Da anni Ercole Gentile vive a Berlino: “cervello in fuga”, è uno degli artefici di MusicalZoo a Brescia ed è stato presidente di Italian Music Festivals, mentre nella capitale tedesca organizza da tempo e con grande successo concerti con guest italiane (Cosmo, Calcutta, Verdena…), oltre a vari altri impegni – booking agent per Von der Haardt, giornalista freelance di grande qualità. Appassionato di elettronica e club culture, ha incontrato per noi una delle realtà di riferimento a livello mondiale. Questa intervista è, semplicemente, oro.
La Berliner Club Commission – o Clubcommission Berlin – viene vista da molti come un modello. Un esempio vincente di come un certo tipo di nightlife sia riuscita ad unirsi e fare cartello, a farsi portavoce di istanze che hanno permesso ai club della capitale tedesca di diventare un fattore economico e culturale di grande rilievo per la città. Un percorso – iniziato dopo la caduta del muro ad inizio anni Novanta – fatto di libertà e rispetto delle diversità, di condizioni economiche favorevoli, di adattamento e di crescita. Ma anche di ostacoli, su tutti la gentrification che ha colpito la città e che in particolare negli ultimi 10 anni ha costretto numerosi locali a chiudere o spostarsi. La BCC è nata 20 anni fa ed ha fatto scuola nel mondo, facendo capire l’importanza di associarsi e di dialogare in modo costruttivo con la politica. Poi è arrivata la pandemia. E nonostante la mazzata, il modus operandi della Commissione è rimasto invariato: dialogare, costruire, ragionare per soluzioni e non per problemi. Qualche giorno fa hanno destato ansia le dichiarazioni di Pamela Schobess, presidentessa della BCC e co-proprietaria del Gretchen Club, che ipotizzava per i club berlinesi un ritorno alla normalità solo alla fine del 2022. Leggendo l’articolo originale in tedesco, ho pensato che a livello internazionale fosse stata rilanciata dalla stampa solo una parte del suo discorso, ed era necessario fare chiarezza, cogliendo anche l’occasione per parlare di altri temi con la Berliner Club Commission. Detto fatto, ho avuto l’opportunità di fare una interessante chiacchierata con Lutz Leichsenring, membro del direttivo della BCC, oltre che attivista, consulente ed esperto della “economia della notte”.
Partiamo dalle buone notizie, Lutz: a fine 2020 i club berlinesi sono stati riconosciuti come “istituzioni culturali”. Quanto ci è voluto per raggiungere questo traguardo e cosa ha portato a livello pratico?
E’ un tema molto complesso. Ci sono diversi livelli, il primo che abbiamo raggiunto è quello politico-culturale. Già da diversi anni c’è lo “Spielstätten Programmpreis” ad esempio, un premio che viene dato ai migliori club tedeschi che va dai 40.000 ai 7.500 euro annui, così come da qualche anno riusciamo a ricevere i fondi del Ministero della Cultura, che quindi riconosce appunto i club come istituzioni culturali includendoci in questi programmi di finanziamento. Inoltre siamo riusciti ad ottenere un altro importante risultato fiscale: anche le club-night sono riconosciute come un evento culturale e quindi pagheranno solo il 7% di Iva anziché il 19%. Quest’ultima è la cosiddetta sentenza-Berghain, nel senso che furono proprio loro ad avviare una causa su questo tema, l’hanno vinta, il caso ha fatto scuola e presto verrà applicato per moltissimi altri club. C’è invece un secondo livello su cui stiamo portando ancora avanti una lunga battaglia ed è quello in materia di diritto edilizio. Al momento i club non sono ancora equiparati a musei e teatri, ma sono luoghi di divertimento, al pari delle sale casinò o dei bordelli, per intenderci. Questo ci pone molti limiti: per esempio ad oggi non si può aprire un club ovunque, ma solo in precise zone della città dove questi luoghi sono ammessi. Purtroppo questa non è una lotta che durerà poco, anche se qualche successo lo abbiamo ottenuto, per esempio siamo stati invitati in Parlamento per discuterne circa un anno fa ed è stata la prima volta. Però se a Berlino, Amburgo, Colonia e Monaco anche i comuni spingono in questo senso, ci sono anche molti sindaci (soprattutto delle piccole città) che sono contrari, che non vedono i club di buon occhio e fanno opposizione. A Berlino diciamo che c’è maggiore flessibilità su questo tema da parte delle istituzioni e quindi si cerca spesso di aiutare per quanto possibile i club anche da questo punto di vista, ma serve una legge federale. Altrimenti i club saranno sempre troppo fragili.
