In questi primi giorni di 2019 sono affiorate, nelle faccende di clubbing, già due notizie interessanti. Molto diverse tra loro: di qua un sito dalla valenza internazionale e la sua policy su come comunicare, di là un club italiano e la sua programmazione. Eppure, c’è un filo rosso che potrebbe legare queste due sfere. Andando con ordine: Resident Advisor, che non ha certo bisogno di spiegazioni e presentazioni, ha deciso con l’inizio di quest’anno di bandire definitivamente la sezione commenti sotto i suoi articoli.
Prendetevi magari qualche tempo anche per leggere i commenti – ironico, eh? – sotto il post facebookiano. C’è di tutto: dall’apprezzamento duro&puro (“Una testata di informazione giornalistica non dovrebbe avere la sezione commenti sotto, punto. Bravi“) a quello intriso di buon senso (“Ma perché la gente si dispera come se non esistesse già uno spazio per esprimere le proprie opinioni – ovvero quello che state usando adesso per commentare, Facebook?”) arrivando a chi dice – ed è nel momento in cui scriviamo il post più apprezzato – che è un segno di come a RA oggi non interessino più i propri lettori, avendo perso il senso di comunità originario ed essendosi focalizzato sull’essere più di tutto una piattaforma di marketing (una sorta di bacheca pubblicitaria, con i momenti veri&seri interpolati in mezzo a molto spam camuffato da articolo).
Ed in effetti questo della “comunità” è un tasto su cui RA stesso batte, designandolo come obiettivo da (ri)perseguire solo con altre modalità più contemporanee. Ma nell’editoriale da loro postato, si piazza un colpetto mica da ridere quando si dice che il grosso dei commenti che apparivano sotto gli articoli non rispettavano più il piglio e gli ideali fondanti del sito, ma erano anzi spesso e volentieri una cloaca sessista o, nel migliore dei casi, chiacchiericcio superficiale e poco significativo. Cosa che invece un tempo non era.
Ora: questo significa che le teste e i commentatori migliori stiano migrando e siano migrate su Facebook? Beh, non semplicissimo da sostenere. Semplicemente Zuckerberg è stato in grado di intercettare più di tutti e, di conseguenza, di tutto e di più. Scemenze insomma ce ne sono anche lì, e tante. Semmai, è appunto interessante che si preferisca andare a commentare non nella “casa” di chi esprime un opinione o racconta una notizia, ma in un contenitore (potenzialmente) universale ed indistinto come Facebook, sulla base del fatto che offre di più in fatto di esposizione. Tra l’altro, visto che nell’informazione ai tempi del web clic e tempo speso su una pagina sono valori concreti, questo diventa l’ennesimo meccanismo per cui senza troppo pensarci si fruisce dell’ingegno altrui (il tempo speso a raccogliere una notizia o elaborare un’opinione o organizzare un evento) ricompensando però solo chi sta semplicemente offrendo una piattaforma neutra, cioè Zuckerberg. Non è Zucky a darvi notizie su un disco, una serata, una label, l’evoluzione di una scena musicale; ma è a Zucky che regalate il plusvalore (clic e tempo di permanenza) che uno scritto sul web può regalare.
Dirlo è una battaglia contro i mulini a vento? Forse. Ma forse anche no. E anche se lo fosse, ogni tanto fare le battaglie contro i mulini a vento – per una causa che ci pare giusta e sensata – resta un esercizio, massì, non deprecabile.
