Ascoltando i lavori di questo trio si ha subito la sensazione di essere di fronte a qualcosa di insolito per la scena elettronica made in Italy, produzioni capaci di unire ritmi sincopati di matrice jazz ad influenze funk più che “danzerecce”. Quanto detto è ciò che emerge specie dal loro ultimo lavoro, anzi, capolavoro dal nome “Processes” già da noi recensito e più che ammirato, ma lasciamo parlare loro in questa breve ma profonda intervista che racconta una realtà rara che lascia sperare in un presente e futuro sicuramente migliore.
Come nasce il trio “The Clover”?
L’inizio di questa collaborazione nasce nel 2006 in maniera spontanea grazie ad un legame di amicizia che si è creato negli anni del liceo, successivamente abbiamo deciso di condividere uno spazio dove poter dare sfogo alle nostre passioni e inclinazioni. Questa convivenza ci ha dato modo di confrontaci e di contaminarci quotidianamente gettando le basi del nostro progetto che era mirato alla produzione musicale, la quale avesse innanzitutto un linguaggio personale in studio e una formula molto più dinamica, attraverso il live, nelle esibizioni. Ognuno di noi è caratterizzato da un passato con formazioni musicali differenti. Andrea ha studiato basso e contrabbasso e contava svariate collaborazioni in diversi ambiti musicali, Antonio ha studiato pianoforte per poi approdare ai sintetizzatori e alla sperimentazione elettronica, Stefano è sempre stato un fervido appassionato delle percussioni. Il mondo dell’elettronica lo abbiamo sempre visto come il terreno migliore per espandere le nostre ricerche viste le sue infinite possibilità.
Appartenete ad una realtà italiana che definire rara nonché molto interessante è dir poco, sto parlando della Bosconi Records, label che offre quanto di meglio c’è per il dancefloor senza scadere mai nel banale, offriteci anche su questa vostra “famiglia” una piccola descrizione del progetto che c’è dietro.
Il nostro legame all’etichetta Bosconi Records inizia nel 2006, quando era ancora a livello embrionale. A Firenze si stava muovendo qualcosa, si erano creati veri e propri appuntamenti artistici settimanali, dove ci si confrontava e ci scambiavamo idee, pensieri, musica, sogni, consigli e visioni. Da lì a poco Fabio e Ennio, in arte Minimono, iniziarono il processo di costruzione dell’etichetta godendo di una fioritura artistica veramente speciale nella città fiorentina. Capimmo che dovevamo unirci e distinguerci perché tutti noi eravamo consapevoli del nostro potenziale. La passione, i sacrifici, l’amicizia e la sana competizione hanno creato pian piano questa piattaforma dove ci possiamo esprimere, dove anche se la vita va avanti e ci sparpagliamo in giro nel mondo ricordiamo sempre da dove tutto è iniziato e soprattutto come è iniziato.
Vi esibite sia in live che in dj-set come duo, emozioni sicuramente diverse che però tendono sempre di più a “confrontarsi” nell’ormai grande panorama artistico della musica elettronica contemporanea, io personalmente apprezzo molto la “fisicità” del live che rimanda ad una fruizione della musica che oggigiorno sembra quasi sconosciuta, qual è il vostro punto di vista in merito?
Le due esibizioni sono molto diverse tra di loro. Nel dj-set selezioniamo molto istintivamente quello che più ci piace del panorama musicale, non è importante se di tendenza o meno, fondamentale è invece creare un risultato di qualità che spazi molto. Quello che ci piace è sorprendere il pubblico uscendo dall’ordinario, non generando set monotoni e dopo tutti questi anni si è creata una visione unica attraverso l’esperienza e la condivisione quotidiana di musica. Per quanto riguarda il live l’approccio è decisamente molto diverso, diamo vita a un qualcosa che rappresenta noi stessi, ci fondiamo l’uno nell’altro, ci ascoltiamo, improvvisiamo e le possibilità di intervento su quello che stiamo creando sono infinitamente superiori al dj-set, dove si mescolano dischi con le loro ben precise dinamiche. Questo crea atmosfere sempre diverse in base al pubblico e a quello che sentiamo in quel preciso momento che è del tutto irriproducibile. E’ un vero e proprio spettacolo live dove possiamo dialogare più a fondo col pubblico.
Avete una straordinaria capacità di miscelare sonorità proprie della micro-house ad influenze funky e jazz, quali sono gli artisti che più vi hanno ispirato nelle produzioni? E già che ci siamo vi chiederei anche qualche disco di riferimento.
La musica ha significato sempre una grande passione per ognuno di noi ed i generi non ci sono mai andati troppo a genio. Quello che si crea mescolando i nostri retaggi musicali è quello che si può sentire nelle nostre produzioni, il modo in cui lo facciamo non ha una spiegazione razionale. La musica è sempre stato un rifugio per noi dove sperimentando troviamo una sorta di evasione, potremmo dire un dialogo; con noi stessi in primis e poi con gli uditori dei nostri lavori. Il filo comune che ci lega è comunque questo approccio al “fare musica” che mette in primo piano le nostre personalità, le nostre emozioni che si intrecciano dentro ad una stanza e si trasformano in qualcos’altro. Parlando di ispirazioni o contaminazioni potremmo citare senz’altro alcuni “evergreen” tra cui: Tortoise, Can, Harmonia, passando per Coltrane, Miles Davis, Sun Ra, The J.B.’s, Luciano Berio, senza dimenticare per esempio Erik Satie o i contemporanei Akufen, Kalabrese e Aphex Twin, ma la lista è sempre aperta ed ogni periodo personale è diverso. Possiamo dire senz’altro che vale la pena di ascoltare la discografia degli artisti sopra citati per chi ancora non lo avesse fatto.
