Ogni tanto ci sono dei dj set speciali. La qualità media in giro è alta, ormai – anche grazie all’aiuto della tecnologia e alla circolazione di suoni ed informazioni via web – è facile infatti trovare nel campo “nostro” mixaggi perfetti, e/o dischi ricercati, e/o riferimenti sofisticati. Un tempo questo era un allineamento dei pianeti non semplice, oggi – anche grazie ad un livello medio che innalza collettivamente l’asticella e lo standard, in Italia di dj bravi ce ne sono eccome, basta vedere la nostra lista targata Giant Steps – può invece capitare molto più facilmente di sentire delle cose fatte bene.
Bene. E’ proprio in questa situazione potenzialmente positiva ed interessante – che paradossalmente corre attorno a club e discoteche sempre più impegnate ad inseguire pagatissime guest internazionali che non danno granché di valore aggiunto se non la loro aura, svalutando intenzionalmente così il ruolo dei resident e dei talenti “di casa” – che diventa ancora più appassionante andare a capire dove si può nascondere ciò che è veramente speciale, ciò che oggi fa la differenza. E ciò che forse sarebbe meglio fare, tutti quanti, per ripristinare una dinamica felice e positiva.
Punto primo. Il cambio di prospettiva che le tecnologie e il web hanno dato non l’abbiamo ancora digerito del tutto, ragioniamo ancora per parametri vecchi: in troppi giudichiamo ancora bene un dj se mixa bene i pezzi del momento (anche quelli ricercati, eh!), e se è popolare. Dimenticando che oggi possono mixare bene tutti, possono essere aggiornatissimi tutti, e la popolarità te la costruisci non più (solo) col passaparola e macinando date su date accrescendo così in modo incrementale la tua popolarità, ma lavorando bene coi media – media che oggi sono i social, quindi a disposizione di tutti, ovvero non più come prima dove a dettare legge erano solo le testate “ufficiali” (radio, televisioni, magazine, dove ci sono le marchette sì ma c’è anche nei casi virtuosi un “controllo di qualità” che nei social è totalmente assente, rimpiazzato dalla bravura dei SMM).
Insomma: il panorama è drasticamente cambiato. E noi, noi pubblico, noi appassionati, noi addetti ai lavori con la responsabilità di “raccontare” una scena e un insieme di generi musicali, non l’abbiamo ancora capito del tutto. Ammettiamolo. Diciamolo chiaramente. Siamo ancora – consapevolmente o inconsapevolmente, con innocenza o per calcolata convenienza – arroccati a vecchie dinamiche, cose che rende il nostro spirito critico molto annacquato o proprio inesistente.
Ammettiamolo. Diciamolo chiaramente. Siamo ancora – consapevolmente o inconsapevolmente, con innocenza o per calcolata convenienza – arroccati a vecchie dinamiche
Attenzione: non stiamo dicendo che ieri era meglio, e oggi è peggio. Zero. Perché non abbiamo nessuna nostalgia per i locali dove regnava uno spirito “da Strapaese” imbarazzante agli occhi di un cittadino cosmopolita, per i resident piazzati in console solo perché bravi PR o parenti del proprietario, per i set dove venivano messi i soliti quattro dischi (e i soliti quattro dischi erano le hit più o meno underground del momento, magari vidimate dalla raccolta annuale di Sven su Cocoon), per il gap qualitativo che era evidente tra i dj di casa nostra – a parte poche eccezioni – e chi arrivava da Germania, Olanda o Inghilterra, molto più “sintonizzato” sulle novità. No, di questo non abbiamo nessuna nostalgia. Ed è anzi più che possibile dire che “…si stava peggio quando si stava meglio”: nel momento in cui ad aprire una discoteca in Italia o a fare una serata minimal-tech-house o anche a fare un rave techno si facevano con relativa facilità palate di soldi (magari in nero), ovvero la finestra di tempo tra anni ’90 e prima parte dei 2000, pochissimo è stato fatto per re-investire nella qualità, molto è stato fatto in bamba, in lussi, in riciclaggio di contante, in SUV, in pellegrinaggi ad Ibiza buoni solo per aumentare i fatturati nelle Baleari e non per portare pratiche virtuose (o fruttuose) dalle nostre parti.
