Questo titolo è un clickbait. Questo titolo è una provocazione. Questo titolo è rabbia vera. Questo titolo perché nasce perché, sinceramente, ci si è rotti anche abbastanza il cazzo – scusate il francese, ma l’esasperazione gioca il suo ruolo – di una strisciante soddisfazione che cogliamo nel far rimbalzare in giro le interviste ad epidemiologi americani, nel commentare ogni annuncio di rinvio od annullamento di eventi, nel far sapere con tono da “Eh caro mio, ora ti spiego io come stanno le cose davvero, inutile che fai il sognatore” che di stadi, concerti, festival e dancefloor se ne riparla forse – ma forse – nel 2021. Sì. Queste cose hanno iniziato un po’ a stufare.
Sarò sfortunato io, ma finora mi sono accorto di una cosa, e devo dire con una precisione e regolarità quasi matematica: tutti coloro che hanno rimbalzato senza un reale senso di dispiacere e preoccupazione gli annunci di annullamento e le notizie più pessimistiche sulle prospettive future sono persone che, semplicemente, si guadagnano da vivere in un’altra maniera. Chi con un lavoro “altro” (di quelli che possono permettersi lo smart working, o che fanno parte delle filiere garantite), chi con una rendita garantita, chi a libro paga di nonni e genitori. Questi sono. E sai che c’è? Sono abbastanza sicuro: se a tutte queste persone ora andassi davanti a dire “Guarda che fra sei mesi tu sarai sul lastrico, senza soldi e senza lavoro”, beh, si incazzerebbero come delle iene. Provocherei irritazione e reazione violenta.
Eppure, pensa te!, è proprio quello che potrebbe succeder loro. Partendo dal presupposto che sta per abbattersi una diminuzione del PIL mondiale e una crisi finanziaria che non ha probabilmente eguali rispetto al passato, peggiore non solo del 2008 ma pure del 1929, il dato di fatto consequenziale è che un sacco di persone potrebbero ritrovarsi a breve con la vita cambiata. E cambiata male, mooolto male. Ehi. Un sacco di persone. Anche tu che leggi. Sì. Non solo io che scrivo.
Non è una ipotesi peregrina. Hai un lavoro in un settore “altro”, che non siano i saltimbanco dello spettacolo o i fuffaioli degli eventi? Beh, il tuo settore “altro”, “serio” e “sicuro” potrebbe entrare in crisi per la mancanza di potere d’acquisto della clientela globale, e la tua azienda potrebbe chiudere baracca e burattini, tra sei mesi o un anno. Vivi grazie ad una rendita? Beh, chi ti sta allungando un affitto stando in una delle tue proprietà potrebbe non aver più mezzo euro per farlo, o la banca in cui hai infilato dei rendimenti potrebbe finire a breve in default non controllato, per non parlare dei soldi che hai investito in titoli. Sei a libro paga dei tuoi? Ecco, non è detto che fra un anno mamma e papà abbiano ancora 1000, 2000, 5000 euro a fondo perduto da darti ogni mese per permetterti di vivere una vita, ehm, “dignitosa”, mentre tu curi i tuoi interessi, la tua persona, i tuoi piaceri, facendo magari pure la morale a chi non è “puro” come te.
Forse non è chiaro – e no, non è chiaro – che questo lockdown pandemico globale può dispiegare e dispiegherà degli effetti che riguardano tutti, proprio tutti, e non solo i simpatici e sacrificabili saltimbanchi e giullari dello spettacolo, dello sport, degli eventi, del marketing, della cultura. Una visione di imbarazzante superficialità delle dinamiche economiche mondiali porta infatti a pensare che tanto i lavori “seri”, quelli della produzione industriale, delle pratiche amministrative statali e non, del commercio al dettaglio, subiranno sì dei colpi ma sono e saranno troppo necessari per soccombere. Beh: non è così che funziona.
La nostra economia ormai è troppo sofisticata ed interconnessa, qui sta la questione. Non siamo più nell’Ottocento. Se soffre una sua parte, la sofferenza si riverbera un po’ dappertutto. E’ come, guarda un po’, coi virus: in Cina e in posti simili (per noi Occidentali “esotici”, se non proprio Terzo Mondo: siamo sempre bravi a crederci superiori…) i virus ci sono sempre stati e sono sempre circolati, ma la globalizzazione ha accelerato in modo incredibile lo scambio e la movimentazione di merci ed esseri umani; quindi ecco, un CoVid-19 fosse nato nel 1979, e non nel 2019 come ora, avrebbe fatto schiattare giusto i cinesi, che si sa che son gente brutta e sporca e un po’ insomma se lo meritano; mentre oggi, improvvisamente, l’epidemia si fa globale, si fa pandemia.