Il vostro ultimo lavoro “Processes” rilasciato su Bosconi è un’album in cui viene fuori esattamente tutto questo connubio, parlateci di come nasce questo lavoro che oserei definire tanto consapevole ed emozionante quanto raro (se non unico) specie in un paese come il nostro in cui molti artisti sembrano ancorati a questa o quella tendenza senza mai cercare un vero e proprio carattere differenziale.
In parte la domanda può già essere stata affrontata con la risposta sopra. Ci teniamo comunque a precisare che questo album, “Processes”, come dal titolo si può intuire, riguarda una presa di coscienza che la vita ci ha messo davanti. Per noi è stato importante creare, dare sfogo a questo particolare momento che potremmo definire banalmente un po’ “dark” e claustrofobico, durante il quale la nostra passione ci ha aiutato a crescere, buttando fuori quello che stavamo vivendo per poi analizzarlo, riascoltandolo, mettendoci quindi davanti a noi stessi. Il plurale in “Processes” sta proprio a specificare che c’è una continua evoluzione, che c’è da “processarsi” e migliorarsi sempre, costantemente, “procedendo”, evolvendo. Per noi la musica è come uno specchio, lo è sempre stata, ma mai come questa volta ne siamo stati così consapevoli.
In “Processes” troviamo una collaborazione con un grande artista del panorama house più micro e profondo, San Proper, come nasce questa collaborazione?
La collaborazione con San è iniziata in maniera molto spontanea. Mentre stavamo confezionando il nostro EP chiamato Four Rooms su Bosconi Records nel 2011 abbiamo inviato la tracklist a Proper e gli abbiamo chiesto se avesse voluto remixare una delle tracce. Ci rispose che era molto felice di farlo e che il nostro suono gli piaceva molto. Successivamente mentre il disco ancora non era uscito è venuto a suonare a Firenze trattenendosi un giorno in più del previsto, così lo abbiamo invitato nel nostro studio. In tre ore abbiamo suonato come una vera band dal sapore post-rock, predilezione musicale che ci ha legato fin da subito, ed abbiamo dato vita a tre tracce, una di queste è uscita nel nostro primo album “Processes”. Da lì abbiamo suonato dal vivo dopo qualche mese in due serate, a Milano durante una Bosconi Night e a Fiesta Privada a Roma, creando da zero un live in soli due giorni. La collaborazione è andata avanti anche nell’estate successiva, 2012, dove noi siamo andati ad Amsterdam e dove abbiamo dato vita ad altre tre tracce, una di questa è uscita nel maxi LP Bosconi Stallions. In questo momento quindi abbiamo abbastanza materiale ancora inedito prodotto assieme a San e stiamo cercando di capire dove farlo uscire.
L’album vedrà un po’ di date a partire da quella di gennaio al Tabasco Club di Firenze per poi spostarvi in altre città europee, dove avete riscontrato e riscontrate ad oggi maggior “feeling” con il pubblico? Qual è la vostra opinione sulla club culture italiana?
Siamo partiti proprio da Firenze, ed abbiamo esordito con il nuovo live dell’album il 24 Gennaio nella serata di Lattex Plus, ospitata dal leggendario Tabasco Club. La seconda data che faremo in Italia sarà il 15 Febbraio dove all’Animal Social Club di Roma verrà ospitata una Bosconi Night per poi spostarci sicuramente verso Berlino, Amsterdam, Rotterdam, Parigi, Mainz ed altre date si stanno aggiungendo via via. Sinceramente il “feeling” maggiore è quello che si riesce a raggiungere in un locale non troppo grande, più intimo, al di là della nazione in cui ci troviamo, dove il contatto con il pubblico è più naturale e allo stesso piano; il linguaggio della musica è universale. In questo caso il dialogo è più profondo e la possibilità di improvvisazione che concede il nostro live sfrutta tutto il suo potenziale. Possiamo sicuramente dire a riguardo della club culture italiana che da quando abbiamo iniziato, nel 2006 ad oggi, sono stati fatti passi da giganti, tutti sono molto più preparati e hanno tanti stimoli di ricerca. Se prima rimanevamo stupiti delle conversazioni che si potevano fare con i clubber a fine live all’estero, oggi rimaniamo stupiti di come si possono fare in Italia. E’ sicuramente sintomo di un bisogno culturale generalizzato diffuso che in Italia stava mancando da troppo tempo e che la maggior parte delle persone finalmente sta ricercando. Purtroppo questo è un discorso molto ampio, l’importante è cercare costantemente di nutrire la propria passione trovando tante risposte alla proprie domande.
Mi piacerebbe lasciaste i lettori di Soundwall con qualche news sul vostro futuro prossimo.
Quello che ci aspetta nei prossimi mesi sarà sicuramente suonare dal vivo, cosa che abbiamo anche un po’ messo da parte volontariamente nell’ultimo periodo perché il lavoro dell’album è stato davvero molto intenso e impegnativo. Al di là di questo sentiamo già il bisogno di esternare nuove emozioni e sensazioni, quindi sicuramente ricominceremo una produzione in studio colma di idee nuove, consapevoli che dove c’è il futuro non c’è il passato e non c’è il presente ma comincia il futuro.