Qualche giorno fa, partendo dall’annullamento di un festival di alta qualità a Torino, abbiamo voluto fare un ragionamento sugli effetti della serie di ordinanze piovute sui cittadini di quasi tutto il nord Italia. Effetti che, forse, non sono stati soppesati a pieno.
A partire da questa mattina, 26 febbraio, ha iniziato a circolare un appello molto preciso al sindaco di Milano, Beppe Sala. Vi consigliamo di leggerlo con attenzione:
Ora. Al di là del fatto della specificità “locale” di questo appello (sono coinvolte al momento tutte realtà che operano nella capitale lombarda o nel suo hinterland; soprattutto, è un appello rivolto al sindaco di una precisa città), ci sono forse alcune considerazioni da fare.
La prima è come effettivamente un certo tipo di sfera culturale sia in qualche modo storicamente abituata ad essere “snobbata” dalle istituzioni e, di conseguenza, non abbia mai sentito il bisogno o la necessità di fare lobbying, attività in cui invece altre realtà – gli enti lirici, per dire – sono bravissimi.
Un evento di rottura è stata l’elezione di Giuliano Pisapia che, da totale sfavorito, nel 2011 scalzò Letizia Moratti alla guida della città della Madonnina. Al di là di come la pensiate politicamente, è un dato di fatto che quel cambio di rotta ha segnato l’inizio di una stagione molto fortunata per Milano, deciderete voi se per merito oppure per banale culo: lo provano non solo le percezioni mediatiche, che spesso possono essere fuffa, ma tutta una serie di indicatori. Personalmente siamo molto critici con la tendenza di Milano e di molti suoi abitanti negli ultimi anni a lodarsi e ad incensarsi, nascondendo l’eventuale polvere sotto il tappeto: ci vediamo spesso un riflesso condizionato di quella ansia di spalmare del “marketing” su qualsiasi cosa, in qualsiasi momento, a qualsiasi condizione. Ma questo non deve far dimenticare che Milano è diventata effettivamente un posto migliore dove vivere e che molte energie culturali ed imprenditoriali – con una interessante saldatura fra queste due componenti – si sono liberate e hanno dispiegato molto del loro potenziale. Una cosa che fa bene a (quasi) tutti.
Lo abbiamo visto anche nel clubbing, andando nello specifico “nostro”: Milano, una volta liberate certe energie non solo come scelte amministrative ma proprio come mentalità cittadina, è diventata una città fra le migliori in Europa. Ogni weekend continua ad esserci una scelta quasi imbarazzante. Il che significa più modi per uscire la sera, più posti di lavoro, generazione di ricchezza culturale ed economica per la collettività, relegando a lamento provinciale e fuori dal tempo le varie equazioni preistoriche sulla “discoteca”, quelle che spesso tengono in vita le discoteche ormai inadeguate e settate su modelli vecchi e discutibili e rendono la vita difficile a chi invece innova, a chi vuole sincronizzarsi con le pratiche europee più virtuose.
Il punto è: l’elezione di Pisapia – che ha fatto da traino alla successiva elezione di Sala – ha avuto un suo momento-cardine in un evento pensato ed organizzato da realtà vicine alla sfera della cultura, un grande concerto davanti a Milano Centrale. Sono praticamente tutti concordi: il punto di svolta della campagna elettorale del 2011 – e, di conseguenza, della vita successiva di Milano – è stato esattamente quel concerto. Una determinata sfera culturale e sociale (che va dal clubbing alla cultura “giovane”, alla musica live e alla ristorazione non convenzionale) ha dimostrato all’improvviso di poter essere decisiva, di poter spostare le sorti della politica. Caso probabilmente unico in Italia. Caso unico allora, caso unico – purtroppo – ancora adesso.
Beppe Sala lo sa. Infatti ha sempre guardato con molta attenzione a questa sfera. Prestandosi a fare cose che altri sindaci in passato non solo non avevano mai fatto, ma proprio non avrebbero mai pensato di fare (un esempio su tutti, il farsi intervistare da Marracash fra le mura di Santeria Social Club). Ma anche un certo modo di comunicare, certe scelte… insomma, vari fattori.
Ora però è la sfera che ha bisogno di Sala, delle istituzioni. Non viceversa. Ne ha bisogno per un motivo molto pratico: soldi, sostegno economico. Le ordinanze regionali, necessarie o meno, stanno mettendo in ginocchio vari settori economici, e lo fanno molto di più in questa sfera che in altre (il discorso che ormai avrete letto ovunque che i bar devono chiudere alle 18, i cinema non aprire e i concerti devono saltare, ma i centri commerciali e i ristoranti restano aperti).
