Pronto ad uscire con un nuovo singolo intitolato “I Just Can’t“, estratto dall’ultimo album di studio “Sixteen Chapel”, Crookers non è di certo uno che necessita di introduzioni prolisse. Intervistare un tipo come Phra, però, può rivelarsi contemporaneamente la cosa più difficile e più divertente del mondo, come in effetti, alla fine è stato. Difficile perché quando sei di fronte a certi personaggi, alla loro carriera e alla loro discografia, mettere da parte quel briciolo di timore reverenziale, non è proprio come dirlo. Per capire il perché del “divertente”, invece, basta leggere le sue risposte, esattamente il tipo di risposte che ci aspettavamo da lui. Schietto, senza peli sulla lingua né giri di parole, non ce le manda a dire neanche quando lo stuzzichiamo su argomenti non esattamente “politically correct”, e ci regala una chiacchierata esaustiva, decisamente colorita, e anche, a tratti, introspettiva. Ci piace così, eccome!
Ho letto in una tua recente intervista, che l’ispirazione per “Sixteen Chapel” ti è venuta una sera in cui ti sei messo a scavare tra i vecchi sample che avevi nell’hard disk, molti dei quali risalgono addirittura a periodi precedenti a “Tons of Friends”. Sei uno di quelli che pensano che tutto prima o poi torni, insomma…
Si, in realtà ho “scavato” tra vecchi hard disk che ho ritrovato una sera cercando tra i resti del mio 38esimo trasloco e proprio in uno di quei vecchi hard drive ho trovato un paio di loop che ho utilizzato per “Sixteen Chapel”, in generale per me era importante mantenere la “vibe” e il “groove” di Crookers e riascoltando quel vecchio materiale (che era datato 2000/2001 quindi ben prima dell’inizio del progetto Crookers) ho capito al volo in che direzione volevo che questo mio “primo” album andasse. Ero uno di quelli che sperava che nulla tornasse e che l’evoluzione portasse sempre a qualcosa di nuovo, ma negli anni le circostanze mi hanno fatto ricredere e devo ammettere che è palese che tutto DEVE ritornare, non è una scelta né credo nella reincarnazione… è la realtà.
Sai qual è la traccia che mi ha colpito di più, in “Sixteen Chapel”? “Eyes Eyes Baby”. Non riesco a capire se sia un verso a Vanilla Ice, oppure semplice, sublime nonsense, mi aiuti?
Mi fa piacere che un cristiano tipo il sottoscritto stia seduto ore in studio, e anni a cercare di evolvere il proprio suono al meglio e di spingersi oltre e che la critica si accorga e venga colpita da un loop prefabbricato da Logic con una “barzelletta” nonsense detta da una voce robotica… mi sa che ho appena avuto un’altra rivelazione e già so cosa farò nel mio prossimo album.
L’album è la prima release ufficiale di quest’anno, sulla tua Ciao Recs: molti dj sfruttano la propria label per scovare e coltivare giovani talenti che poi diventeranno, in un certo senso, una sorta di loro “eredi”, tu l’hai trovato, il tuo? Anzi, domanda a monte: ne vuoi avere uno?
A dire la verità non sto cercando un mio erede e non ne ho bisogno, l’unico erede che avrò sarà quello che infilerò tra le cosce di mia moglie, che dio la benedica!
Sempre in tema Ciao Recs, ho notato che credi molto nel free download: è la tua risposta al momentaccio della discografia e/o allo streaming?
No, ci sono progetti che sono “fatti” per essere dei free downloads, credo che oggigiorno la maggior parte dei meglio producers che ci sono in giro sia tutta alla ricerca di un modo di farsi ascoltare dal maggior numero di persone; quelli che non si vogliono confrontare con “marketing”, “marchette”, “radio pluggers” “mailing lists” etc… sperano che con il free download la propria ascesa al successo sarà più rapida e indolore, o che almeno il maggior numero di dj suoneranno le proprie cose. Io (con Ciao Recs e LuckyBeard Rec da un certo punto di vista cerco di fare da mediatore tra questi producers e, forse, un pubblico più vasto di quello che potrebbero avere loro con le proprie gambe, tutto li.
Tornando sul sampling, sembri uno a cui piace proprio giocare con i campionatori: hai una fonte preferita a cui attingere i samples, o campioni qualsiasi cosa riesca ad ispirarti?
Per la maggior parte campiono schifezze da YouTube.
