Il legame tra Torino e la musica elettronica è fatto di una lega composta da metalli molto forti. Ormai la città sabauda ha consolidato questa cosa grazie ai suoi grandi festival, parliamo ovviamente del Kappa FuturFestival e del Club To Club, oggi noto come C2C e dell’attesa per la tappa del Primavera Sound (che per ora resta solo una trattativa o una mezza bufala, del resto il calciomercato non si ferma mai). Ma prima dei grandi eventi Torino è una città che ha un forte legame con il clubbing, grazie a locali storici come il Doctor Sax e organizzazioni in grado di portare grandi nomi internazionali e attirare il pubblico. Con il passare del tempo è arrivato un decadimento, con poche notabili eccezioni (vedi il coriaceo avamposto techno Genau): la fine dell’epoca dei Murazzi e la perdita di spazi importanti per il dancefloor hanno cambiato la scena cittadina, arresasi al fatto che i grandi nomi preferiscono essere tra quelli elencati per i festival. Ma c’è chi è nato proprio all’inizio di questo decadimento con tanta passione ha creato qualcosa di fresco e distinguibile mettendo a posto tutti gli elementi che servono nel clubbing: un luogo intimo con una durata prolungata, un sistema audio chiaro e, forse la cosa più importante, un pubblico paziente e di mentalità aperta. Stiamo parlando di Outcast, organizzazione di eventi torinese nata nel 2013, distintasi negli ultimi anni grazie alla formula vincente di unire direzione artistica ispirata e party estesi in location fresche e ampie.
I party di Outcast sono un unicum in primis per l’atmosfera che cercano con delle feste lunghe. Un after può essere un posto speciale. La luce diurna crea un’idea intima che ha un profondo effetto sui clubber in un certo stato d’animo. Sono sessioni di musica e corpi che ondeggiano ricchi di stimoli. Outcast lo ha capito e scelto come modo ideale per creare qualcosa di distinguibile. Suoni ricchi arrivati ad una forte base electro, tra cassa dritta house e techno, partendo da un background micro house. Nella scena torinese questo sound ricercato e impareggiabile li ha elevati, portandoli a essere il posto più interessante in cui andare a vivere una serata in linea con l’idea clubbing di matrice berlinese. Una chiara linea musicale dal primo disco del warm up all’ultimo in chiusura, con dj resident rodati e in grado di saper approcciare alla consolle con set in crescita, in grado sia di divertire con tracce rimbalzanti che ipnotizzare con momenti più sobri ma significativi.
La scelta della location è un altro ingrediente della loro formula intrigante. Spesso accompagnate in locandina dalla scritta “Secret Location”, danno un’ulteriore aura di interesse, tra ville in collina fuori Torino, rocche medievali come quella di Verrua Savoia e locali nel Parco del Valentino in riva al Po. Che sia un open air domenicale, ballando a bordo piscina tutto il giorno con il panorama delle colline piemontesi sullo sfondo e la luce cambia, o che sia una festa notturna che ti sfida ad arrivare fino al pomeriggio del giorno dopo, è tutto suggestivo.
Ma, si sà, quello conta è sempre la musica, e l’identità chiara di Outcast ha una cura e un ricerca tangibile per l’appassionato, che hanno portato a forte interesse e collaborazioni anche fuori dall’Italia. Negli anni Outcast ha ospitato in città alcune icone del mondo dei “selector” come l’iconico Francesco Del Garda e il maestro Craig Richards, ma anche Binh, Nicolas Lutz, Onur Özer, Raresh, Janina, Sonja Moonear per non parlare di Christian AB, Quest, Giammarco Orsini. La selezione del disco da mettere è la chiave della festa, sia per la scelta ospiti che per la selecta dei resident, in grado anche loro di creare dj set ispirati e appassionati che raccontano qualcosa, di sorprendente e entusiasmante al punto da spronare mente e corpo a non fermarsi mai e arrivare fino alla fine.
