Ora si sta iniziando a vedere la luce in fondo al tunnel: le riaperture, le code ai cinema fin dall’alba, le caute possibilità di riaprire con la musica dal vivo, ancora di più le belle notizie che arrivano dagli esperimenti di Barcellona. Una piccola catena di segnali importanti in un contesto fatto però ancora di mille dubbi: riaprire tutto in estate ci riporterà ad un autunno drammatico, come già successo? E le varianti, le varianti del virus come si comportano e cosa comportano? Stiamo riaprendo troppo presto? Stiamo riaprendo troppo tardi? Il coprifuoco è una misura ridicolo ed inutile o, come pensa gran parte dell’Europa (in qualche caso calcando la mano come in Francia, dove alle 19 tutti a casa) è una misura in qualche maniera utile e necessaria?
Però bisogna guardare in avanti. Bisogna fare quello che si può per riacquistare – nel rispetto delle leggi, del buon senso e della civiltà – almeno una parte dei tanti pezzi di vita che ci sono stati tolti. E’ come una strada in salita: in cui devi pedalare forte, soffrire parecchio, resistere alla tentazione di arrenderti e rinchiuderti in casa nella paura, ripetendoti invece che anche la più inutile, singola pedalata è qualcosa che ti sta avvicinando al traguardo.
Purtroppo la domanda è anche: come ci arriveremo al traguardo? C’è chi per la pandemia ha perso solo la socialità ed una vita emotivamente sana; ma c’è chi da ormai un anno e mezzo non lavora più (o ho lavorato solo per un refolo di vento estivo, l’anno scorso), ed ha avuto ristori risibili, pari al 5% del fatturato totale annuo (se la vostra vita è costruita grazie ad uno stipendio fisso di poniamo 1500 euro al mese, è come se per un anno vi impedissero di lavorare, smettessero di pagarvi e, alla fine, come ristoro, vi dessero 900/1000 euro e “…e siamo a posto così, dai”: forse così rende un po’ l’idea). Ripartiremo, sì. Ma nel comparto dello spettacolo e degli eventi molti non ripartiranno, purtroppo; o ripartiranno con meno mezzi e/o molti debiti. Dovranno stringere i denti. Dietro al divertimento e agli eventi di cui (si spera!) tutti godremo dall’inizio di quest’estate, ci sarà una professionalità ferita di molti operatori che in un anno e mezzo si sono visti impoverire (i più fortunati, i più potenti) e hanno rischiato di non arrivare fino a fine mese se non attingendo da risparmi propri sempre più esigui, o da aiuti di amici e parenti. Ricordiamocelo. Chi lavora nello spettacolo e negli eventi non è solo uno stronzo affarista evasore pieno di soldi, o un dj/musicista/artista brillantone viziato pieno di figa e droga, anche se il moralismo benpensante che in Italia è ancora moneta corrente continua imperterrito a “spingere” questa visione delle cose come unica vera e veicolabile, per sentirsi con la coscienza a posto. No. Non lo è.
In tutto questo quadro, ci sta eccome che le realtà del mondo dello spettacolo ricorrano al crowdfunding. Chiedano cioè direttamente alla gente un aiuto. Non è mancanza di dignità, non è bassa questua, tutt’altro. E’ un “Ehi, abbiamo bisogno di una mano”. Ad esempio, siamo felicissimi di segnalare il crowdfunding del Biko, live club milanese: un posto che sempre e da sempre è un’oasi di amore per la cultura, di umanità messa davanti al profitto, di qualità e personalità artistica come stella polare, di voglia di non omologarsi alle mode più facili (e di non monetizzare svergognatamente quando si sale sull’”onda giusta”). C’è ancora qualche giorno per contribuire. Facciamo l’esempio del Biko perché chi scrive abita a Milano: ma ciascuno cerchi il “proprio” Biko nella propria città, nella propria regione, fatelo davvero. Realtà il cui lavoro e il cui approccio abbia acceso scintille e passioni nel proprio cuore e l’abbia fatto in modo profondo, al di là del mero intrattenimento indistinto e superficiale, e che magari hanno dimostrato negli anni di voler giocare sano&propositivo nel mondo della cultura, di voler giocare corretto.