I club sono stati costretti prima a spendere tutto quello che avevano, compresi soldi chiesti in prestito, e solo poi hanno potuto fare domanda e ricevere gli aiuti, che sono arrivati fortunatamente puntuali
Possiamo dire senza mezzi termini che il 2020 è stato tragico. Avete già fatto un calcolo delle perdite subite dai club?
Posso dirti che solitamente a Berlino ci sono circa 3,5 milioni di persone che visitano la città per la sua night-life o per concerti ogni anno. Questo significa un indotto di 1,48 miliardi di euro per l’intera città, quindi oltre ai club stessi anche per hotel, ristoranti, negozi, tassisti ecc. Quest’anno siamo praticamente a zero. Ci sono stati alcuni piccoli eventi estivi, ma sono numeri insignificanti. Diciamo che al momento possiamo più che altro parlare di mancato fatturato più che di perdita, perché comunque abbiamo preso alcuni aiuti che ci hanno aiutato a coprire numerosi costi. Tutti quelli relativi al personale ad esempio sono coperti dal Kurzarbeit (la nostra cassa integrazione, ndr), ma anche i costi di affitto e di spese correnti, Il punto è che per ricevere questi aiuti il conto in banca deve essere a zero. Quindi i club sono stati costretti prima a spendere tutto quello che avevano, compresi soldi chiesti in prestito, e solo poi hanno potuto fare domanda e ricevere gli aiuti, che sono arrivati fortunatamente puntuali. Il problema è che quando si riprenderà l’attività moltissimi club partiranno con le casse vuote e ci vorrà molto tempo prima che alcuni di questi possano lavorare a pieno regime. Anche perché in una prima fase non sappiamo quanti turisti ci saranno in città e come andranno gli affari. E’ un grosso problema, dobbiamo cercare di fare pressione per avere assolutamente altro supporto a livello istituzionale, che per il momento arriva a giugno 2021.
Secondo te i club berlinesi sono stati sufficientemente aiutati in una situazione estrema come quella che stiamo vivendo?
Devo dire di sì. Abbiamo ricevuto molto denaro, soprattutto in confronto ad altre regioni o nazioni. Già il fatto che molti lavoratori possano usufruire della cassa integrazione è fondamentale. Poi ci sono stati numerosi fondi (che dipendono dalla grandezza del club, da quanto esiste, eccetera) che hanno permesso di coprire tutti i costi. Alcuni per questioni burocratiche non sono riusciti a prendere tutti gli aiuti, ma in generale direi che non possiamo lamentarci. Berlino è il Land che ha dato più supporto economico ai club e fino ad oggi nessuno ha dovuto chiudere definitivamente la propria attività. Mi sembra già un risultato degno di nota.
Abbiamo ricevuto molto denaro, soprattutto in confronto ad altre regioni o nazioni. Già il fatto che molti lavoratori possano usufruire della cassa integrazione è fondamentale. Poi ci sono stati numerosi fondi (che dipendono dalla grandezza del club, da quanto esiste, eccetera) che hanno permesso di coprire tutti i costi
Insieme ad altri partner avete messo in piedi l’iniziativa United We Stream, un piattaforma di live streaming per aiutare i club in questo periodo nero. Qual è il bilancio e come vedi il futuro dei live streaming?