Vieni dalla cultura hip hop, e per molti versi ci sei ancora dentro: questo matrimonio dei rapper con l’elettronica sembra proprio una storia seria…
Calcolando che “Day’n’Night” di Kid Cudi, nella versione che feci in cameretta a Mergozzo un po’ di anni fa conta poco più di 15 milioni di copie vendute mi sa che la faccenda è ben più che seria e non solo nella salsa “4×4” (cassa dritta) ma per esempio vedi Drake che con Noah 40 ha insegnato a tutti come usare l’elettronica nei beat rap con classe.
Mi pare di capire che non ami particolarmente le etichettature di genere, ma sarai d’accordo se dico che ogni stile ha un suo contesto, dei confini, che poi possono essere più o meno nitidi. In che contesto collocheresti la tua musica, oggi, nel 2015? Con che cosa confina, secondo te?
Proprio perché non amo e non capisco le etichette faccio un po’ fatica a collocarmi musicalmente. Dal punto di vista del DJ credo di essere un buon DJ, o meglio un vero DJ, di quelli che ancora fanno selezione, che cercano di stupire e che non hanno il set prestabilito per far esaltare una mandria di microcefali. Dal punto di vista del produttore, mi colloco tra quelli che hanno ancora tanto da imparare, nonostante abbia raggiunto un notevole successo e abbia e stia lavorando con un sacco di “celebrità” non mi sento ancora del tutto realizzato, forse è per quello che continuo a spingere in questo modo. Parlando di confini direi che su 3 lati confino con delle mura e dalla vetrata vedo il mare.
In più di una occasione, le tue (vostre, nei casi in cui Bot era ancora parte del progetto) tracce sono state inserite nelle soundtrack di videogiochi: sei un gamer?
Ho avuto il mio momento, impazzivo per “Ghost’n’Goblins”, poi ho iniziato ad avere problemi con il numero di ore di cui è composta una giornata e ho dovuto mollare. In realtà la collaborazione con i produttori di video-games continua, non posso dire molto ma proprio in questi giorni la mia manager ha fatto un paio di riunioni a Los Angeles a riguardo.
Possiamo dire che il remix di “Day’n’Night” e “Dr. Gonzo” siano stati i momenti che più hanno influito sulla definitiva consacrazione dei Crookers? Come avete reagito a quei successi?
Non mi piace parlare di queste cose al plurale, posso dire come ho reagito io, ovvero sono rimasto un “montagnino” a cui piace la musica, forse solo un po’ più contento di 15 anni fa.
Un anno dopo “Dr.Gonzo”, poi, Bot abbandona il progetto: il sound marchiato Crookers non sembra averne risentito più di tanto, la direzione è sempre quella; a livello personale e di organizzazione del lavoro, in studio e dietro la consolle, invece, cos’è cambiato?
Potrei scrivere un trattato a riguardo, fare polemiche e svelare segreti insvelabili, far capire che a volte quello che si vede da fuori non corrisponde alla realtà di quello che poi c’è all’interno di un progetto musicale… ma ahimè, posso solo dire che a livello professionale sono sempre stato un gran lavoratore e quindi lo “split” non ha cambiato la mia “routine” in studio e nemmeno dietro alla consolle, tantomeno ha cambiato la musica di Crookers né il successo come DJ quindi vale la pena di usare un bel: tutto è bene quel che finisce bene!
Vivi ancora a Milano? Hai modo di osservare o frequentare la scena del clubbing meneghino e italiano in generale? Che idee ti sei fatto in proposito?
No, vivo all’estero da 6 anni, in realtà per spostamenti di lavoro non riesco a stare fermo nello stesso posto per più di 2 mesi consecutivi da ormai più di 10 anni quindi mi sento come uno zingaro senza i denti d’oro. Non seguo la scena clubbing di Milano né quella Italiana perché non ne ho tempo, ma seguo quella dei nuovi produttori e credo ci sia un incredibile dose di talento in Italia che va spinta di più e trattata con maggior rispetto (escludendo i beceri che hanno scoperto la parola EDM e BIG ROOM negli ultimi due anni!). Siamo i primi a non valorizzare i nostri compaesani, ma per quanto possa servire, detto da uno che vive in aereo e sta a contatto con un mondo di persone ogni weekend, prego chiunque legga questa intervista di smetterla di “esaltarsi” o “innamorarsi” per mister nessuno americano, tedesco, francese, o australiano, denigrando sempre il povero (oltretutto bravo) Italiano. Citando una persona che stimo molto: “me lo devono far vedere per dire se ce l’hanno più lungo del mio!”