Forse non è chiaro – e no, non è chiaro – che questo lockdown pandemico globale può dispiegare e dispiegherà degli effetti che riguardano tutti, proprio tutti, e non solo i simpatici e sacrificabili saltimbanchi e giullari dello spettacolo, dello sport, degli eventi, del marketing, della cultura
Coi cicli economici funziona uguale. Tipo: se scompare completamente il campo degli eventi, ci sono tutte le persone legate al campo degli eventi che avranno pochi o nessun soldo per acquistare i beni prodotti dall’industria o per fruire dei servizi offerti dal terziario o per contribuire a tenere alti i prezzi del mercato immobiliare. Sono pochi? Sono residuali? Non è mica detto. E non vogliamo nemmeno fare il discorso – che già dovrebbe essere ovvio & sacrosanto – che l’industria dello spettacolo è non solo o non tanto le star note e strapagate, quanto piuttosto tutto il personale che lavora alla riuscita esecutiva dell’evento, partendo da facchini e personale di sicurezza passando per i tecnici e i responsabili logistici e comunicazione; no, non vogliamo farvi questo discorso. Vogliamo raccontarvi di come annullare un festival o una serie di eventi porti un danno tangibile a ristoratori, albergatori, banalmente a tutto il settore del commercio al dettaglio nella zona interessata; e se queste persone vanno in sofferenza, hanno meno soldi a loro volta per chiedere servizi, acquistare auto, spendere in bollette telefoniche, prendere aerei, prendere treni. Giusto per fare un esempio.
Pensate insomma di essere al sicuro, visto il lavoro non collegato allo spettacolo, alla cultura, agli eventi che fate? Pensate che il problema sia solo perdere la “magia della cultura e del divertimento”, che sì, è indubbiamente un peccato, ma in fondo uno può viverne anche senza almeno per un po’? Pensate questo? Non avete capito un cazzo. Nel momento in cui si blocca in modo serio e prolungato il mondo della cultura e degli eventi, si provoca un embolo potenzialmente letale anche per altri settori economici, a cascata, facendo entrare tutto in un circolo vizioso e in un collasso sistemico.
Insomma: le notizie sui festival che si annullano, sui concerti che si rimandano, sulle aperture dei club e delle discoteche che si dilazionano dovreste darle con un piglio ben diverso da quello che state usando in molti. Dovreste darle con lo stesso piglio e la stessa preoccupazione con cui le fanno girare e se le condividono fra loro i diretti interessati: quelli che nei festival, nei concerti, nei club ci lavorano. E no, non lo state facendo. Consciamente o inconsciamente, un po’ pensate che non vi riguarda; un po’ che “Ben gli sta, in fondo le cose importanti della vita sono altre, è ora che lo capiscano”; un po’ che “Sì, mi dispiace, ma vabbé, me ne farò una ragione”.
Dovreste essere molto, ma molto, ma molto più preoccupati, ogni volta che condividete l’ipotesi di un epidemiologo americano (che mai avete sentito nominare prima in vita vostra, tra l’altro): non perché l’ipotesi sia sbagliata, attenzione. Perché non è “sbagliata”. Il punto è che è ciò che è: una ipotesi. Read my lips: IPOTESI. Nel momento in cui scriviamo nessuno, nemmeno nei più alti vertici scientifici o politici, ha delle certezze reali sul decorso della pandemia e su quanto realmente saremo costretti a vivere in stato di lockdown (…e chi lo dovrà fare: perché ad un certo punto, stando fermi all’esempio dell’Italia, in Molise saranno anche stufi di essere bloccati tanto quanto in Lombardia, a fronte di un centesimo o un millesimo dei casi… no?).