La posta in gioco crediamo sia non (solo) quello dell’appello che abbiamo sopra riportato. Anche perché il margine di manovra del Sindaco di Milano sulle ordinanze è limitato (comunque contano di più le scelte a livello regionale o nazionale), e anche dal punto di vista delle compensazioni economiche il suo potere legislativo e le sue risorse arrivano fino ad un certo punto. La posta in gioco è, piuttosto, che si deve riconoscere l’importanza di chi crea cultura “nuova” e al tempo stesso anche chi fa cultura “nuova” deve imparare a farsi riconoscere. Questo è un punto focale, e ci auguriamo lo sarà sempre di più nei prossimi anni.
La posta in gioco è che si deve riconoscere l’importanza di chi crea cultura “nuova”, e al tempo stesso anche chi fa cultura “nuova” deve imparare a farsi riconoscere
L’Italia deve stare attenta a non diventare un paese vecchio, impaurito, sclerotizzato, incapace di gestire la complessità richiesta dalle sfide del presente: un presente dove la cultura si evolve, le persone viaggiano come mai prima, l’economia muta alla velocità della luce.
…le stesse cose che fa un virus, guarda caso. Ed interventi autorevoli hanno evidenziato la possibilità che l’errore originario dell’Italia sia stato proprio quello di chiudere gli aeroporti ai voli proveniente dalla Cina – unico paese a farlo – senza però considerare che l’infezione può arrivare anche con voli via scalo, e in più abbia anche pensato che questa misura del chiudere gli aeroporti fosse sufficiente, quando invece erano altre le maniere in cui si potevano (e dovevano) intercettare e gestire i casi problematici. E’ un parallelismo, sinceramente, significativo.
In questo momento la priorità è garantire la salute e la sicurezza di tutti. Al secondo posto, come priorità, tornare ad avere un’informazione e un sistema dei media civile, che si dà il compito di raccontare i fatti e non invece di inseguire i clic e le copie vendute (vergognoso in più casi ad esempio il comportamento di Libero e di Open, tanto per non nascondersi dietro ad accuse generiche: tra strumentalizzazioni politiche del Coronavirus e sensazionalismi voluti per raccattare attenzione nel grande “rumore di fondo” dell’informazione, lì spesso si è toccato il fondo, con grande irresponsabilità e povertà morale e culturale).
Ma al terzo posto, bisognerebbe iniziare a capire che la cultura, un certo tipo di cultura non ingessato, non passatista, non museale, è un valore essenziale. Assolutamente essenziale. Ovvero, una cultura e un tessuto sociale elastici e consapevoli abbastanza da permetterti di “leggere” la contemporaneità, di non essere rinchiuso in bunker fisici o mentali, di fare sistema, di superare le difficoltà quando si presentano con la forza delle idee, dell’innovazione, del coraggio e non invece con quella dei grandi capitali o delle reti di potere o di vecchi automatismi.
Stando a Milano, facciamo un esempio dolorosamente concreto: la Scala è di sicuro un’eccellenza da non abbandonare, ma nel 2018 ha ricevuto dallo Stato 32,4 milioni di euro, dal Comune 5,8 milioni di euro, dalla Regione 3,3 milioni di euro. Dai privati ha raccolto quasi 26 milioni di euro. Se la Scala fosse l’unica fonte di cultura e di impatto sociale reale in città (nonché di stimolo all’innovazione), avrebbe senso dare tutto a lei e le briciole al resto. Ma le cose stanno veramente così? O stiamo utilizzando male i soldi pubblici?
Ecco. Forse ci sono alcune vecchie convinzioni, vecchie certezze su dove stanno i “centri di potere”, da rimodulare. Un altro mondo esiste, nella cultura. Ed è lì fuori che si fa il mazzo, da anni, senza particolari sostegni, abituato a non essere considerato come risorsa ma solo come “sfizio”. Male: bisogna iniziare a riconoscerlo. Bisogna iniziare ad apprezzarne il valore, la rilevanza nel tessuto sociale più virtuoso e la vitale importanza nel far marciare potenzialmente meglio una nazione.
Bisogna farlo, prima che sia troppo tardi e il declino per eccesso di sclerosi sociale e di paura diventi inesorabile.
Ah, e già che ci siete leggetevi questo. Perché non esiste solo Milano. E non riduciamo tutto a Milano. Qui, signore e signori, è un problema che riguarda l’intera nazione.