Lavori a strettissimo contatto con una delle figure più discusse e controverse dell’elettronica di questi anni, Steve Aoki, spesso usato come capro espiatorio per i peccati di goliardia dell’EDM: raccontaci un po’ di lui e della Dim Mak dal tuo punto di vista, al di là delle torte e dei trampolini…
Dim Mak ha preso in licenza per l’America il mio singolo con Jeremih e l’album “Sixteen Chapel”, così come lo ha fatto Universal per l’Italia, One Love per L’Australia, Black Butter per l’Inghilterra e la lista potrebbe continuare per almeno 20 minuti. In generale se guardi in America ho sempre cercato di lavorare con persone che fossero indipendenti e che conosco da anni, A-Trak, Diplo e Mad Decent con “Dr.Gonzo” e adesso Dim Mak per “Sixteen Chapel”; forse ho paura di Interscope o delle grosse major che mi hanno fatto proposte da capogiro con un sorriso “made in China” che avrebbe spaventato anche uno dei fantasmi nel “Pirati dei Caraibi”. Aoki e la sorella li conosco dal 2005 quindi son 10 anni, è un grande showman (io non riuscirei a fare la metà delle acrobazie che fa lui, sarei probabilmente già morto) e credo che volente o nolente sia il risultato di quello che il gran numero delle persone voglia oggigiorno, lo SHOW, sempre più SHOW, ANCORA PIU’ SHOW!
Detto questo nei miei prossimi dj set non mi vedrete:
1) saltare nella gente
2) tirare oggetti nel pubblico
3) urlare per più di 2 volte “su le mani” al microfono
4) portare pantaloni finto pelle / tuta a toppe.
5) fare il simbolino del cuoricino (che forse ho cercato di fare nel 2008 un paio di volte ma mi viene male e sembra sempre il gesto della “FICA”)
6) Suonare con la consolle spenta
7) Schiacciare tasti inesistenti
8) mettere colli a V (scusa TJR!)
e la lista la fermo qui perché potrei divertirmi per anni…
Ci saremmo divertiti anche noi! Del tuo rapporto con Bob Rifo, invece, che mi dici? Visti dall’esterno sembrate due personaggi quasi agli antipodi, tu esuberante e giocherellone, lui un po’ sulle sue, schivo e misterioso…
Bob è un tenerone in bianco e nero, io sono uno schivo, giocherellone a colori.
Ho buttato un occhio alle tue pagine sui social network, in ogni post emerge alla grande il tuo carattere, il tuo lato più matto, e forse è anche per questo che i tuoi fan li seguono con particolare attaccamento: non sei certo uno di quelli che ha bisogno di un social media manager…
Mi diverto a postare qualcosa su Twitter e su Instagram anche se sono uno di quelli che spera di tornare a quando i cellulari facevano solo le chiamate e gli sms, il computer faceva solo la musica e la macchina del caffè faceva solo il caffè. Ho un po’ paura che i social media stiano prendendo il sopravvento sulla realtà e mi spiace perché sono ancora uno di quelli a cui piace pigliarsi un “vaffanculo” in faccia detto da una persona che abbia un volto e vedermi un concerto senza avere i crampi perché devo registrarmelo tutto sul cellulare (che poi ‘sti cellulari, quante cazzo di ore posso stare in rec?).
Ah, su questo direi che ci trovi piuttosto d’accordo! A livello di collaborazioni, invece, nel corso della tua carriera hai condiviso lo studio con un sacco di personaggi “ingombranti”, discograficamente parlando. C’è qualcuno con cui vorresti lavorare a tutti i costi? Qualcuno che ti faccia pensare “cazzo, vorrei proprio fare un disco con quello lì!”?
Di collaborazioni come produttore ne sto facendo pure troppe, negli ultimi due mesi sono stato chiamato o imbucato in talmente tante sessioni in studio con i più disparati che ho materiale abbastanza per poter non uscire dallo studio per i prossimi 3276451823189 anni ed essere nei crediti di metà del rap dei prossimi anni. In generale, come Crookers le collaborazioni che voglio fare le faccio, se stimo una persona musicalmente o personalmente al 99% dei casi ci finisco in studio, è naturale. Come Phra, Francesco o altri aka segreti, ovvero come produttore/ingegnere, lavoro con chi fa musica che mi piace e mi paga per quello che faccio senza fare troppe storie. “Business is business”, come dicevano gli EPMD!