Non è che su Facebook non si creino comunità, attenzione. Anzi. Ma forse bisognerebbe andare a rispolverare l’importanza del concetto di forum legato a una realtà indipendente e “propria”, o almeno a un servizio di hosting che non sia così potente, ubiquo ed onnicomprensivo come Facebook: concetto appunto oggi ancora più importante, perché un tempo se i tuoi lettori stavano o non stavano a “casa” tua questo non faceva la differenza, perché non si poneva attenzione su questo aspetto e ciò che contava era la vendita fisica del supporto informativo o ludico (aka, il magazine cartaceo, o il biglietto alla serata), oggi invece la può fare eccome. In più ricordiamoci che Facebook ha – in modo assolutamente lecito e doveroso – delle sue linee guida, che possono piacere o meno ma che è giusto accettare (…il sottoscritto è stato bannato per parecchie settimane, in più tornate, per aver usato le parole “frocio” e “negro” con intenti chiaramente sarcastici, in interventi per condannare razzismo ed omofobia. Idiota? Certo. Ottuso? Senz’altro. Ma Zuckerberglandia ha tutto il diritto di imporre le linee guida che vuole, e io ce devo sta’, come chiunque). Quindi ecco: in un forum “nostro”, legato ad un argomento, una caratteristica comune, un artista, una testata giornalistica, potremmo essere più liberi di ritagliare delle norme più “corrette”, sensate e su misura. E potremmo interagire con loro, plasmarle, “partecipando” di più e in modo più responsabile ed attivo.
Insomma, anche per noi è un po’ una sconfitta che RA chiuda la sezione dei commenti. Loro, che sono arrivati dove sono arrivati col lavoro, l’organizzazione, il talento, la dedizione e non perché paraculati da qualche divinità ultraterrena blu cobalto, avrebbero forse potuto insistere o almeno lasciare una spazio per una trattativa coi lettori, invece di decidere così, proprio ex abrupto, di chiudere la sezione dei commenti. Perché se da un lato è una scelta più che comprensibile (vero: la qualità era in calo, così come la quantità), dall’altro avevano però i mezzo per provare a creare un’inversione di tendenza o almeno una chiamata alla consapevolezza da parte della loro (vasta!) platea, prima di dichiararne l’impossibilità.
Non ci sarebbero riusciti? Non si può fermare l’idiozia della gente, dite, esattamente come non si può abolire la povertà per decreto? Vero. Ma è anche vero che si possono fare dei tentativi, e si può provare a legiferare per limare le differenze tra ricchi e poveri, tra chi ha troppo e chi ha troppo poco. RA, nel campo dell’informazione legata al clubbing, fa giurisprudenza. Come probabilmente nessun altro. Ed è anche per questo motivo che è diventato così ambito dagli spammatori e da coloro che vogliono i publiredazionali, quelli in cui si parla della loro serata facendolo sembrare un articolo (pratica sempre più comune a tutta l’informazione oggi, Soundwall ovviamente compreso: qui si dovrebbe fare un lungo editoriale a parte, per spiegare pro e contro e soprattutto i perché). Forse valeva la pena provare a fare un tentativo per usare questo potere, questa autorevolezza, questa influenza per tornare a rendere lo spazio dei commenti “proprietario” un posto migliore… un’altra medaglia da appuntarsi sul petto, oltre alla completezza dell’informazione (e molto spesso, quando ci si mettono, anche alla sua qualità). Una medaglia che avrebbe parlato di comunità: di comunità che sa agire, intervenire, muoversi, serrare le fila quando necessario e quando c’è da riprendere in mano una situazione che non sta andando per il verso giusto.
E questo ci porta verso l’altro punto. Quello legato molto più localmente all’Italia, a faccende di clubbing nostrano. Il post da cui partire è questo:
Per chi non lo sapesse, e per chi non masticasse abbastanza di storia del clubbing italiano, in particolar modo del nord Italia: Andrea Oliva (solo omonimo del dj italo-svizzero, sia chiaro) è una delle figure storiche dietro all’Alter Ego, discoteca che ha fatto epoca negli anni ’90 e primi 2000 e la cui serata storica è proprio Orbit, dove si sono consumate pagine bellissime (a partire dal lavoro, supremo, fatto da Marco Dionigi).