I portabandiera di Outcast sono Alex Dima, Cristian Sarde, Munir Nadir, Paolo Macrì, Bakked, Lorenzo Airbone, Paul Lution, Denaila ed Emanuele Montalto. Ragazzi dotati di grande talento e passione, cresciuti artisticamente insieme al party come dj e qualcuno anche come produttore, arrivando ad affinare il loro stile coinvolgente. Il loro affiatamento è evidente se bazzicate le loro serate, e ha portato alla nascita di una label, Outcast Planet. Il loro spirito e un’innata capacità di ricerca li hanno portati a rappresentare Outcast anche fuori dall’Italia, in un’istituzione berlinese dell’Hoppetosse e anche negli altri continenti. Un’organizzazione di eventi che cresce organicamente e ormai sa farsi distinguere, in grado di diventare un’ammiraglia di peso anche in campo internazionale per la scena clubbing di nicchia, trasmettendo la propria passione al pubblico rendendolo fedele e consapevole dello svago può trovare.
Per raccontarci questa storia da un punto di vista interno abbiamo scambiato quattro chiacchere proprio con uno dei dj resident, forse l’artista che più porta la bandiera con il pianeta di Outcast in giro per il mondo, ovvero Alex Dima, classe ’94 nato a Ivrea, membro del team di Outcast dal primo giorno.
Infatti partiamo proprio da qui, come è nata l’idea di Outcast?
“Outcast è nata da un ‘idea di un gruppo di amici, in primis da Michele Leone e Salvatore Ficara, attuale owner del party assieme a Dario Zappavigna. Io e Munir Nadir siamo stati i primi artisti coinvolti nel progetto. L’idea era creare un party nuovo, partendo da artisti che ci piacevano che non avevamo mai avuto la possibilità di ascoltare ma che ci rappresentavano musicalmente. Negli anni ci siamo evoluti, partendo da un piglio diverso sia organizzativo che musicale. Siamo partiti dal Club Gamma per poi cominciare a pensare a location diverse in modo da creare party più lunghi, come a Villa Bianco e alla Rocca di Verrua Savoia, dove abbiamo ospitato Janina. Un dj set lungo permette agli artisti di esprimersi al meglio. É una nostra prerogativa”
Hai parlato di evoluzione musicale. Come si evolve un party?
“Spontaneamente. Negli anni abbiamo anche abbracciato le tendenze, in principio infatti c’era un impronta tech-house, ma ci ha permesso anche di conoscere generi musicali che ci hanno colpito e sviluppare un suono più personale. Il fatto di aver avuto la possibilità di frequentare party esteri e confrontarci con altre realtà è stata una molla per esplorare vari sottogeneri”
Avete un forte legame con diverse realtà straniere infatti, come Hoppetosse e My Own Jupiter, l’etichetta di Nicolas Lutz. Si vede l’affiatamento tra ospiti e resident, al punto che siete il punto di riferimento di determinati ambienti su suolo italiano. Ve lo aspettavate?
“Essere arrivati a creare questa grande rete di amicizie musicali è una grande soddisfazione. Le ospitate dei nostri resident all’Hoppetosse e in altri posti, oltre al fatto che alcune etichette vogliano fare lo showcase con noi, ci da grande appagamento. Significa che stiamo lavorando bene e trasmettendo qualcosa di positivo non solo al pubblico, ma anche ad addetti ai lavori con cui puntavamo a creare un rapporto”
Ha influito essere una realtà torinese, visto il richiamo underground della città?
“Quando abbiamo cominciato la proposta locale era ampia, quindi non era semplice. Noi ci siamo contraddistinti proponendo location differenti e non fossilizzandoci sull’evento legato al club notturno per come lo conosciamo, oltre a porre uno sguardo su cosa emergeva dall’estero. Il roster di resident molto affiatato ha anche permesso di creare una struttura organizzativa che permette alla festa e agli artisti di crescere in maniera organica.”
Negli ultimi due anni questo roster è andato a mettere dischi anche in altre parti del mondo, non solo in Europa.
