiasi presa di posizioni acritica e superficiale da tutte le parti chiamate in causa, è che finalmente si raggiunga il dialogo. Tra chi tutti i weekend alza la serranda e fa dell’entertainment notturno il proprio business, chi quelle mura le vive come cliente e ha il dovere innanzitutto di rispettarle e chi, con tutta probabilità, è chiamato al compito più difficile di tutti: essere giusto a garanzia di chi il club lo vive e di chi proprio quello stesso locale l’ha sempre evitato.
Tutto questo ovunque, non solo a Pescara.