La situazione è talmente grave, seria e pericolosa che va maneggiata con grande, grande delicatezza e prudenza, e non invece tagliata con l’accetta. Fino a quando non c’è una evidenza scientifica e una condivisione collettiva che questa o quest’altra cosa vadano fatte morire per ordine legislativo, è giusto lasciarsi del margine per vedere l’evoluzione della situazione. Gridare istericamente ed indistintamente “CHIUDETE TUTTO” si è visto che non porta sempre necessariamente dei risultati, come ad esempio ora ci si sta rendendo conto in Lombardia. Il che non significa non sia utile tout court – al contrario, i lockdown in Italia e nel resto del mondo hanno risparmiato centinaia di migliaia di morti: siano benedetti – ma significa anche che “chiudere” è un’arma che diventa efficace ed utile soprattutto quando è usata al modo giusto e nel momento giusto, e non quando è usata e basta (…per inciso: un uso massiccio ed esagerato del lockdown, ci sono più ricerca scientifiche che lo sostengono, rischia di esporci ad una seconda ondata dell’epidemia ancora più virulenta e difficile da sostenere, socialmente ed economicamente).
“Chiudere” è un’arma che diventa efficace ed utile soprattutto quando è usata al modo giusto e nel momento giusto, e non quando è usata e basta
Quindi, andando sul concreto: club, concerti, discoteche, stadi, eventi, fiere, quello che volete voi riapriranno quando devono riaprire, non un attimo prima, e ogni giorno bisognerà tentare di capire l’evolversi della situazione CoVid-19 per individuare qual è il momento più vicino del calendario in cui poter riaprire con ragionevole e sostenibile sicurezza. Club, concerti, discoteche, stadi, eventi, fiere, quello-che-volete giocoforza saranno fra le ultime cose ad aprire, se non direttamente le ultime in assoluto, diciamolo dai!, perché sarebbe stupido, infantile ed irresponsabile pensare che grazie a questa o quella azione di lobbying uno stadio o una discoteca possano riaprire prima di un luogo dove la gente viene sistemata a distanza di sicurezza (…nel frattempo gli stadi proveranno a campare coi diritti tv, gli altri dovranno inventarsi delle maniere creative per sopravvivere: ma questo è un altro discorso). Per fortuna, nel mondo della cultura e degli eventi non ci sono persone e posizioni così imbarazzanti, esecrabili ed irresponsabili come quelle sentite in certe schegge più o meno impazzite di Confindustria (ecco qui un simpatico esempio).
Anzi, il mondo della cultura, degli eventi e anche di buona parte dello sport andrebbe preso ad esempio per come ha reagito prontamente, in modo composto e con grandissima dignità alla situazione, spesso in anticipo rispetto alle indicazioni delle autorità. Questa è la verità. Nella cultura e nello sport e negli eventi (quasi) nessuno si è messo a barare sulle autocertificazioni e sui codici ATECO pur di poter continuare a fatturare: ve ne siete accorti?
Basterebbe allora trattare queste sfere con rispetto. Pensare, più o meno inconsciamente, più o meno gaglioffamente, che si possa sventolare con finta costrizione ed afflizione (ma ridendo un po’ sotto i baffi) questa o quella notizia non certa sul fatto sul fatto che fino al duemilaventistocazzo non si potrà far nulla è profondamente, profondamente sbagliato. Profondamente.
Al prossimo che mi dirà “L’attività XYZ prima del 2021 vedrai che non riapre, quest’anno saluta ogni speranza”, dove per “attività XYZ” si intende qualcosa che mi avrebbe dato da vivere per sfangarla quest’anno, risponderò seraficamente “Va bene. Ma tanto tu nel 2021 non avrai più un lavoro, o una rendita se avevi una rendita, quindi sarai un fallito tanto quanto me”.
In questo momento, queste due frasi hanno lo stesso, identico tasso di veridicità. Capito? Tutto chiaro?
…insomma, quando nelle conversazioni da bar dovreste dire la vostra su quando riaprono club, concerti e discoteche pensateci bene due volte prima di liquidare in maniera troppo sbrigativa la questione. La prossima conversazione, tra sei mesi tra un anno, potrebbe riguardare voi.
Ma visto che non siamo qua a menare gramo, la realtà è che tutti abbiamo il dovere morale e pratico di tentare di raggiungere il prima possibile una via alla ripresa (magari più sostenibile e meno “cieca” di quella attuale), con un atteggiamento attento, costruttivo, solidale, informato, empatico. Atteggiamento che si fa però veramente fatica a vedere verso certi settori della società, solo per il fatto che non sarebbero “necessari”… questo è il problema. Non vogliamo nemmeno entrare nella discussione su cosa sia realmente “necessario” e cosa no (è più necessaria la cultura o una serata meravigliosa in club, o il conto in banca per comprare puttanate che manco ti servono?); no, stiamo facendo un discorso molto più terra-terra, laico ed immediato. Stiamo facendo un discorso che vale per tutti, e tocca tutti.