“Abbiamo presentato showcase in giro per il mondo dal 2022. Prima Sudamerica, in Perù, Argentina, Uruguay e Paraguay. Eravamo io, Paolo Macrì, Cristian Sarde e Lorenzo Airbone. Da lì poi siamo passati a Stati Uniti e Centro America, fino al ritorno in Sudamerica lo scorso febbraio aggiungendo Brasile e Santo Domingo, esplorando paesi nuovi. Io singolarmente ho fatto un tour in Asia, sempre rappresentando Outcast. È incredibilmente affascinante conoscere culture differenti all’interno dell’universo clubbing, oltre alla gratificazione di poter portare la nostra idea di musica in giro per il mondo. Un frutto del nostro lavoro”
E c’è anche l’etichetta Outcast Planet, che vi aiuta ulteriormente nel rendere la musica di Outcast distinguibile. Cosa vi ha portato a intraprendere anche un progetto di produzione da legare alla festa?
“Il progetto della label è nato durante la pandemia. Anziché patire totalmente quel periodo ci siamo concentrati su un nuovo progetto. Questo ci ha permesso di non stare fermi. Abbiamo pubblicato quattro uscite (che qui trovate su Discogs) sfruttando anche i profili da produttore più evoluti nel nostro roster e in grado di creare un sound riconoscibile anche nelle produzioni. Abbiamo sfruttato la nostra versatilità nello sfruttare i sottogeneri, riuscendo a distinguerci in un panorama musicale molto ampio, spaziando tra house, techno ed electro, consolidando un suono distinguibile tanto per il party quanto nelle produzioni. È tutto figlio della passione che ci spinge verso la ricerca di dischi e il lavoro in studio”
Non siete rimasti fermi dunque. Vi ha aiutato a tenere viva e frasca la festa dopo la pandemia?
“Per quanto mi riguarda in quel periodo cercavo risposte, perché quando sei fermo ti fai un sacco di domande. Le risposte sono state positive, io ho avuto tanto tempo per la produzione, come altri resident. Lì abbiamo continuato a puntare sulla nostra idea canalizzando le energie, pensando in positivo a progetti differenti non per forza legati agli eventi. Ci ha permesso di ripartire con uno spirito nuovo. Abbiamo avuto una crescita esponenziale dopo la pandemia, anche in termini di legame con il pubblico, a cui non so sinceramente indicare un motivo specifico. Mi piace pensare che sia perché emaniamo la nostra passione. Ho l’impressione che sia un nostro punto di forza, non lo dico per vanteria, ma riscontro proprio apprezzamento da parte di chi viene a ballare la nostra musica e voglia di ritornare”
Avete organizzato tante belle serate negli ultimi 11 anni, penso al dj set di Janina nel castello della Rocca di Verrua Savoia. Quale ricordi con più piacere?
“Domanda difficilissima, anche perché abbiamo sempre cercato di alzare il livello. Ma immediatamente penso alla prima volta che abbiamo ospitato Francesco Del Garda a Villa Bianco. Tre ore di pura magia, spaziando tra electro con influenza anni ’80 e techno, nella sua maniera. Poi anche lo showcase con My Own Jupiter, 27 ore di festa in due location differenti. Recentemente la festa che più mi ha lasciato qualcosa è stato il resident party della scorsa Pasqua, il 9 aprile. Era una delle prime volte che tutti noi, dj ormai famiglia, eravamo presenti nella stessa line up, senza ospiti. L’abbiamo presa sul personale, sentivamo un’aria elettrica e siamo riusciti a creare una storia nella festa, dal warm up alla chiusura. Eravamo tutti fieri, l’abbiamo sentita come una cosa nostra”
Ci saluti con un disco importante per la formazione del vostro sound?
Mi prendo la briga di segnalare un disco fondamentale nella mia collezione, ovvero Manna, uscito su Apollo, la famosa sub-label di R&S Records. Mi piace ascoltarlo in qualsiasi momento e mi ha dato molta ispirazione visto che naviga tra downtempo, ambient e sonorità techno.