Pochi giorni fa è salito però alla ribalta un altro tipo di crowdfunding: non quello di una piccola realtà che vuole stare a galla e farlo con dignità senza diventare “invisibile”, ma il crowdfunding di un posto che è a dir poco un simbolo assoluto a livello globale. Un posto di cui tutti hanno parlato, di cui molti parlano e di cui, siamo convinti, tutti parleranno di nuovo in futuro. Il Cocoricò. Allora: questa è la pagina, mentre questo è il video a corredo dell’operazione.
Allora, un po’ di contesto. E’ necessario darlo. Come tutti ricorderanno, due anni fa si chiudeva ufficialmente un’era, col fallimento del Cocoricò e la sua chiusura definitiva. Del significato e della portata di tutto questo, ne abbiamo scritto qui – non a caso uno degli articoli più letti nella storia di Soundwall, vista la portata in primis emozionale dell’argomento.
Chiudevamo il nostro testo così: “Magari rinascerai dalle proprie ceneri. Magari rinascerai prima di subito”. Lo scrivevamo non a caso, ecco, perché sapevamo già che c’era l’interesse di grandissimi operatori del mondo del clubbing (e non solo del clubbing) a riprendere in mano il tutto, e a far risorgere il mito della Piramide. Così è avvenuto, in effetti, ed abbastanza a stretto giro: fra le varie offerte arrivate alla proprietà delle mura, alla fine l’ha spuntata quella capeggiata da Enrico Galli, una delle eccellenze fra gli operatori della notte in Italia, galantuomo e persona correttissima (a detta di tutti, ed a detta dei fatti), imprenditore navigato che in questa operazione ha stretto un’alleanza con un’altra figura da tempo conosciutissima nel settore, Antonella Bonicalzi (già proprietaria per vie famigliari dello storico Nautilus di Cardano Al Campo, vicino a Malpensa, e che poi ha aperto altri capitoli nella sua carriera di imprenditrice nel mondo dei live e del clubbing tra cui il più grosso è sicuramente Decibel Open Air). Il 27 gennaio 2020, con un atto notarile, Galli e Bonicalzi rilevavano la possibilità di operare sotto la volta della Piramide. Qualche mese più tardi, a luglio, Galli faceva ancora di più, rilevando il marchio Cocoricò (che era pignorato per una vecchia causa tra Gabry Ponte e la precedente gestione) e spuntandola in un’asta che partiva da una base di 100.000 euro. Perché sì: quei soldi – e anche molti, molti di più – il semplice marchio Cocoricò li vale.
Li vale, in tempi normali. Li vale probabilmente in assoluto, a dire il vero, ma in tempi normali ha insomma più che senso fare investimenti davvero grossi in Riviera, come del resto confermava il progetto Musica Riccione creato dal duo Pinton / Cipriani (uno dei più forti operatori nel mondo del clubbing da decenni con l’erede di una delle dinastie più forti a livello mondiale nell’ospitalità e ristorazione). Dopo anni di appannamento, la Riviera tornava al centro del mondo, anche perché nel frattempo pure realtà che avevano resistito tutto questo tempo, vedi Villa Delle Rose, trovavano il modo di strutturarsi per bene di nuovo grazie a proprietà importanti (i Buffagni, che si sono anche fatti carico di riportare agli antichi splendori un posto storico come il Matis di Bologna).
E’ la dimostrazione di una vecchia teoria, che in Italia fa sempre fatica ad entrare nella zucca delle persone, ma questo perché troppo spesso siamo davvero ma davvero scemi: più c’è concorrenza, meglio si sta. Più gente si dà da fare in un settore, meglio è per il settore. Chiaro, non è che non puoi combattere anche aspramente col competitor della porta accanto; ma quando combatti per distruggerlo, stai minando anche il terreno sotto i tuoi piedi. Dovrebbe essere ovvio e chiaro, ma l’ego e l’individualismo cifra stilistica talora salvifica per il Bel Paese sa essere anche zavorra, idiozia e distruzione. Chissà se riusciremo mai ad imparare a gestire intelligentemente tutto questo.