C’è stata una magnifica unione di forze con ARTE, Rbb, Soundcloud, Flux FM, Vice. Siegessäule, Radioeins, ognuno ha messo le proprie risorse per realizzare fino ad oggi 73 live stream. Alcuni mesi dopo possiamo dire di aver raccolto 570.000 euro che sono stati girati a 66 club, mentre 45.000 euro di offerte sono stati donati alla Fondazione Zivile Seenotrettung che unisce diverse Ong che si occupano di aiutare i migranti in difficoltà in mare. Quel che mi rende felice è che United We Stream si è poi espanso in tutto il mondo ed è riuscito a raccogliere 1,8 milioni di euro in 110 città del mondo in 5 continenti, offrendo un palco virtuale a 2300 artisti/e. Il live streaming avrà sicuramente un ruolo in futuro, tuttavia bisogna ancora concepire un modello di sostenibilità economica che possa superare il sistema delle offerte.
Com’è la comunicazione col mondo istituzionale? Spesso in Italia si ha l’impressione che la politica non capisca realmente le istanze dei club ed in generale il peso sociale ed economico che possono avere.
Se c’è una cosa buona che ha portato la crisi è proprio questo. Siamo riusciti a migliorare ulteriormente la comunicazione con la politica, siamo stati anche lodati per aver deciso di chiudere i club fin dall’inizio e per non aver fatto proteste eclatanti. Posso dire a posteriori che è stata la decisione giusta, altrimenti sarebbe stato più difficile per la politica aiutarci. Se ci fossimo ribellati ed avessimo dato l’impressione di essere quelli che diffondevano il virus, sarebbe stato complesso poi per le istituzioni supportarci di fronte all’opinione pubblica. Invece abbiamo cercato di reagire con iniziative di solidarietà e costruttive e grazie a questo abbiamo avuto molti aiuti economici. Naturalmente ci sono anche alcuni che hanno più difficoltà di altri e stiamo cercando di lavorare insieme per aiutarli. Nessuno deve rimanere indietro.
Ma anche in tempi normali riuscite ad avere un dialogo fluido col mondo politico berlinese?
Non esiste la politica, esistono diverse persone e diversi partiti e ci sono diversi livelli, di quartiere, comunale, regionale, federale ed europeo. Ovunque bisogna convincere della bontà del proprio progetto, ma scusami se torno su questo punto, credo che il periodo sia particolarmente favorevole. La Berliner Club Commission esiste da 20 anni e non abbiamo mai avuto così tanto ascolto come oggi. Abbiamo messo in piedi l’Open Club Day (che si è svolto il 6 febbraio, ndr), una iniziativa virtuale per discutere di varie tematiche relative alla club culture ed avremo due senatori berlinesi e 3 parlamentari che prenderanno parte ai panel e si siederanno con noi a parlare. Devo dire che è un risultato enorme che non avevamo mai raggiunto fino ad oggi.
Siamo riusciti a migliorare ulteriormente la comunicazione con la politica, siamo stati anche lodati per aver deciso di chiudere i club fin dall’inizio e per non aver fatto proteste eclatanti. Posso dire a posteriori che è stata la decisione giusta, altrimenti sarebbe stato più difficile per la politica aiutarci
Prima della pandemia, uno dei problemi maggiori per i club berlinesi era la gentrification. Pensi che post-covid si potrà assistere ad una maggiore disponibilità di spazi vuoti e canoni di affitto più bassi?
Indubbiamente la pandemia lascerà dei segni. I centri cittadini subiranno delle mutazioni nei prossimi anni, alcuni spazi attualmente adibiti a uffici o negozi saranno vuoti a causa del Home-Office (in Italia lo chiamiamo smart working, ndr) e del crescente mercato degli acquisti on line. Ecco, è estremamente importante che i centri non diventino delle residenze di lusso, bensì dovranno essere sviluppati concetti e strumenti politici che permettano una trasformazione sociale ed ecologica, in cui trovino spazio anche luoghi di sperimentazione per arte e cultura.
Pensi che il modello della Berliner Club Commission sia esportabile altrove o funziona solo in una città speciale come questa?
