Certi dischi non ti fanno scattare la scintilla al primo ascolto. Li trovi spiazzanti, più complicati del previsto. Non ci trovi dentro quel che ti aspettavi e questo ti blocca per un po’. Però rimangono lì. Hai bisogno di ascoltarli ancora, devi dedicarci più tempo per poterli assimilare. Diventano una sfida con te stesso. Sono i dischi che rimangono più a lungo nel lettore, un po’ a dire “con te non abbiamo ancora finito“. Non te la senti ancora di definirli belli o brutti, ma sicuramente sono intriganti. Appiccicosi. Ne escono ogni anno, e ogni anno rappresentano il prezzo da pagare per evolvere la tua testa insieme alla musica. Qui sotto trovate quattro album, quattro esempi di dischi “da risolvere”, quelli di Luke Vibert, Martyn, Little Dragon e Schlachthofbronx. Finiscono su #crumbs perché con loro crediamo di aver finito. Ma non ne siamo proprio sicuri. Parliamone.
[title subtitle=”Il Luke Vibert più gioviale di sempre”][/title]
Guardate il video qui sotto. Gli stormi nel cielo, quelle evoluzioni sempre belle da vedere, immagini fortemente estive. Sullo sfondo un pezzo con un giro melodico molto orecchiabile e una struttura lineare, perfetta per l’accompagnamento. Sembra uno dei tanti video che vengono solitamente condivisi nei social dal pubblico femminile di facile sensibilità. Invece è il nuovo album di Luke Vibert. L’album che aveva annunciato con tanto ardore, dalle molteplici influenze acid ma dal piglio smaccatamente personale. E ok, l’album ha uno stile personalissimo e mille sfumature di acid, ma così a dire il vero non ce l’aspettavamo. Così pulito, gioviale, semplice, ascoltabile. Così poco “intelligent”. Così tanto “easy”. Da questo punto di vista “Ridmik” ti spiazza e ti stuzzica. Si potrebbe quasi dire che è il suo album pop. Acido, sì, ma mai difficile. Digeribile come il suo sound non era mai stato. Eppure non è mai stato tanto difficile capire se è una mossa a noi gradita o meno. Ancora un ascolto, solo un altro…
[title subtitle=”Martyn è sceso in pista. Stavolta sul serio.”][/title]
Il terzo album di Martyn, ossia la risoluzione di un percorso che è stato opposto rispetto a quel che doveva essere. Partito con “Great Lenghts”, che resta ancora uno dei momenti migliori della prima fase di ibridazione dubstep-techno, il produttore olandese si era guadagnato la stima del pubblico come testa pensante, capace di dire cose non scontate. Poi improvvisamente l’interazione col dubstep smise di interessarlo, arriva un altro gran bel disco qual è “Ghost Stories” (indagine di dettaglio sui possibili flirt tra bass, dance e techno) e il pubblico comincia a capire chee da lui ci si possono aspettare diverse sorprese. Ora nuovo cambio di etichetta, da Brainfeeder si passa a Ninja Tune, arriva “The Air Between Words” e l’attesa prevedeva un nuovo mondo di intuizioni. E invece il maledetto tira fuori il suo disco più quadrato di sempre. Una gita nelle strutture tech-house, giusto qualche fourtettismo qua e là, la buona dose di acidi e infusioni jazz e via di algoritmi dancey. Tutti si aspettano il concetto e lui ti dà quattro schiaffi nel di dietro. Tu non sai bene cosa pensare, ti fai il tuo giro di pista e intanto ti chiedi dove ti porterà il diavolo la prossima volta. Lui intanto ti farà una faccia sorniona e ti dirà “guarda qui sotto, ‘Fashion Skater’. Quando è venuta fuori, ho pensato subito che questo è il sound che volevo per il mio nuovo album“. E tu non sei sicuro di come posizionare questo nuovo approccio nella scacchiera stilistica dell’autore. A noi restar con questo tipo di perplessità va strabene. O vi piaceva ricevere esattamente quel che vi aspettavate?
[title subtitle=”Little Dragon: fuga dal pop”][/title]
Quando li avevamo lasciati l’ultima volta era il 2011, l’album era “Ritual Union” ed era diventato rapidamente il disco dell’estate, almeno nella visione del pubblico colto. Era fresco, scattante, solare. Parlava finalmente un linguaggio pop compiuto, ma lo faceva con quell’eleganza raffinata tipica degli artisti scandinavi. Era il completamento definitivo del loro sound. E quando quest’anno hanno annunciato l’uscita di “Nabuma Rubberband” di nuovo per inizio estate, non vi nascondiamo che di aspettative per una possibile replica ne avevamo abbastanza. Invece dietrofront: ritmi rallentati, atmosfere più centrate sulle sensazioni e una certa malinconia di fondo che non ti aspetti. Che se la collochi in pezzi come “Underbart” e “Killing Me” funziona a meraviglia, ti offre il lato più intimo del loro sound mentre resta comunque la produzione astuta e il piglio movimentato, e ti vien voglia di vedere come sarebbero andate le cose se tutto il disco fosse stato così. Così però non è, dentro ci finiscono ballate lente e strane pose r&b, e in mezzo a tutto questo il singolo ovviamente resta vicino ai Dragon che conosciamo. Troppo facile però dire che il disco non era ispirato. C’è tanta premeditazione in tutto ciò, si tratta solo di farci i conti e capire qual è il lato migliore che la band svedese può offrire. Fuggire dal pop può essere un bene ma anche un male. Dipende tutto da qual è il tuo habitat ideale.
[title subtitle=”Schlachthofbronx, la tropical più bizzarra che esista”][/title]
Se non li conoscete ancora, è bene che lo sappiate: gli Schlachthofbronx sono diventati l’ascolto cult tra i produttori elettronici di ultima generazione. I motivi stan tutti nell’album “Rave And Romance” pubblicato di recente, una specie di miscela esplosiva che prende tutti gli ultimi feticci del momento (tropical bass, trap, baile funk, dub, beats e tutte le mezze misure che potete immaginare) e li spinge avanti verso un nuovo stato. O meglio, una nuova filosofia: la cosa più intrigante del disco è osservare come esso eviti di spingere, di aggiungere strato su strato nuovi tasselli al massimalismo moderno. Al contrario, questo disco è essenziale. Minimale. E questa cosa ti trapana il cervello. È uno di quei dischi che affonda le mani in una sola intuizione (in questo caso il tropicalismo per sottrazione) e la esplode in mille sfumature. Lo senti lo prima volta e non lo capisci, non realizzi cosa realmente hai ascoltato, ti ci ritrovi abbastanza a disagio. Lo senti la decima volta e non ti capaciti di quanto fosse semplice fin dal principio, e quanto tutto gira perfettamente. Ma questo forse voi ancora non lo sapete. Noi vi mettiamo qui uno dei pezzi più fancy del disco, giusto come gancio iniziale. Ne riparliamo tra una una manciata di ascolti.
http://youtu.be/vH3_l9z_4us