Se oggi si è ancora così attaccati a dinamiche vecchie e/o così consolidate da esser ormai prevedibili e vagamente stantie, e che quindi in qualche caso mostrano proprio la corda al momento di fare i conti a fine serata, è perché ci sono impressi nella memoria collettiva dei promoter e degli addetti ai lavori un po’ i guadagni d’oro (e facili) di dieci, quindici, vent’anni fa, un po’ il fatto che con queste dinamiche in certi santuari (Ibiza, Berlino, Londra, i paesi economicamente in ascesa in Arabia ed Asia, l’emergente mondo dei grandi festival) si fanno ancora dei guadagni strepitosi. Ma noi non siamo Ibiza (anche se molte zone d’Italia potrebbero esserlo, e la Riviera lo è stata); non siamo Berlino (anche se a turno Milano, Torino, Roma, Napoli, Bologna c’hanno provato e si sono avvicinate); non siamo un paese economicamente in ascesa (dal 2007 ad oggi, la Germania è cresciuta come PIL del 18%, l’Italia è diminuita del 9%); non abbiamo, tolti Kappa FuturFestival e Club To Club, dei grandi festival che possono fare la voce grossa nello scacchiere internazionale.
Pochissimo è stato fatto per re-investire nella qualità, molto è stato fatto in bamba, in lussi, in riciclaggio di contante, in SUV, in pellegrinaggi ad Ibiza buoni solo per aumentare i fatturati nelle Baleari
In una parola: dobbiamo fare uno sforzo collettivo di ripensamento. E dobbiamo farlo contando sulle idee, sul rimettere a fuoco l’obiettivo su cosa ci piace e cosa vogliamo davvero, visto che non possiamo farlo a forza di mega-investimenti e/o di aiuti istituzionali. Siamo fortunati: nel doverlo fare per rinnovarci e sopravvivere, questo sforzo, siamo comunque uno dei pubblici più caldi e ricettivi per tutto ciò che è clubbing, e abbiamo in molti dj, negli addetti al settore di nuova generazione e in alcune eccellenze evergreen delle menti sveglie, preparate e sintonizzatissime sul meglio che succede nel mondo. Lontano appunto dallo “Strapaese” anni ’90 e primi 2000, che era intaccato in quegli anni solo dalle cellule “alternative” che si ispiravano alla Londra o Berlino di quegli anni, degli “alieni” praticamente (…e infatti dal settore del clubbing dell’epoca erano visti come tali, anche se ora qualcuno fa finta di dimenticarsene).
Domanda: di cosa allora abbiamo bisogno veramente? Quali sono le nuove linee guida da adottare? Proviamo prima di tutto a rispondervi con la musica, con questo strepitoso set di Claudio Coccoluto per Timeless (una joint venture tra Nameless Music Festival e Molinari per percorrere l’Italia in sette tappe altamente simboliche e scenografiche, facendo ruotare ogni appuntamente attorno ad un dj set). Ah, una cosa, tanto per leggere subito nei pensieri dei più cinici, “saputi” ed “imparati”: se leggendo Claudio Coccoluto avete storto il naso (perché vecchio, perché il “solito stronzo” arbasiniano), e lo stesso avete fatto per Nameless Music Festival (un festival di trap e di EDM) e Molinari (“Ah, allora è una marchettata commerciale”), facciamo che prima vi ascoltate questa ora di set, poi ne riparliamo.