Ad ogni modo: in tutti questi grandi piani (e grandi investimenti!) per far rinascere la Riviera è entrato, all’improvviso, il “cigno nero” che nessuno si aspettava e nessuno poteva aspettarsi: la pandemia. E’ vero che quando fai grandi investimenti devi anche mettere in conto un margine che ti permette di allungare i tempi di rientro se ci sono contrattempi o se non tutto va subito per il verso giusto (se non fosse così non sarebbe un investimento, sarebbe un bancomat), ma qualcosa della portata di una pandemia che blocca tutto o quasi per più di un anno non era facile metterlo in conto. Invece, è arrivato.
Ecco che allora il buzz ricorrente sulla bocca degli addetti al settore nella prima parte dell’anno scorso, ovvero “Il Cocco ce la fa a riaprire per Pasqua?” (risposta: sì, ce l’avrebbe fatta, con un evento one off, era anche pronta la line up, poi si sarebbe preso una pausa per ripartire a pieno regime in estate), si è semplicemente spento. Non ha aperto per Pasqua 2020, il Cocoricò: la pandemia era deflagrata da un mese e poco più. Non ha riaperto per l’estate: c’erano troppe poche certezze per far ripartire una macchina così grande e complessa. Musica Riccione ce l’ha fatta invece ad aprire per l’estate, contando su una struttura più agile ed evidentemente più rodata e “pronta”, così come la Villa Delle Rose ha fatto il solito ed anzi pure più del solito, prendendosi dei nomi “da Cocoricò”; ma anche su di loro è caduta la scure post Ferragosto, gentile omaggio non tanto e non solo dei dati pandemici in rialzo ma soprattutto delle alzate d’ingegno bauscia alla Briatore (un benchmark negativo che gli imprenditori della notte – e chi ha orecchie per intendere intenda – dovrebbe smettere di seguire).
Chi lavora nello spettacolo e negli eventi non è solo uno stronzo affarista evasore pieno di soldi, o un dj/musicista/artista brillantone viziato pieno di figa e droga, anche se il moralismo benpensante che in Italia è ancora moneta corrente continua imperterrito a “spingere” questa visione delle cose come unica vera e veicolabile
L’idea di “assorbire” questa scure durante la stagione invernale, riaprendo un po’, è presto annegata di fronte al dramma della seconda e terza ondata di Coronavirus. Tutti fermi. Che poi oh, qua stiamo parlando della Riviera, che almeno per molti una ventata di attività e di fatturati li ha potuti fare a luglio e metà agosto, idem in Puglia e in altri posti di villeggiatura marittima; ma pensiamo ad altri posti, altre zone d’Italia. Pensiamo ad esempio alla Lombardia. Pensiamo a Milano, indiscutibilmente da un decennio capitale della musica live e del clubbing italiano: ferma. Da marzo 2020. Con qualche bellissima ma economicamente irrilevante parentesi estiva. Ma ferma. Completamente.
Il quadro è fosco, insomma. E’ duro. E per chi aveva investito in grossi, grossissimi progetti prima della pandemia, con business plan che ovviamente non potevano prevedere un Coronavirus, è adesso ancora più fosco, ancora più duro. Ci sta che il Cocoricò abbia scelto allora la strada della “chiamata alle armi”, del crowdfunding. Non è un Biko, il Cocoricò; non è un piccolo posto che fa resistenza culturale che ha bisogno dell’aiuto degli affezionati più puri – non lo è, non raccontiamoci bugie. Ma che in seguito alla situazione straordinaria (e straordinariamente negativa) in cui si è ritrovato chieda aiuti, ci sta. Assolutamente ci sta.
Fine della premessa: scusate se era lunga, ma era necessaria. Il contesto è tutto. Ed è necessario per capire anche meglio alcune delle considerazioni che ora faremo.
Il Cocoricò non si è limitato a dire “Ehi, dateci una mano”: ha fatto di più, ha usato questo crowdfunding pure come un modo per iniziare a (ri)darsi una identità. Ok, il Cocco riapre, ma che Cocco stiamo per ritrovare? Quello degli anni ’90, disruptive, esplosivo e folle, ai limiti dell’autolesionismo? O quello gladiatorio della gestione Diabolika, tra grandissimi nomi sia tech-house che EDM? O un Cocco “in difesa”, come quello dell’ultimissimo periodo, quando già le sofferenze finanziarie iniziavano ad influenzare le scelte artistiche e logistiche?
