L’ansia originaria, per molti, è semplicemente quella di essere bravi cittadini: seri, maturi, responsabili, che pensano al bene comune. Perfetto. C’è un problema, però: il confine che separa quest’ansia positiva dalla silenziosa soddisfazione di sentirsi degli sceriffi che fanno rispettare gli ordini è molto, molto sottile. Così sottile che spesso si sta sia al di qua, sia al di là.
Non è sano, farlo. Non è sano – né scientificamente provato – dare per scontato ed ineluttabile che dopo i festeggiamenti in Duomo per lo scudetto dell’Inter, con 30.000 persone dichiarate in piazza, arriverà una “quarta ondata”. E’ sicuramente sano dire che sia stato inopportuno quanto è successo, che era meglio se non succedeva. Era meglio se non succedeva per motivi sanitari, perché abbiamo ancora troppe poche certezze su come si trasmetta davvero il virus. Soprattutto, era meglio se non succedeva in rispetto alle persone che coscienziosamente stanno rispettando le indicazioni legislative. Indicazioni di cui, chi è sceso in piazza, se ne è fottuto o – diciamo così – le ha “dimenticate”. Mastica amaro chi è chiuso da anno e passa, o lavora a singhiozzo; mastica amaro chi ha visto una diminuzione di fatturato drastica e drammatica, da marzo dell’anno scorso, una riduzione di cui ancora non si vede fine. Quella piazza lì, è uno schiaffo in faccia.
L’indignazione però è sempre più un lusso. Ci gratifica, ma non serve a un cazzo. Non si può tornare indietro: l’invasione da festeggiamenti di Piazza Duomo a Milano c’è stata, nulla o nessuno la può smaterializzare a posteriori. Non si può nemmeno auspicare – a meno che non si voglia tornare al parafascismo – ad uno stato di polizia per cui tutti i partecipanti alla festa siano identificati tramite videofilmati, e di conseguenza arrestati. Sì può ma non si dovrebbe scatenare l’odio sociale, l’odio tra cittadini (…e non serve spiegare oltre, speriamo. No?).
C’è una cosa che si può e si dovrebbe fare, invece. Ovvero: tenere monitorata molto, molto attentamente la situazione pandemica milanese da qui a venti giorni, visto che venti giorni approssimativamente – da quel che ne sappiamo ad oggi – è il tempo di manifestazione di diffusione del contagio. Ci sono troppi elementi che confermano come la famosa Atalanta-Valencia a San Siro, con decine di migliaia di bergamaschi ammassati sugli spalti, abbia contribuito pesantemente al dramma vissuto l’anno scorso dai territori orobici (anche se tutt’ora non è del tutto chiaro perché la Val Seriana sia stata colpita più di altre zone). Ma è anche vero che qualche mese più tardi i festeggiamenti per strada a Napoli per la vittoria degli azzurri in Coppa Italia, poco sobri e molto assembrati, non hanno portato ad un boom dei contagi. Come mai? Perché?
Questo dovremmo chiederci, laicamente (e responsabilmente). Invece di abbandonarci alla rabbia sorda ed idrofoba – soprattutto se non si fa parte di categoria direttamente danneggiate in maniera grave, leggi povertà, o chi ha drammaticamente perso amici e parenti causa Covid. Usare tutte le energie solo per esprimersi con rabbia contro chi era in piazza, o contro Sala che non ha blindato la città (…ma ci si chiede cosa sarebbe successo se la città fosse stata blindata? Le autorità di polizia invece questi calcoli li fanno eccome, visto che poi per strada ci vanno loro), o contro chi tenta di avere un approccio un po’ più asciutto alla questione e non si abbandona all’indignazione alzo zero, è un modo di passare al di qua del confine di cui parlavamo all’inizio – dalla parte sbagliata. Dalla parte che vuole solo fare lo sceriffo del web. Sentendosi investito di un’autorità di controllo, conoscenza e sentenza che vivaddio nelle democrazie non spetta ai cittadini, ma alle autorità preposte (che peraltro sbagliano pure loro, per mille motivi… ma i cittadini mediamente sbagliano di più, perché non hanno una conoscenza “tecnica” sulle cose, anni di populismo dovrebbero avercelo insegnato, ed è questo che la politica populista che insegue sempre e solo la “pancia” popolare del momento è ancora più velenosa e disprezzabile).
Poi si possono fare mille considerazioni su come al calcio si perdonino cose che alla musica e al divertimento legato alla musica (e non solo) non si perdonano. Si possono elencare parecchie discriminazioni su come gli stadi e il tifo siano zona franca mentre le discoteche sono ancora soggetto ai TULPS di epoca fascista (e questo l’ha ricordato pure Fedez sul palco virtuale del Primo Maggio, un passaggio molto interessante che non è stato notato, sepolto dalla polemica sulla Lega e sul DDL Zan). Si possono, e si devono. Ma la vera priorità era ed è – mettiamocelo bene in testa – trovare le condizioni scientifiche e sanitarie per gestire e superare la pandemia. La nostra stella polare dovrebbe essere questa, con la consapevolezza che al momento tutto il resto è importante, significativo, ma accessorio. La priorità ora non è tappare tutti in casa stile Wuhan, ma strappare il prima possibile minimizzando i rischi pezzi di ritorno alla vita. I tifosi dell’Inter hanno sbagliato tempi e modi per farlo; senza volerlo (o senza pensarci) hanno sputato in faccia a chi le regole le rispetta e/o ne è vessato, ma in questa precisa fase c’è una cosa che è molto più decisiva di parecchie altre: capire che tipo di conseguenze ci saranno dopo aver radunato 30.000 persone festanti in piazza.
E questo non lo sa nessuno ancora. Men che meno chi scrive “Eccola, la quarta ondata”. L’invito è: rispettate le regole, comportatevi responsabilmente, non fate cazzate – perché se non le fate è più facile che ne usciremo prima e meglio, da tutto questo. Ma la vita delle persone quando sono moltitudine, cioè somma enorme di individualità, è una faccenda complessa, e nel momento in cui abbiamo scelto una vita che non prevede regimi totalitari dobbiamo imparare a convivere con questa complessità. Non puoi pensare di comandare tutto e tutti a bacchetta, ed incazzarti quando non succede. Puoi pretendere civiltà, ma non imporla con la forza e la vendetta, anche perché non è scritto da nessuna parte che la tua civiltà a lungo periodo sia quella che porta più benefici (chiedere agli iracheni, ad esempio, cosa ne pensano della “civiltà” americana che ha destituito Saddam e portato il paese dalla padella alla brace, tanto per fare un esempio indiscutibile e di altra portata).
Teniamo d’occhio i dati di Milano, in queste settimane. Per il 20 maggio, ricordiamoci di parlarne e di capire cosa è successo. Ma è molto più facile che il 20 maggio invece saremo intenti ad indignarci su qualche altro fatto di cronaca polemica del momento. Ecco: il vero problema forse è proprio questo, pandemia a parte.
PS. Meno male che lo scudetto l’ha vinto l’Inter e non la Roma, il Napoli o qualche squadra del sud: ci siamo risparmiati almeno un po’ di retorica regional-razzista, dai, almeno questo