Avete ascoltato? Avete ascoltato con attenzione? Bene. Allora siete consapevoli che avete assistito a quello che, probabilmente, è il miglior set del 2020, almeno qui dalle nostre parti. È lontano il Claudio Coccoluto degli anni – in teoria – d’oro, delle “doppie” o “triple” a weekend, del pilota automatico con la house (fatto molto bene, per carità), della volontà di giocare al gioco del suono-del-momento per dimostrare di essere al pari dei campioni stranieri. Tutte cose che hanno avuto un senso, sia chiaro, nel momento in cui sono state fatte. Ma da qualche anno Claudio ha infilato un percorso molto più particolare, annunciato e descritto anche in una intervista rimasta negli annali di questo sito, percorso dove ha (ri)preso in mano la sua creatività e la sua sensibilità, dove ha deciso di perlustrare in lungo e in largo nel suo bagaglio culturale, dove si è detto che non era più la priorità essere il più famoso, il più pagato, il più conosciuto, il più richiesto. Volpe e l’uva? Tipo che anche se avesse voluto comunque non ce l’avrebbe fatta, visto che comunque non era più nei giri “giusti” internazionali? Può anche essere, ma chi se ne frega. E, en passant, secondo noi non è così.
E’ successo semplicemente che ad un certo momento il successo, i soldi, la fama non ti bastano più. Non danno una soddisfazione sufficiente, se in origine la tua passione nasce dalla musica e non dalla voglia di avere, appunto, solo la triade soldi-successo-fama. Scatta qualcosa in te. E vuoi tornare a cercare la scintilla originaria. Non è un processo semplice. Non è un processo rassicurante (all’inizio sembra quasi che tu sia uno che perde posizioni, che non è più forte come prima, che non è più un booking sicuro). Non è un processo che dia garanzie.
Ad un certo momento il successo, i soldi, la fama non ti bastano più. Non danno una soddisfazione sufficiente, se in origine la tua passione nasce dalla musica
…ma ascoltatelo, il set che Coccoluto ha fatto per Timeless. Una lezione di stile e storia; una visione a metà tra house e radici africane virate però all’iper-futuro; un capolavoro di gestione del bpm, sfiorando addirittura passaggi terzinati e creando delle autentiche “fatemorgane” ritmiche; una liberazione dalla dittatura del pezzo “attuale”, ma anche un rifiuto delle hipsterosissime logiche di ripescaggio dettate da chi si abbevera troppo supinamente al dekmantelismo. Incidentalmente, ha fatto tutto questo suonando solo vinile, ma non è il caso di concentrarsi su questo, se non per dire che fare tutto quanto sopra in vinile è doppiamente difficile che farlo con le chiavette e con Live: ma il punto è la musica, è la sua qualità, sono le idee che veicola, quella sul vinile è una falsa guerra, perché è molto meglio – ed è molto più sano – un bel set con le chiavette che un set di merda o prevedibile vinyl only.
Sono set come questo che, se ascoltati attentamente ed analizzati nello “spirito”, possono indicarci da dove ripartire. Uno, dallo studio: i dischi vanno conosciuti, ma vanno conosciuti intimamente, non solo accumulando tracce scaricate via web a migliaia, perché solo i dischi che conosci veramente e che hai interiorizzati ti permettono di fare dei mixaggi creativi e non scontati. Due, dalla voglia di mettere il marchio della propria personale creatività: c’è molta inventiva, moltissima, in questi sessanta minuti di musica. Tre, dal fregarsene delle regole di mercato: è un set dove non c’è il suono-del-momento, e anche le reference “africane” non sono quelle pacioccose e diluite spacciate dal Black Coffee di turno ma rischiano, spingono, graffiano. Quattro, dal senso della scena: bisogna essere coinvolgenti, bisogna “parlare” con la musica, costruendo una grammatica, un percorso, e costruendolo così bene che alla fine l’irrompere di “Personal Jesus” dei Depeche Mode è un trionfo inaspettato, un desiderato colpo di scena, e non la paraculata finale per aizzare un prevedibile e telefonato “Se non metti l’ultimo / noi non ce ne andiamo” (“Personal Jesus” in un bootleg confezionato anni ed anni fa da Luca Bacchetti – ecco, a proposito di dj da cui ripartire… Luca Bacchetti è sicuramente fra questi). Cinque, dal senso di libertà: Cocco ha costruito questo dj set non (solo) per fare bella figura a favore di streaming, ma sapendo di non avere la Spada di Damocle del pubblico in pista da soddisfare (cosa che spesso ti spinge a non mirare troppo “in alto”, visto che in fondo il tuo lavoro è in primis tenere la pista piena, se sei un dj) si è preso parecchia libertà e non si è fatto problemi a cercare passaggi complicati, “colti”.