L’apparato comunicazionale che è stato fatto circolare attorno al crowdfunding pare voler dare una risposta molto precisa: la prima che abbiamo detto. Gli anni ’90. Il ritorno cioè (anche) ad una componente culturale, “angolare”, legata pure al teatro. Ci racconta direttamente Enrico Galli: “Abbiamo coinvolto un cast di persone per raccontare in modo non convenzionale una storia e un’idea. Il drammaturgo e regista Emanuele Aldrovandi ha colto lo spirito di questa idea e le ha dato una forma, l’attrice di grande esperienza teatrale Irene Petris ne ha interpretato il messaggio, e il team creativo di Unfollow Advertising ha sviluppato il progetto. Questo è l’inizio di un percorso che Cocoricò vuole proporre, tracciare una linea precisa sul futuro della Piramide, una commistione di arti e culture”.
Non solo: nel testo che accompagna il crowdfunding viene esplicitamente citato Loris Riccardi, il vero deus ex machina dell’aura e della magia del Cocoricò anni ’90, quelle che fottendosene di ogni calcolo, di ogni convenienza e di ogni buon senso hanno spinto sull’aspetto artistico e (contro)culturale dell’esperienza-Cocoricò, con zero snobismi elitari ma credendo fermamente nella forza purificatrice dell’edonismo (…che personaggio pazzesco, Loris: fortunato chi gli ha regalato la propria notte e propri pezzi di vita). Continua infatti Galli: “Il riferimento esplicito all’era Loris è spiegato dal concetto stesso della “Repubblica Discocratica Cocoricò”: Passato, Presente, Futuro. Non esiste Presente e Futuro senza il rispetto del Passato, Loris ha creato l’immaginario del Cocoricò. Noi abbiamo creato un’immagine che rispettasse il passato e il concetto di “teatro discoteca” per trasportarlo nel 2021 e trasformarlo in “Museo Discoteca”, e qui sempre per spiegare la commistione dei background delle persone coinvolte, apertura totale per la Piramide del futuro”.
Sì, perché il crowdfunding Cocoricò non è solo “Dateci dei soldi!”, è un “Dateci dei soldi, noi in cambio vi diamo delle cose subito e, se tutto va bene, siamo pronti a darvi delle cose ben strutturate quando riapriamo“. Come appunto il MUDI, il “Museo Discoteca”.
Tutto bene? Tutto bello? Potenzialmente, sì. Però ci sono alcune puntualizzazioni da fare. Uno: a fare un museo non ci si improvvisa (a meno che non si sia un ricco rampollo annoiato che si apre una galleria, ma pure lì bisogna avere un minimo di preparazione e di sensibilità). Un conto è dire “Ehi, apriremo un museo!”, ma poi bisogna essere attenti a non trasformare questa cosa in un semplice specchietto per le allodole, in un progetto buttato lì così tanto per fare bella figura da abbandonare poi nell’irrilevanza, appena si capisce che sposta molto poco a livello di biglietti venduti, di drink serviti e di reach dei PR “da strada”.
Questo primo punto ci porta direttamente al secondo: benissimo il rimando agli anni ’90 e al Cocoricò nella sua identità più “arty”, ma siamo pronti a metterne nel computo i costi? Le scelte di direzione artistica di Loris erano, economicamente parlando, una zavorra, tant’è che la successiva gestione Diabolika le ha semplicemente spazzate via (anche perché, non l’avesse fatto, il Cocoricò sarebbe morto già un decennio e passa fa). In certe cose bisogna crederci e bisogna farle bene: bisogna realmente “respirare arte”, bisogna davvero avere il coraggio di osare a costo di rimetterci, bisogna davvero rompere gli schemi prestabiliti (anche quelli che apparentemente funzionano benissimo), bisogna mettere nei posti strategici persone di polso e personalità che non si fingono artistoidi per fare bella figura per cinque minuti e poi tornare all’incasso ed al mercanteggio, ma che davvero ti rompono le scatole a fin non di bene, ma di “unicità” artistica. Può andarti molto bene, ma può anche andarti molto male. Devi mettere in conto entrambe le cose. L’identità “arty” del Cocoricò è una scommessa suggestiva, se percorsa onestamente e con un disegno ben preciso, ma comunque non priva di rischi, dilemmi e difficoltà.
