“Le esperienze cambiano le persone, il successo è un’esperienza”: Fabri Fibra diede questa risposta durante un’intervista rilasciata per Esse Magazine, alla domanda se il successo lo avesse cambiato. Il successo è un’esperienza molto intensa; e se già di per sé ogni persona cambia con la crescita, l’incontro/scontro con il successo non può che modificare la vita di chi lo esperisce. Questo preambolo serve ad introdurre il disco che in questi giorni è balzato in testa alle classifiche di Spotify: “Dark Boys Club”, ovvero il ritorno della Dark Polo Gang, a circa due anni di distanza dal platinato predecessore “Trap Lovers”. Le premesse che accompagnavano questo lavoro erano quelle di un ritorno al 2016: ed è proprio da quell’anno che bisogna partire per capire il senso di questo lavoro. Il 2016 è stato molto semplicemente l’anno di svolta del rap italiano, l’anno in cui la Quarta Repubblica del rap nostrano ha preso il potere, con una nuova generazione che si è affacciata al grande pubblico, rivoltando come un calzino il mercato discografico italiano.
Tra gli allora newcomers, il gruppo più odiato e divisivo era senza dubbio il fu quartetto romano della Dark Polo Gang, e tutto questo per una serie di motivi che si possono riassumere nella frase: se ne fregavano. Il rap prevede le rime? Bene, loro rispondevano “Se vuoi che ti faccio le filastrocche, ti faccio le filastrocche”. Il rap chiede contenuti? Loro, non provavano neanche a dire qualcosa che fosse sensato. Bisogna dare messaggi? Loro di messaggi non ne avevano. Il tutto mischiato con un’estetica peculiare, un vocabolario spregiudicato, produzioni di impatto, e una positiva cafonaggine. Risultato? scacco matto alla scena, e presa del ruolo di più amati e odiati del rap game.
Ancora oggi c’è chi non li considera neanche rap, e sono pari a quelli che invece credono che la Dark Polo Gang sia il gruppo più influente esistito in Italia post Club Dogo (e, in generale, ben più di una moda del momento). A ben vedere, i secondi non hanno torto.
Infatti, i ragazzi più giovani che ora tentano di fare trap (anche) involontariamente si ispirano molto più alla Dark che a qualsiasi altro rapper o collettivo. Questo perché la grande illusione che il gruppo romano portò al tempo, fu di dare l’impressione che anche persone apparentemente senza talento potessero fare il rap. I loro coetani (come Sfera, Ghali, Rkomi, Ernia e Izi) avevano già anni fa evidenti qualità tecniche e stilistiche che gli avevano permesso di avere un riscontro di pubblico immediato, che andava di pari passo con la stima di addetti ai lavori, e di colleghi storicizzati. Al contrario, la Dark Polo Gang ebbe un riscontro di pubblico enorme e basta, senza passare dal riconoscimento altrui, se non da quello dei colleghi più vicini anagraficamente parlando. Questo essere outsider divenne un punto di forza: era un fiore all’occhiello per loro non possedere alcuna qualità canonica.
Il 2016 è stato molto semplicemente l’anno di svolta del rap italiano, l’anno in cui la Quarta Repubblica del rap nostrano ha preso il potere
Non a caso per i primi anni sono stati considerati alla stregua delle Kardashian del rap italiano. Non avevano alcuna qualità artistica apparente che li rendesse appetibili per la scena già consolidata, ma solo un immaginario in grado di fare il botto, perché unico e riferibile solo a loro soltanto. Questo immaginario si basava su simboli riconoscibili e di grande impatto, mischiati al linguaggio dei tamarri cresciuti con l’idea post Club Dogo, ovvero che anche gli zarri e i coatti potevano fare il rap. Il risultato fu enorme, soprattutto tra i giovanissimi, che si stavano allora affacciando al rap, perché molto semplicemente, come disse Wayne in un’intervista per Noisey “Gucci è Gucci ovunque, e Fendi è Fendi ovunque”.
(“Dark Boys Club”, la fine di un ciclo? Continua sotto)
In questo senso la Dark Polo Gang ha quindi prodotto una quantità infinita di epigoni, più di chiunque altro, epigoni che nella DPG hanno visto un modello da imitare e una possibilità da seguire. Alcuni di questi derivati sono anche riusciti e sono veri hitmaker (vedi Mambolosco, che non ha a caso è nella loro etichetta), ma il cordone ombelicale riconducibile alla Dark è comunque evidente.
Per cordone ombelicale si intende, ripeto, l’idea che anche senza apparenti qualità, in presenza di un immaginario personale, sia possibile affermarsi. Il che non sarebbe sbagliato, se non fosse che questo concetto è spesso male interpretato, anzi, invertito, e si assiste all’ascesa di giovani e giovanissimi che ricercano la fama per mezzo di idee posticce, copiando lo stile, il linguaggio e le produzioni dei colleghi più affermati. Gente il cui massimo contributo è portare al limite dell’eccesso e del ridicolo idee già in circolo. Se questo può aver funzionato per alcuni, ora però quello che resta in tavola sono le briciole di un mondo che è stato cannibalizzato – e che in quattro anni ha perso la sua scintilla magica. L’esplosione si è esaurita poco dopo la loro trilogia di mixtape: “Crack Musica”, “Succo di Zenzero” e “The Dark Album”, che avevano avuto il merito di fare terra bruciata attorno ai canoni del rap.
