Ok, il 2013 ce lo siam lasciati alle spalle. Ora sarà il caso di concentrarci subito sulle uscite calde dei prossimi mesi, che prevedono già alcuni colpi sulla carta notevoli. Son quasi tutti nomi che dovreste conoscere bene, con l’album pronto per le stampe e un’attesa già ben sviluppata tra noi appassionati. Passeremo due #crumbs ripassandoceli e preparandoci al loro arrivo. Seguiteci.
[title subtitle=”Actress, l’uomo fuori dai giochi”][/title]
Quel geniaccio di Actress non si è mai potuto accostarlo a nessun artista o corrente emersa negli ultimi anni. Lui è uno dei pochissimi per i quali si può spendere in tutta tranquillità l’espressione “far gioco a sé”: ogni volta che arriva un nuovo album – questo mese sarà la quarta, forse ultima volta – ha sempre presentato un conto corposo, da digerire con calma. Dentro riesci sempre a trovarci in qualche modo gli spunti tecnici più nuovi del momento elettronico, ma li scopri puntualmente camuffati dietro una sensibilità emozionale e un’inventiva che han pochissimi rivali. Son pochi quelli capaci di far dischi coi quali puoi passare anche un mese a ragionarci e discuterci su. Lui ci riesce sempre. E occhio, che stavolta gira un’anticipazione diversa dal solito. Buia, minimale, gocciolante, le suggestioni sempre in primo piano. D’altronde questo “Ghettoville” doveva essere il suo album definitivo e noi la nostra ve l’abbiamo già detta. Ora potete innamorarvi anche voi.
[title subtitle=”Il mainstream? No, Katy B è il termometro.”][/title]
Se non si è sensibili al pregiudizio, l’inglesina dai capelli rossi è uno dei personaggi UK più interessanti da osservare. È una giovanissima, versatile, non si fa problemi a farsi ‘manovrare’ liberamente dai produttori alle sue spalle, e questo la rende un indicatore affidabile di come cambiano i tempi nel nostro mondo. Quando uscì con l’album di debutto (“On A Mission”, 2011), era ben piantata del giro dubstep in fibrillazione, stava cavalcando i nuovi fronti aggrediti dai Magnetic Man di Skream, Benga e Artwork, era la protetta di DJ Zinc ed era diventata uno dei simboli riconosciuti del dubstep-virato-pop di quel tempo. Ora son passati tre anni, quel trend è terminato e i nostri son tempi confusi, dominati da un sound aggressivo e sfacciato in cui è difficile trovare un’identità che ti distingua dagli altri. Ecco, il suo “Little Red” servirà a misurare la febbre dei nostri tempi e a capire quanto possano comunque piacerci. Dentro c’è di nuovo il regolare stuolo di producers importanti (George FitzGerald, Jacques Greene, Geeneus, Joker, Sampha) e pezzi birichini come questo “5 A.M.”. La cosa si preannuncia piuttosto curiosa.
[title subtitle=”La passerella di Venetian Snares”][/title]
Venetian Snares è uno che ha capito tutto. Ha capito quanto è prezioso per uno come lui esser famoso in tutto il mondo per un’intera carriera a base di mitragliate breakcore, ma soprattutto ha capito come ricavare da ciò il massimo vantaggio in termini di visibilità. Perché i talenti dell’artista canadese vanno ben oltre la nicchia braindance sviluppata dai ’90 in avanti, e immaginiamo che per lui il massimo orgasmo oggi sia osservare quanta attenzione riceve ogni volta che offre al pubblico un volto nuovo, spesso lontanissimo dal materiale con cui solitamente viene identificato. Ultimamente pare averci pure preso gusto: quando nel 2012 venne fuori quel capolavoro di suggestione onirica che era “Sleep” – a nome Last Step – il gusto e la passione messa in questi “volti diversi” l’han notata tutti. Per lui era come concedersi una sfilata personale lungo una passerella col doppio dei riflettori, davanti a un pubblico col taccuino in mano e l’attenzione a mille. Quest’anno ci riprova e, suo malgrado, l’effetto è identico. La presenta come “la sua nuova band”, Poemms, una collaborazione piena di mistero insieme a una semisconosciuta produttrice di Toronto, Joanne Pollock. A quanto pare stavolta il tema è la composizione vocale: sentitevi l’estratto dell’album in uscita a febbraio (lo trovate qui), ripensate a quello che conosciamo di Snares e diteci se non è ovvio che l’attenzione vada a mille.
[title subtitle=”Before and after techno: Untold”][/title]
Alzi la mano chi si crede in grado di inquadrare con esattezza uno come Untold. La risposta più facile oggi parlerebbe di techno, eppure questa è solo una fase (piuttosto prolungata) di un artista che originariamente parte dall’indagine dubstep, per poi abbandonarla quando quel sound non mostra più molti segreti. La techno in fondo è stata solo la risposta spontanea all’esigenza di ulteriori ricerche, condivisa con diversi colleghi britannici e non (il più in vista allora fu lo Scuba di “Triangulation”), per proseguire una storia di bassi, spazi e pulsioni introspettive. Una storia che appare viva fino ai tempi recenti e al 12” su 50 Weapons, ma che, a ridosso dell’esordio ufficiale su album previsto per febbraio, lascia aperti molti punti interrogativi. Perché “Sing A Love Song”, l’anticipazione che potete sentire qui sotto, non somiglia a nessuna delle precedenti produzioni di Untold, e la prima cosa che viene in mente a sentirla è quel calderone di ipotesi sperimentali in itinere che risponde al nome di footwork. E allora forse c’è spazio per ulteriori sorprese. Occhi aperti.