Poco più di un anno fa, le pagine di Soundwall restavano oscurate per un giorno, in segno di lutto. Un anno passa in fretta: la vita continua, l’urgenza di vedere, conoscere, sopravvivere, scoprire, lavorare, guadagnare (o non andare troppo in rosso), ascoltare, qualche volta anche annoiarsi, qualche volta scoprire situazioni pazzesche, altre volte restare delusi un po’ – ma anche le delusioni aiutano ad inquadrare meglio i confini delle nostre passioni. Un anno passa in fretta. E persone, idee, ricordi, intuizioni si consumano molto velocemente, spesso finendo nel dimenticatoio.
Eppure il lutto che ci ha colpito, giusto negli ultimi giorni del 2011, esce da ogni “solita” coordinata spazio-temporale. Sembra sia successo ieri, da quanto sono ancora vicine ansia e tristezza; sembra non sia mai successo, perché non ti sembra semplicemente possibile che certe persone, così forti, così profonde, così coraggiose, non ci siano più.
Giorgio Mortari era una persona molto particolare, se guardiamo ai confini e ai tratti abituali delle cose di musica, di eventistica e di club culture di casa nostra. Molto particolare. Non era un presenzialista: non gliene importava nulla di esserci e di farsi vedere, nulla. Non era poi uno che calcolava le amicizie: non gli passava nemmeno per la testa di “inseguire” le persone a seconda del grado di utilità, convenienza o prestigio. Non era uno che riconduceva tutto al saldo costi/ricavi: il valore culturale era per lui la variabile più importante, quella decisiva, tutto il resto ci stava e doveva esserci – dava sempre grande attenzione al lato economico-organizzativo di quel che faceva – ma non doveva far dimenticare che la ricchezza più grande, quella a cui puntare davvero, era offrire qualcosa che colpisse, che facesse crescere, che sorprendesse, che offrisse una visione, una prospettiva. A se stessi, agli amici, ai nemici, a tutti.
Poi, c’era l’altro Giorgio Mortari. Quello patrimonio di chi aveva la fortuna di conoscerlo bene e di meritarsi la sua amicizia. Entusiasta e sempre pronto a condividere i suoi entusiasmi; ironico e sempre pronto a far sorridere e ridere coi suoi commenti taglienti (ma mai cattivi); educatissimo; affettuoso; totalmente generoso; sincero in modo assoluto; di un’intelligenza e di una cultura incredibili; meraviglioso nell’amore che dava al figlio. Ecco, quel Giorgio Mortari resterà un tesoro che ci accompagnerà – noi che questa fortuna di stargli vicino l’abbiamo avuta – semplicemente per sempre. Lasciandoci sempre sgomenti sul come diavolo sia possibile che lui non ci sia più, una cosa senza senso e con tanto dolore.
Però ciò che resta, e ciò che resta per tutti, lo si conoscesse bene o meno, era una persona di incredibile carisma. Era colui che ha creato dal nulla, prima insieme ad altre persone assai in gamba e poi curando amorevolmente in solitaria la sua creatura, Dissonanze. Festival che – lo diciamo chiaramente – era e resta un esempio insuperato di come andrebbe fatto, pensato, organizzato un evento. Una specie di piccola/grande utopia che rifiutava le chiusure preconcette, che cercava di combinare qualità e quantità, che voleva dimostrare come le idee all’avanguardia si possono mettere in campo anche rivolgendosi al grande pubblico, non ai soliti noti. Leggere negli anni le line up di Dissonanze fa impressione, ma fa ancora più impressione se si guardano le annate collegandole ai singoli act: perché Dissonanze arrivava prima, intuiva sempre con qualche anno di anticipo ciò che il grosso di noi tutti avrebbe ufficialmente apprezzato ed amato più tardi in grande scala. Non era una ostentata raccolta di headliner, non era una snobistica celebrazione del “pochi ma buoni, perché alle cose belle e all’avanguardia il grande pubblico beota non ci si deve nemmeno avvicinare”. Ed era un festival che cercava sempre location di qualità assoluta. Oggi al Palazzo dei Congressi ci vanno un po’ tutti e ci fanno un po’ di tutto. Entrarci la prima volta, sfidarlo, era una cosa da visionari.
Insomma, eravamo in lutto, quando abbiamo scoperto all’improvviso, un giorno di fine dicembre 2011, che Giorgio non sarebbe stato più tra noi. Lo siamo tuttora. Ma sentiamo il peso della fortuna di averlo conosciuto, di averne ascoltato idee ed assorbito energie, di averlo visto all’opera, di esserci fatto spiegare da lui che sì, si-può-fare, che non bisogna avere paure e non bisogna mai, davvero mai!, giocare al ribasso.
Grazie. Grazie davvero.