Il 19 gennaio, ci sarà l’ultimo atto di Orbit. Oliva fa di più: fa anche capire che a breve sarà direttamente l’Alter Ego a non esserci più, o comunque a non esserci più come l’abbiamo sempre conosciuto. A modo suo ha fatto una cosa coraggiosa, non scontata: ha denunciato il fatto che se tutti quelli che parlano, complimentano e rimpiangono si fossero fatti vedere più spesso alle serate, non si sarebbe arrivati a ciò che ora queste stesse persone trovano triste ed ingiusto. Il ragionamento è molto sentito, partecipato ed anche informato, quando appunto spiega che la scusa del “non vado più nel locale XYZ perché si è riempito di bimbominkia” regge fino ad un certo punto, visto che i bimbominkia sono arrivati proprio perché la gente “ok” non si faceva più vedere e insomma, il locale in qualche modo va riempito. E’ anche molto chiaro nel fare l’esempio di una serata come Random non per attaccarla, ma per sottolineare come abbia dietro di sé delle dinamiche molto differenti.
Ecco. Di questo appello/sfogo di Andrea Oliva vogliamo prendere il richiamo al senso di comunità e di responsabilità: se il panorama del clubbing si sta imbruttendo rispetto a quello che vorremmo noi, noi per primi dobbiamo sentirci chiamati in causa, invece di stare lì a maledire cause esterne o l’idiozia altrui, il caro vecchio “O tempora, o mores…”. Ci pare un messaggio veramente bello ed importante, che potete perfettamente integrare al nostro articolo di Capodanno, lì dove auspichiamo il ritorno ad un clubbing più locale, meno globalizzato, meno gonfiato nelle cifre, meno standardizzato sulle solite rotte.
“Fare comunità” attivamente significa essere inclusivi, accoglienti, propositivi. Significa anche avere la pazienza di confrontarsi con chi non ha esattamente il nostro stesso background e magari viene dalle nostre parti solo per fare un po’ di caciara e mettere le gomme da masticare sotto i tavoli in cucina ed in salotto. Potremmo escluderli a priori, potremmo tenerli fuori senza nemmeno degnarli di uno sguardo; potremmo osservarli mentre ruttano e scoreggiano e bestemmiano su Facebook o in feste dove noi non andremmo mai, ma questa attitudine a non misurarci con la realtà alla fine ci porterebbe ad impigrirci, a restare a casa, a smettere di voler “entrare” anche fisicamente nel mondo. Col risultato che le cose che ci piacciono davvero, nel mondo reale, finiscono facilmente coll’appassire e col chiudere. La selezione la devi fare, non è che chiediamo che vada bene tutto a tutti; ma per farla bene, la selezione, devi prima misurarti con l’atto del selezionare e i suoi pro e contro, non farlo scattare a priori.
Perché lo dimostra la storia, quale fine fanno quelli che si rinchiudono solo ed esclusivamente nella propria torre d’avorio e nella propria omogeneità etnico-ideologica, rifiutando il confronto e attivando il disprezzo. E chiudendosi nelle proprie certezze, senza “sfidarle” mai.
Poi chiaro, sull’Alter Ego, sulle storture che ad un certo punto ha preso il clubbing italiano negli anni ’90 dopo aver scritto pagine eccezionali, su come certe scene e certe persone si sono adagiate e non hanno saputo magari confrontarsi con la dinamicità e le mutazioni del contemporaneo (ah, non stiamo parlando dell’Alter Ego o di qualcuno in particolare: parliamo di tutti, o comunque di molti) si potrebbe discutere parecchio, e magari lo si farà pure – così come lo si è fatto in passato (permetteteci di ripescare questa storica intervista che facemmo a quella persona di grande spessore che è Claudio Coccoluto, o anche quella ad un altro che ne sa, ne ha viste, ne ha fatte, ne ha pensate all’infinito, Alex Neri). Per ora però, concedeteci intanto di concentrarci su ciò che di buono si potrebbe fare (o non fare), e su cosa possono significare oggi per noi due annunci così distanti – ma che si sono succeduti uno dietro l’altro in questi primissimi giorni del 2019.