L’ascesa della Dark, trainata soprattutto da “The Dark Album” e da “Sportswear”, ha avuto un effetto a valanga, e quello che inizialmente era un chiodo grosso come una trave nella superficie della scena, divenne rapidamente sistema. Infatti, parallelamente alla costante rivalutazione dei loro lavori precedenti (basta osservare la differenza dei commenti sotto i video di You Tube per rendersene conto: quelli vecchi sono insulti, quelli recenti sono “questa si che era la Dark”), il gruppo ha attraversato peripezie di vario tipo: dall’uscita dolorosa e sanguinosa di Side Baby allo scontro con il pop di “Twins” e “Trap Lovers”. In particolare gli ultimi due lavori, pur ottenendo riscontri commerciali ottimi, hanno avuto un apprezzamento tiepido da parte dello zoccolo duro, che avrebbe desiderato un ritorno alle origini – al “pollo e cocaina” tanto per intendersi. E “Dark Boys Club” è esattamente questo: un ritorno al 2016 da parte del gruppo, che consegna agli ascoltatori un prodotto di impeccabile fanservice. Quindi ecco che torna la trap più ossessiva, i testi sconnessi, le metafore assurde e irriverenti come “oro giallo sembra piscio” – e soprattutto il pollo e la cocaina in padella di Tony Effe. Tutto questo sarebbe perfetto, in teoria, l’ideale chiusura del cerchio con il gruppo che ritrova la propria anima e si riavvia verso una nuova fase; ma, in pratica, il risultato è diverso, e ci sono delle perplessità molto grandi in merito a questo ultimo lavoro, così come alcune domande che rimangono in sospeso.
Punto primo, quest’anno è il 2020, e non più il 2016: quindi le peculiarità sopra elencate che qualche anno fa avrebbero fatto impazzire tutti, benché strappino un sorriso, non possono più avere lo stesso impatto. Come si diceva prima il giochino ormai è rotto, e sul piatto ora rimangono le briciole di un immaginario che è stato spolpato da tutte le direzioni. Punto secondo, non possono neanche avere la medesima credibilità, perché se è vero che artisti come Gue Pequeno hanno insegnato come si possa fare del gran rap creando quasi un mafia movie, fa comunque abbastanza ridere immaginare gli artisti Dark Polo nelle trap house a cucinare il crack.
Qualcuno potrebbe obbiettare che al di là dell’Oceano molti rapper vivono di una sola idea buona, e poi continuano a marciarci sopra negli anni (vedi Future, Lil Uzi e Young Thug su tutti); e che persino i cloni riescono ad avere riscontri di vendita importanti pur copiandone lo stile, l’immaginario, il modo di verstire etc (vedi i vari Gunna, Lil Baby). Ma l’America è una cosa e l’Italia è un’altra, i numeri sono diversi e la torta negli USA è infinitamente più grande… quindi tutti riescono a mangiare in qualche modo. E comunque, al di là di considerazioni numeriche, non è il massimo per un’artista riciclare la medesima idea per una carriera intera. Detto questo, è anche vero che nel rap e in generale nella musica, questo è sempre esistito, quindi nessun problema apparente, o comunque niente di nuovo sul fronte occidentale. Però questo scenario dà la dimensione della situazione in cui ora si trova la Dark.
La Dark Polo Gang ha smesso di “essere” la wave: ha iniziato, semplicemente, a seguirla
Un limbo all’interno del quale è difficile immaginare una dimensione ulteriore rispetto a quella già esplorata. E da qui arriva la domanda delle domande: cosa può offrire ancora la Dark Polo Gang? il ritorno a questo 2016 così agognato e desiderato dai fan, ha mostrato a tutti come siano ancora degli hitmaker (“Pussy” e “4L” sono vere hit), ma sembra che non abbiano più potenzialità artistiche apparenti o che in qualche modo abbiano esaurito il proprio ciclo di innovazione. In generale, sembra che abbiano smesso di essere la wave, e abbiano invece incominciato a seguirla. Non è infatti un caso che, da un punto di vista stilistico e di rap, il trio abbia provato ad omologarsi maggiormente a dei canoni più tradizionali: c’è una ricerca maggiore nella quadratura delle rime, o anche dei tentativi di interpretazione maggiore da parte degli autori, vedi Pyrex in “Dark Love Gang”. Ma il risultato lascia abbastanza perplessi perché spesso risulta molto elementare e, quasi altrettanto spesso, insufficiente. Altrettanto poco casuale sembra la scelta di infarcire il disco di collaborazioni, che sono il vero asse portante sul quale si regge l’intero lavoro, un problema non da poco se questo vuole essere un disco di rilancio.
Quindi tutto da buttare? Non proprio. Semplicemente “Dark Boys Club” è ad oggi il disco più “standard” della Dark Polo Gang: un disco che è perfettamente in linea con il mercato, giusto e preciso, impacchettato alla perfezione e con tutto quello che dovrebbe avere un disco trap per essere di successo in Italia nel 2020. Insomma è l’esatto opposto dei principi originari con cui era nata la Dark. La Dark Polo Gang è morta, viva la Dark Polo Gang.
“Dark Boys Club” è forse la chiusura di uno dei cicli più interessanti che il rap italiano abbia offerto negli ultimi, un gruppo che nel bene e nel male ha lasciato un’impronta indelebile su questo genere in Italia. Non un brutto risultato per un pugno di persone senza talento, vero?