Se il mondo del clubbing è diventato un’arena per ricchi viziati e/o un luogo dove spremere i portafogli delle persone proponendo un divertimento massificato, è in primis per colpa nostra e delle nostre scelte
E qui arriviamo al terzo punto: dove vuole andare, musicalmente e (quindi) dal punto di vista industriale, il Cocoricò? C’è una parte in grassetto, nella pagina ufficiale del crowdfunding, che un po’ ci spaventa: “I migliori DJ al mondo torneranno a suonare sotto la Piramide di vetro di Riccione”. Volendo, è una frase generica che ci sta, è self-promotion in fondo, che problema c’è; ma ad un’analisi più critica, emergono delle problematicità da sviscerare. Chi sono oggi i “migliori DJ al mondo”? I più popolari? I più grossi, i più acclamati? E’ una strada che già era stata percorsa dalla gestione Diabolika, quella appunto gladiatoria: “Prendo i migliori e i più grossi, e vaffanculo a tutto e tutti”. Una scelta che già in tempi un po’ più sostenibili di quelli odierni si è rivelata difficile da sostenere ma che oggi, con i fee degli artisti musicali che nell’ultimo quinquennio pre-pandemico sono lettaralmente esplosi, è davvero molto, molto difficile da portare avanti. A maggior ragione se hai già la zavorra economica dell’approccio “arty”. Il rischio, insomma, è di voler (…vendere?) la botte piena e la moglie ubriaca. O semplicemente di avere un business plan troppo ambizioso.
La domanda infatti è: perfetto il crowdfunding, ma ha senso chiedere ai propri affezionati 450.000 euro, quasi mezzo milione di euro insomma, aka un miliardo delle vecchie lire? Perché questa è la soglia finale a cui è stata fissato il crowdfunding suddetto. Ci dice Galli: “Il tetto che abbiamo impostato è un obiettivo ideale per realizzare al meglio i progetti futuri, compreso il MUDI, Museo Discocratico”. E’ una cifra importante. E’ una cifra con cui altri locali anche importanti potrebbero andare avanti per due, tre anni, minimizzando o proprio azzerando i rischi. Ottimo per il Cocoricò se riesce a raccoglierli: segno che c’è un amore e un rispetto per il marchio davvero infiniti (…a dimostrazione di come riscattare il marchio all’asta spendendo cifre a cinque zeri sia stata una scelta ponderata, non un gettare soldi); ma resta qualche perplessità, perché chiedere una cifra così alta legandola alla aleatoria e non scontata generosità che il pubblico dovrebbe dare ancora a “scatola chiusa” lascia un po’ così. Espone anche ad articoli dai titoli fastidiosi ed offensivamente sbrigativi, come già avvenuto:
Ma al di là dei titoli del cazzo, la domanda che ci si pone a questo punto è: cosa succede se quella soglia non si raggiunge (a chi partecipa al crowdfunding, sia chiaro, non succede nulla, quello per cui avete pagato e fatto la vostra offerta al 100% lo otterrete, “Tutti i reward ai nostri sostenitori saranno consegnati ugualmente a prescindere del raggiungimento dell’obiettivo” conferma Galli, e la sua parola vale come poche altre nel mondo dell’imprenditoria notturna). Ovvero, girando la domanda ma il concetto resta lo stesso: quanto la vita futura del Cocoricò è legata al raggiungimento totale o parziale di soldi chiesti al pubblico prima ancora di aprire, chiesti “sulla fiducia” e mettendo come garanzia la gloria e le attitudini passate, in qualche modo insomma “usando” quest’ultime prima ancora di aver dimostrato di esserne effettivamente all’altezza. Una domanda non secondaria.
