Il mainstream, no? Quello che facciamo finta non ci riguardi. Quella che è solo plastica, che suona sempre lo stesso e mortifica la passione dei veri artisti. Quello che ogni persona di buonsenso dovrebbe rifuggire, no? Beh, tutte balle. Nel senso che è vero, in quel che definiamo mainstream queste cose accadono. Ma la verità è che il mainstream non esiste. È semplicemente il modo che usiamo per bollare le frange di qualsiasi genere, quando a questo viene “la febbre commerciale”. È solo un nostro costrutto, che applichiamo a techno, house, hip-hop, qualsiasi cosa. Per certi versi, è il sintomo della nostra reazione allergica al cambiamento, o comunque a certi tipi di cambiamento. Capita spesso che il mainstream è il primo momento plateale in cui qualcosa cambia esplicitamente volto, in maniera totale e sfacciata, e questo spesso fa paura. Lo assorbiamo col tempo, poi iniziamo a parlarne in maniera equilibrata, ma solo qualche mese dopo. Stavolta invece facciamo al contrario: guardiamo subito via #crumbs le tante facce che il mainstream sta assumendo oggi, segnamocele come argomenti da tenere in conto per il futuro, e poi restiamo a vedere le cose evolversi pian piano. È un bel caos, ve lo diciamo già ora, ma tanto vale iniziare subito a dipanare la matassa.
[title subtitle=”Avicii turns disco. E sapete di chi è la colpa.”][/title]
Eccallà, è tornata la disco. E se ora diventa il nuovo campo di battaglia della roba commercialotta, la colpa è soprattutto dei Daft Punk e di quando gli è venuta la maledetta idea di invitare reverendo Nile e Giovanni Giorgio. E infatti eccolo, nell’ultimo singolo di Avicii Rodgers fa di nuovo capolino. Ma anche Adam Lambert. Certo, ci sono cinquanta milioni di sfumature di underground che stanno bazzicando la disco da parecchi anni e ci sentiamo di dire che il mainstream stavolta sta seguendo a ruota. Ma sembra arrivato il momento del ritorno in serie A. Anche perché, ascoltatelo sto pezzo. Non stupitevi se lo trovate sorprendentemente orecchiabile. Non stupitevi se dentro ci troverete Tensnake e Chromeo. È tutta una produzione in serie e le cose ormai si somigliano in maniera incredibile. E ora divertitevi a combattere contro la vergogna di apprezzare Avicii. Ah non chiedete aiuto qui, da queste parti Tensnake e Chromeo non han fatto presa nemmeno un po’…
[title subtitle=”Dillon Francis & DJ Snake, la trap è sdoganata”][/title]
E anche la trap alla fine diventò mainstream. Non il fenomeno virale che fu l’harlem shake, ma proprio suono maturo e flessibile a sufficienza per piegarsi ai meccanismi giusti per il grande pubblico. D’altronde qui parliamo di due tipi belli sfacciatelli, un Dillon Francis che ormai è definitivamente a proprio agio nel sistema lifestyle&social contemporaneo, insieme a quel DJ Snake che fino all’anno scorso era un nome 100% underground e che da “Turn Down For What” è ormai cult. EDM-trap, la chiamano. Con abbondanti dosi di medio-oriente, giusto per ribadire l’inafferrabile globalismo dei tempi moderni. Il tamarro-style invece è abbastanza immutato.
[title subtitle=”Perfino la cultura esotica: solo coi Major Lazer”][/title]
A proposito di esotismi, trap e mainstream. I Major Lazer già da tempo hanno abituato il grande pubblico ad ascoltare suoni e influenze provenienti da terre lontane (se il grande pubblico se ne sia accorto o meno è un altro paio di maniche). L’ultimo video rende tutto più esplicito: la voce è di Sean Paul, riconoscibilissima, il pezzo è un mix di moombahton di casa e trap EDM e la stranezza è un ritornello di ispirazione orientale di colpo trasformato in drop moderno. Con tanto di ballerine giapponesi scatenate con le mosse dance occidentali. Una cultura genuinamente delicata e ricca di dignità fa il suo ingresso nell’immaginario twerk. Le conseguenze dell’eclettismo.
[title subtitle=”Duck Sauce, autocoscienza mainstream”][/title]
L’america è un grande paese. Il luogo dove chiunque e qualsiasi cosa può avere una possibilità. Un posto pop, dove tutto diventa pop. E i Duck Sauce in questo meta-pop allucinato e autocosciente ci sguazzano da sempre: quelle due facce perplesse di fronte alle stranezze dell’occidente ce le portiamo dietro dal video di “Big Bad Wolf” (lì però le facce stavano al posto sbagliato) e stavolta sono piantate davanti alla televisione a guardare lo spot dell’ultimo ritrovato della ricerca moderna, la crema “NRG” e i miracoli che può fare. Ogni cosa ha un effetto collaterale, anche la loro musica, ma almeno loro lo rendono identificabile. Ok il mainstream che sculetta esplicito i ritmi degli ’80, ma se inizia a farsi maturo e prendere coscienza di sé siamo di fronte a un passo decisivo. Coi Duck Sauce questo succede, le introduzioni radiofoniche disseminate lungo il disco non sono lì per caso, sono furbe e ti strappano un sorriso. Ecco, loro la sfida pop l’han vinta tutta.
[title subtitle=”Psy & Snoop Dogg: l’ultimo stadio”][/title]
E ora torniamo alla domanda di partenza: chi ha paura del profondo, totale, assoluto mainstream? Chi prova un moto di rigetto e non vede più dagli occhi di fronte a un esempio tanto sfacciato di commercialità? Accomodatevi signori, qui abbiamo l’ultima frontiera del processo mainstream, lo stadio più mediaticamente avanzato dell’industria musicale. La demenzialità. La stupidaggine costruita con tutti i crismi, fine solo a sé stessa. È tornato Psy, dalla Corea con furore, e stavolta manco sta a far musica. A quella ci pensa Snoop, confezionando un pezzo mezzo trap e mezzo scemo dove fa tutto da solo. Ma occhio ragazzi, che se non avete capito questo vi manca un tassello importante: la potenza del pezzo è il video, e la potenza del video è Psy. Che non fa altro che fare il coglione dal primo all’ultimo secondo, simpaticamente parlando. La quintessenza del mainstream è tutta qui. Pura immagine per chi vuol solo vedere fin dove si può arrivare. E a giudicare dalle visualizzazioni (tipo una trentina di milioni solo nei primi due giorni), non son pochi a volerlo vedere. Ma non veniteci a parlare di degenerazione della musica. Qui parliamo di superficialità, che è amica intima della leggerezza, e quella faccia da cretino ne è il professionista assoluto. Simpaticamente parlando.