A dire il vero in diverse città della Germania ci sono altre Club Commission, ma anche ad esempio a Vienna, Madrid e Barcellona ed in altre città ci sono invece i Night Mayor (sindaci della notte, ndr) che rappresentano e gestiscono il mondo della nightlife come Amsterdam (la prima ad avere una figura ufficiale di questo tipo nel 2014, ndr), Londra, Praga, Washington, Calì in Colombia e Mannheim in Germania. Diciamo che in circa 70 città del mondo c’è qualcuno che rappresenta il mondo dei club a livello politico e posso dire con felicità che Berlino è stata la prima con la creazione della Club Commission e mi fa estremo piacere che questo abbia fatto scuola. Poi mi rendo perfettamente conto che qui abbiamo dei vantaggi dovuti al numero ed al peso economico dei club: siamo in 300 membri ed abbiamo 12 persone che lavorano in ufficio ogni giorno, ma penso che in generale sia necessario avere figure di questo tipo che dialogano a stretto contatto con il mondo diurno.
Ci sono divergenze tra il mondo commerciale e quello più alternativo?
Noi facciamo una netta distinzione tra club e discoteche. Per noi un club è un luogo dove c’è qualcuno che si occupa di direzione artistica, di booking e che faccia parte di una scena. Nel momento in cui questo non avviene parliamo allora di una discoteca, dove generalizzando c’è appunto meno attenzione al tipo di musica che viene suonata ed all’atmosfera che si respira all’interno. Ci sono anche alcune discoteche nella nostra organizzazione, ma sono molto poche e sono abbastanza marginali a livello di peso politico.
Per noi un club è un luogo dove c’è qualcuno che si occupa di direzione artistica, di booking e che faccia parte di una scena. Nel momento in cui questo non avviene parliamo allora di una discoteca, dove generalizzando c’è appunto meno attenzione al tipo di musica che viene suonata ed all’atmosfera che si respira all’interno
La BCC riesce ad avere anche un dialogo con i brand oltre che con le istituzioni?
Certo. Premesso che ci sono alcuni club che non vogliono avere nulla a che fare con i brand per non farsi in qualche modo influenzare e lo rispetto, in generale credo che al giorno d’oggi i privati abbiano una grossa importanza, soprattutto in alcune regioni dove le istituzioni non riescono a creare un’offerta culturale di un certo tipo. Conosco molti artisti e organizzatori che non avrebbero potuto raggiungere un certo livello di risultati se non avessero avuto i marchi al loro fianco. Penso che si debba trovare un equilibrio, il brand non deve essere troppo invadente e solo pensare a vendere il proprio prodotto, ma deve capire la scena che sta supportando. Posso farti un esempio recente, con Jägermeister abbiamo organizzato un hackaton per professionisti del settore che altrimenti non avremmo potuto mettere in piedi così velocemente, perché per ricevere i soldi dallo stato ci sarebbero voluti molti mesi. Con loro invece è stato molto snello: ci hanno chiesto di cosa avevamo bisogno e abbiamo realizzato l’evento, evento che è stato molto utile per raccogliere idee e spunti per il futuro. Quindi, con alcune limitazioni, direi che i brand se lavorano nel modo corretto possono avere un ruolo molto importante nel nostro mondo.
La leggenda narra che i proprietari dei club hanno spesso delle personalità forti che non è facile mettere d’accordo… in Germania come in Italia…
Assolutamente sì, confermo. Diciamo che in questo periodo, nel quale si è minacciati nel profondo e si rischia l’esistenza stessa del club, è stato più semplice riuscire a far passare una linea comune, a far comprendere le problematiche e relative possibili soluzioni. Ad esempio, una minoranza al nostro interno pensava fosse giusto scendere in strada a manifestare, ma gli abbiamo invece fatto vedere con i risultati come in questo momento fosse meglio dialogare con la politica e non andare ad uno scontro. Bisogna comprendere che i club anche qui in Germania a volte sono visti come qualcosa di “pericoloso”, e quindi per un politico può anche essere rischioso schierarsi al nostro fianco, ma non se si dialoga con loro nel modo giusto e se si dimostrano maturità e competenza. Ad esempio ci sono state grosse polemiche per la manifestazione con i gommoni organizzata lo scorso maggio sul fiume Sprea a Kreuzberg da alcuni club: noi eravamo contrari, ma non ci siamo opposti ed è stato un errore, perché quel momento ha rischiato di mettere a repentaglio parte del nostro lavoro dietro le quinte. Una manifestazione del genere nel mezzo della pandemia e di fronte ad un ospedale non è stata la mossa giusta. Fortunatamente il tutto non ha portato danni a livello sanitario anche perché adesso sappiamo che all’esterno il virus contagia molto meno, ma sicuramente non è stata una mossa appropriata e credo che l’eco negativo sulla stampa nei giorni successivi sia servito a farlo capire a tutti quanti.