Non è questione di “fare i conti in tasca agli altri”, attenzione, ma sbilanciarsi così tanto a livello di “azionariato popolare” fa chiedere quanto il progetto complessivo possa essere saldo&solido davvero al di là della presenza e dell’apporto dell’azionariato suddetto. Come sono insomma ripartiti gli equilibri. Di nuovo: il Cocoricò non è il Biko. Non è un circolo associativo, un piccolo gioiellino dall’identità e dalle finalità ben precise. Il Cocoricò, per dimensioni, è invece sicuramente un’industria che deve fatturare, che ha un peso dirimente nell’economia (ed anche nella società e nella politica…) di un intero territorio; è un’industria che si scontra quotidianamente con interessi forti – a partire da quelli stronzi ed avidi dei dj (e dei loro management), che vogliono sfruttare la rinata imprenditorialità notturna in Riviera per dare vita ad aste su cui lucrare sempre di più tanto per riprendere il fatturato perso con la pandemia (…e non ripreso del tutto andando a suonare a Tulum o a Zanzibar).
Chi tifa contro il Cocoricò, e si augura il suo insuccesso, non ha capito niente
Chi tifa contro il Cocoricò, e si augura il suo insuccesso, non ha capito niente. Non ha capito niente se è un clubber, perché perdere una rinascita di questo tipo sarebbe un brutto colpo a prescindere per il mondo che si ama. Non ha capito niente se è un addetto al settore ed un imprenditore, perché un Cocoricò che riparte e funziona avrebbe un effetto positivo a cascata su tutto il comparto, a maggior ragione se dimostra di poter funzionare imponendo lui delle regole sostenibili, e non facendosele invece imporre da chi ha drogato il mercato nell’ultimo decennio (…ehi ciao, artisti e management e agenzie di booking e macchine dell’hype, sì, stiamo parlando di voi!).
Ma cosa ha in testa il Cocoricò, oggi? Ha davvero bisogno di quasi mezzo milione di euro extra, in arrivo sotto forma di donazione “sulla fiducia”, per portare totalmente a compimento il suo progetto di rinascita? E, a che tipo di pubblico sta parlando?
Il nostro sogno è che parli e voglia parlare ad un pubblico composito, maturo, anagraficamente sfaccettato, trattato soprattutto come entità pensante e non come parco buoi da titillare. Ma qui si arriva ad un punto decisivo: il pubblico siamo noi, e più noi saremo migliori – e più avveduti, più critici, più esigenti – più il Cocoricò (ma anche i suoi competitor!) sarà un posto migliore.
Noi, come pubblico, abbiamo il diritto e il dovere di essere rompicoglioni. Se il mondo del clubbing è diventato un’arena per ricchi viziati e/o un luogo dove spremere i portafogli delle persone proponendo un divertimento massificato, è in primis per colpa nostra e delle nostre scelte (…e se tu che stai leggendo ora stai pensando “Ma che cazzo vuoi, io ascolto solo Aleksi Perälä e vado ai party underground dove gli headliner sono della PAN, non Michael Bibi”, la verità è che se ti accontenti dell’essere nicchia e pensi solo ad essa vuol dire che te ne fotte dell’ecosistema collettivo globale). E’ bello che noi si abbia un ruolo attivo. E’ bello che il Cocoricò abbia chiamato la “sua” gente a farsi sentire, a dare una mano concretamente (lo sta facendo: come ci tiene a dirci Galli, “Vorremmo approfittare per ringraziare tutti i fan che nei primi giorni hanno mostrato tantissimo affetto al Cocoricò, abbiamo ricevuto numerosi messaggi di amore e sostegno“), ed è bello che l’abbia fatto col richiamo alle sue radici più nobili; ma è altrettanto bello che noi lo ascoltiamo, lo aiutiamo anche, ma gli chiediamo pure conto di cosa vuole davvero e di dove ci vuole portare.
Ora che piano piano tutto sta per ripartire, dobbiamo essere tutti più maturi, più realistici, più generosi e più coinvolti, visti i mesi durissimi da cui arriviamo (e che potrebbero non essere ancora finiti).
Ci si vede in Piramide.
(…e in Puglia, al Social, in Sardegna, in Veneto, nella Marche, in Liguria, in Toscana, in Sicilia, a Torino, a Nameless, al Decibel, a Jazz:Re:Found, alla Villa, a Musica, eccetera eccetera eccetera)