La colpa è stata in primis degli artisti, della loro insicurezza, della loro voglia di primeggiare… venendo in questo discretamente aizzati dai propri management e dai propri agenti
Ecco, quest’ultimo aspetto è un po’ mancato, nei mesi di lockdown e nei vari streaming. Troppe volte, soprattutto all’inizio, abbiamo sentito moltissimi dj che facevano dei set “normali”, come se stessero suonando in una serata: in questo modo dimostravano di essere divenuti ormai (inconsapevolmente) schiavi di una routine, di una abitudine, di una serie di (false) sicurezze – cosa che gli ha impedito di cogliere il vero, notevole potenziale dei dj set on line, che era quello di permettersi digressioni, rallentamenti, racconti, nuove prospettive. Invece no, una specie di spirito competitivo ha colpito quasi tutti, come se fosse necessario non far parlare la musica ma far parlare il proprio ruolo e la propria esistenza nel mercato, nella scena, facendo vedere di essere sempre un ottimo dj da bookare una volta che riaprono i club, le discoteche, i festival. Che se ci pensate è un po’ il modo in cui per anni in tanti hanno usato le comparsate in Boiler Room: un modo per mettersi in vetrina, facendo vedere in tutto e per tutto cosa si sarebbe fatto in una serata “normale”, e del resto si poteva capire visto chi lo faceva che per un bel po’ di tempo proprio i numeri fatti in Boiler Room hanno guidato le scelte di parecchi art director anche molto quotati. La dovevi trattare l’apparizione in BR come la tua occasione per dimostrare che eri un investimento redditizio, e che avevi i titoli e la presa sulle persone per entrare nel “giro giusto”. E non che la colpa di questa (spiacevole) situazione fosse del team della Boiler, che invece è sempre stato molto creativo nello scegliere le line up, nel lanciare format particolari, nell’evitare di diventare solo un’appendice della “solita” serata; no, la colpa è stata in primis degli artisti, della loro insicurezza, della loro voglia di primeggiare… venendo in questo discretamente aizzati dai propri management e dai propri agenti.
Questo sistema non rende più. O non rende più come prima. Devono emergere nuovi valori. Devono emergere nuove consapevolezze. Bisogna resettare la mente. Dobbiamo farlo, dobbiamo farlo tutti – dj, producer, art director, manager, agenti, addetti al settore, sedicenti addetti al settore, pubblico – se vogliamo ritrovare sia il guadagno, sia una passione che non sia per forza dipendente dai free drink, dalle visite in bagno, dal farsi percepire come vincenti&introdotti, dalla possibilità di esibire un trofeo il mattino dopo. Chi accetta questa sfida e vuole percorrerla, non sarà vincente subito, ma fra cinque anni lo sarà. E, di sicuro, se la vivrà oggi come domani in maniera molto ma molto più serena, felice, soddisfatta. Che è la cosa che conta di più – nel clubbing come nella vita.
…ecco: questo è quanto una semplice ora di musica, con Claudio Coccoluto ai controlli, un pomeriggio di luglio a Roma, ci ha fatto pensare. E sentiamo davvero l’urgenza di condividerlo con voi.