In Italia spesso i club (e soprattutto le discoteche) vengono visti anche come luoghi dove non c’è molta limpidità dal punto di vista fiscale e di assunzione dei lavoratori. Com’è la situazione a Berlino?
Sì, se ne parla, ma sempre meno, perché nel frattempo la professionalità nei club è cresciuta moltissimo. Oggi ci sono sempre più sistemi di pagamento elettronici ad esempio, che non permettono grossi margini di manovra evasiva. Ed anche dal punto di vista dei lavoratori ci sono molte più tutele. Prima si poteva avere una persona in prova e registrarla solo in un secondo momento, oggi è il contrario: prima ci si registra, e si dichiara che quella persona lavorerà quella sera in prova. Quindi, se avviene un controllo in serata, non ci può più essere la “scusa” del personale in prova: tutti devono essere registrati e le multe sono molto salate. Ma come detto, questo ormai è un tema sempre meno presente fortunatamente nelle nostre discussioni.
La grossa arma che pensiamo di avere al nostro fianco in questo periodo di transizione sono i test rapidi. Il nostro obbiettivo è quello di riuscire ad ottenerli ad un prezzo di 5 euro in modo da poter testare tutti quelli che partecipano all’evento
Veniamo ad un punto cruciale. Quali sono le prospettive per il futuro? Abbiamo tutti letto con preoccupazione le dichiarazioni della tua collega Pamela Schobess che parla di un ritorno a pieno regime dei club alla fine del 2022.
In realtà le parole di Pamela sono state estrapolate da un contesto più ampio. Lei diceva che, proprio a causa del problema a cui accennavo prima in merito alla situazione economica dei club, in moltissimi partiranno con le casse vuote e non si potrà pensare di ripartire subito al massimo. Sarà una cosa graduale e ci vorrà tempo, anche perché per tornare ai regimi pre-pandemia abbiamo bisogno anche dei turisti e non si sa quando torneranno ad essere così numerosì.
Quindi c’è speranza?
Assolutamente si, noi vediamo la luce in fondo al dancefloor (sorride, ndr). Pensiamo che l’estate sarà un periodo di passaggio che ci aiuterà. Come sappiamo con il caldo i numeri scendono, perché si sta di più all’aria aperta. Inoltre la campagna vaccinale, seppur lentamente, è iniziata e questo è un fattore su cui non potevamo contare l’anno scorso. Aggiungi anche che i club si sono preparati molto meglio per ospitare in sicurezza eventi open air. Ma la grossa arma che pensiamo di avere al nostro fianco in questo periodo di transizione sono i test rapidi. Il nostro obbiettivo è quello di riuscire ad ottenerli ad un prezzo di 5 euro in modo da poter testare tutti quelli che partecipano all’evento. Noi stiamo al momento lavorando con le istituzioni per ottenere aiuti economici proprio per questi test (che al momento costano dai 25 ai 50 euro quindi non sarebbero sostenibili) per far si che siano economici e che si possano collegare ad una app, in modo da certificare la data e l’ora in cui è stato fatto il test. Potrebbero essere effettuati direttamente fuori dal club in una zona apposita, ma su questo ci stiamo ancora ragionando. Il risultato dovrebbe arrivare in circa 15 minuti. All’inizio probabilmente dovremo lavorare ancora con distanze e mascherine, ma poi gradualmente quando i numeri dei contagi si abbasseranno, l’obiettivo è ovviamente quello di lavorare senza limitazioni, poiché queste regole sono poco conciliabili con l’atmosfera del dancefloor. Ma come detto, ci arriveremo un passo alla volta. Io sono molto ottimista.