Nei giorni in cui Kappa FuturFestival annuncia la prima parte della sua line up per il 2016, abbiamo pensato di fare un piccolo regalo ai nostri lettori. Avendo avuto la possibilità di testimoniarne l’evoluzione nel corso degli anni, abbiamo pensato di racchiudere la nostra esperienza diretta col festival in cinque diapositive. Cinque motivi per cui sì, il Kappa può oggi dire di avercela fatta. Nonostante i tanti scetticismi, tipici della diffidenza verso le realtà di festival nostrane, coi quali ha dovuto fare i conti sin dal primo momento in cui ne era stata annunciata la prima edizione all’inizio del 2012. Come loro li hanno regalati a noi, noi li offriamo a voi.
1. Christian
La gente che defluiva, tra risate ed urla di gioia. Poi lo stridere dei freni, un botto e le urla strazianti. Un ricordo indelebile, che ancora ci tocca al solo pensiero. E ci scuseranno gli organizzatori se la prima cosa che ci sentiamo di citare è la vita strappata ad un ragazzo che aveva avuto la sola colpa di essere seduto sul marciapiede a raccontare agli amici di quanto si era divertito. Christian aveva 24 anni ed al suo posto poteva esserci chiunque di noi.
2. Il set di Carl Cox a metà pomeriggio nel 2012
Fu, nell’effettivo, il nostro primo impatto col festival e con la stupenda struttura sita nel Parco Dora. L’annuncio che Carl Cox, uno degli headliner (e forse quello più atteso dal pubblico), avrebbe suonato alle ore 15 lasciò non pochi punti interrogativi. Anche considerato il fatto che, essendo piena estate e non avendo idea di quale tipo di struttura ci avrebbe accolti, temevamo fortemente l’impatto del caldo. Nel dubbio si era deciso di dare fiducia agli organizzatori e di partire presto. Arrivati di fronte agli ingressi, come previsto, faceva un caldo da sentirsi male, tanto da farci pensare di trovare un riparo all’ombra fino a che non fosse stato un filo più tardi. Rendersi conto che la struttura (al tempo il solo stage principale) avrebbe mantenuto il dancefloor completamente al riparo dal sole era stato come rinascere. Il contesto post-industriale nel quale eravamo immersi, una quantità già più che notevole di clubber scatenati, il vodka lemon consumato ben prima dell’ora canonica ed un set maiuscolo del gigante inglese, probabilmente il migliore di tutta la prima edizione, hanno fatto il resto. Fin da subito, da quelle due ore di delirio totale, avevamo capito che il Kappa faceva davvero sul serio.
3. La chiusura di Richie Hawtin del 2013
Mai sottovalutare il cuore di un veterano. Tutto era accaduto nel bel mezzo di un momento storico in cui l’immagine del biondino di Windsor era soggetta a continue critiche. Per capirci, l’estate in cui avrebbe poi tirato il CDJ in pista all’Amnesia scatenando la reazione (a tratti anche smodata) del web. L’ennesimo capitolo di un cambiamento di attitudine che aveva fatto vacillare anche il più indomito dei suoi fan di vecchia data. Nonostante il non eccessivo interesse per la sua performance, avevamo deciso di dargli fiducia. Anche considerato il fatto che un pioniere rimane sempre un pioniere e che di fronte ad un pubblico del genere c’era la viva curiosità di capire come avrebbe reagito. Forse, in un certo senso, molti di noi speravano anche quasi di poter dire “Ve l’avevamo detto” e mettere una croce sopra alla vicenda. Ma invano. Richie ci mise figurativamente la mano davanti alla bocca, come a dire “Adesso parlo io.” e lo fece a suo modo, rivoltando la pista come un calzino per due ore incredibili. Uno tra i migliori set che gli avevamo sentito fare negli anni. La scena simbolo di quella sera era stato un gruppo di ragazzi che stavano tenendo compagnia sul prato ad una ragazza che, mettiamola così, non si era sentita molto bene e faticava a reggersi in piedi, e che si davano il cambio ogni 5 minuti per andare in pista a ballare. Non potevano pensare di perdersi un set del genere per nessun motivo. Gente così, gente come noi.
4. Raffaele Attanasio sotto la pioggia nel 2014
Non so quante volte vi sia capitato di camminare sotto ad un acquazzone estivo fregandovene completamente di tutto, godendovi semplicemente la sensazione. Ballare sotto la pioggia è l’apoteosi di questo tipo di concetto. Lo ricorderanno sicuramente coloro che al Monegros 2007, totalmente impreparati ad una situazione del genere, si erano ritrovati nel bel mezzo del deserto a confrontarsi con un improvviso torrente d’acqua sulla testa. Inizialmente c’era stata la tipica reazione della gente scappata ad accalcarsi nei tendoni, col risultato di farli diventare delle invivibili scatole di sardine. Ad un certo punto pochi temerari avevano preso coraggio e si erano buttati nel fango a ballare davanti allo stage Sennheiser, aiutati della minimal techno veloce ed accattivante targata Marko Nastic e Dejan Milicevic (prima) e Valentino Kanzyani (poi). Col passare dei minuti la reazione a catena aveva portato decine e decine di persone a fare lo stesso, creando una situazione di empatia generale e di mutua solidarietà che rese quelle ore realmente indimenticabili. Qualcosa di simile era già successo al Kappa nel 2013, quando la pioggia fece prepotentemente capolino nel bel mezzo del set degli Apollonia. In quella circostanza però il vento e la grandine avevano reso impossibile ogni escursione al di fuori degli spazi coperti anche per i più temerari. Fortunatamente il clamoroso live Midnight Operator confezionato da Mathew Jonson e Hrdvsion aveva salvato capre e cavoli nello stage principale. L’occasione di rivincita è arrivata però l’anno successivo, quando la pioggia aveva creato un pantano abbastanza consistente sul prato dove era situato lo stage interamente dedicato alla techno. Una volta arrivato il turno del napoletano Raffaele Attanasio la gente davanti a lui era davvero riassumibile nel conto delle dita di una mano. Minuto dopo minuto, traccia dopo traccia, con la sua techno acida ed incessante, il prode Raffaele è riuscito ad attirare nel fango decine e decine di persone, che si sono prima mantenute nella parte retrostante della pista (risparmiata in parte dal fango) salvo poi buttarsi in avanti senza più alcun freno. Catturati dal magnetico canto di sirene che proveniva dagli speakers. Una festa nella festa, un momento di condivisione bellissimo.
5. Ed ora?
La quinta istantanea, ci sembra legittimo, è quella che ancora deve essere catturata. E’ quella dei nuovi artisti annunciati per la quinta edizione (tra gli altri siamo curiosissimi di vedere due leggende come Danny Tenaglia e Lil’ Louis alle prese con un ambiente così lontano dall’atmosfera del club a cui sono storicamente legati) ed è quella delle edizioni che seguiranno. E’ la speranza che un festival capace di offrire momenti come quelli descritti poco sopra riesca a non cedere mai il passo ai mille problemi che chi organizza musica in Italia è costretto a fronteggiare quotidianamente ed allo stesso tempo di non portare l’asticella più in alto del necessario come già successo in passato ad organizzazioni altrettanto ambiziose. Mantenendo una linea artistica ed organizzativa coerenti e nello stesso modo volte verso il futuro e l’auto-miglioramento, con l’augurio di portare il Kappa Futur Festival a spegnere ben più di 5 candeline e di ritrovarci fra qualche anno di nuovo insieme su queste pagine con tante nuove storie in saccoccia pronte ad essere raccontate.