C’è una cosa positiva, nella “crisi del clubbing” di cui tanto si parla (e che effettivamente c’è, esiste, non è una speculazione mediatica): alla fine i progetti seri, fatti dalle persone serie sono quelli che resistono e vanno avanti. Roma ne è un esempio perfetto: una delle città dove più è difficile fare cose. Un po’ perché a Roma è difficile qualsiasi cosa, un po’ perché il pubblico è volatile, un po’ perché la questione delle venue è sempre ingarbugliatissima (aprono, chiudono, i permessi sono sempre incerti magari nemmeno per colpa della venue stessa). Ma i professionisti, quelli che portano avanti le cose seriamente e con un background di spessore, sono ancora lì (…con qualche nuova realtà dalle idee chiare che inizia ad affacciarsi).
Questo è sicuramente il caso di Minù, al Circolo degli Illuminati. Una serata da sempre nei nostri radar, e che continua ad esserlo. Del resto, il Circolo è una location molto, molto interessante: bella, polifunzionale, con spazi aperti e chiusi modulabili. E la crew che porta avanti il tutto è fatta da gente di valore. C’è tra l’altro una consapevolezza su cui in tanti battiamo il tasto da un bel po’ di tempo a questa parte: valorizzare i resident. Se ne parlava anche nell’intervista col boss di Tropical Animals, a Firenze, pochi giorni fa. A Minù l’hanno sempre fatto, ma quest’anno lo fanno ancora di più, per una scelta ben convinta e che, ovviamente, condividiamo al cento per cento in questo momento storico.
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Chiaro, non mancano in programmazione gli ospiti di spessore: c’è stato William Djoko lo scorso 28 settembre, ci sarà il trio Shonky, Ghenacia e Dyed Soundorom aka Apollonia il 19 ottobre. Ma c’è anche lo scouting, vedi lo spot da main guest girato alla giovane promessa Lamache il 26 ottobre. Però l’ossatura di questa stagione ha come stelle prima di tutto la batteria dei dj resident, ed è una batteria scelta molto, molto bene. Questo il quartetto: Valentino Kanzyani, Fabrizio Maurizi, Germano Ventura, Jujet. L’ultimo nome è la scommessa “giovane”, il talento da crescere, mentre Kanzyani, Maurizi e Ventura sono a nostra modo di vedere i classici nomi che non sono (più) alla moda, ma che hanno un’esperienza, uno spessore e un vissuto che gli permette sempre e comunque di “leggere” la pista e di creare la festa.
Anzi: proprio il fatto che non siano i nomi sulla cresta dell’onda del momento è diventata, paradossalmente, una garanzia in più. Perché gli osservatori attenti sanno che chi finisce sulla cresta di questa onda finisce col suonare tanto, tantissimo, e spesso inizia a standardizzare i propri set, a renderli un po’ compitini. Non sempre, eh, perché la classe è classe; ma l’hype è un meccanismo molto velenoso e sfinente che finisce spesso non diciamo con lo stritolarti, ma almeno col costringerti a lavorare con un “safe mode” creativo che è una fisiologica arma di difesa contro lo stress e contro il fatto che tutti ti vogliono, tutti ti cercano, e tu per vari motivi non riesci a dire di no.
A Minù di questo sono consapevoli. E sanno cosa significa creare una club night: ovvero, un posto dove prima di tutto c’è bisogno di entusiasmo e c’è bisogno di autenticità. Teneteli sempre d’occhio, sono una delle certezze di Roma. Una città dove il clubbing sarà anche in crisi, ma dove chi vale veramente è lì, resiste, fa cose belle, fa cose bene.