L’estate è quel momento della vita di un ascoltatore di musica in cui cade una pratica irrinunciabile, un rito che ci accomuna tutti come una comunità religiosa. La chiamano ‘compilation estiva‘: il disco (normalmente fisico, masterizzato vecchia maniera, si ricorre all’mp3 solo in mancanza del lettore) in cui selezioniamo i pezzi più solari usciti negli ultimi tempi, per poi riascoltarceli al mare, o in auto, durante le vacanze. E voi sapete cosa deve avere un brano per essere candidabile per la summer compilation. Deve essere spigliato, allegro, disinvolto. Deve avere in qualche modo un’anima pop, ma non deve essere commerciale. Deve essere canticchiabile, riconoscibile, deve farsi ricordare in quanto colonna sonora delle vacanze di quest’anno. Se selezionati per bene, certi pezzi rimangono legati per sempre ai viaggi fatti. Probabile che ormai abbiate tutti pronta la vostra compilation, ma se così non è, se vi ritrovate nella difficoltà dell’ultimo minuto, su #crumbs oggi vi diamo i tre album più estivi usciti quest’anno. Ognuno di loro ha almeno 4-5 pezzi perfetti per le scorribande di agosto, sta a voi scegliere. E se li avevate trascurati, occorre rimediare prima che le vacanze finiscano.
[title subtitle=”La Roux: mai disco estivo fu più estivo di questo”][/title]
Non ci è dato sapere come sia riuscita Elly La Rossa, dopo un album di successo e sviluppato su uno stile in un certo modo intelligente come il primo, a tirare fuori un secondo disco così perfettamente riuscito, che funziona in ogni pezzo e che si presenta così chiaro, semplice e accattivante. Fatto sta che ci è riuscita: l’immagine pop di “Trouble In Paradise” non si trastulla più sulle intuizioni UK ma si fa puro easy listening per l’ascolto spensierato. Il che a volte è una mossa che fa storcere il naso (e non escludiamo che accada anche stavolta), ma in via generale e – ove possibile – oggettiva ci tocca dire che è questa la dimensione migliore del duo inglese. Il singolo è “Let Me Down Gently” ma non è per nulla il pezzo più identificativo del disco. In realtà gli assi son messi giù già nei primi pezzi, l’armonia cantata e canticchiata è la potenza dell’album e i pezzi come la “Uptight Downtown” qui sotto (ma anche “Kiss And Not Tell”, “Cruel Sexuality”, “Sexotheque”… un momento, vi stiamo elencando la tracklist per intero) sono quei risultati che quando li azzecchi puoi esserne orgoglioso per una vita intera. Pezzi che inizi a canticchiare già durante il primo ascolto. Mai disco estivo fu più disco estivo di questo.
[title subtitle=”Non ascoltate Pitchfork. Ascoltate i Jungle.”][/title]
Sulla carta i Jungle sarebbero dovuti essere uno di quei gruppi per cui Pitchfork normalmente esce pazzo. Quel loro modo di approcciare la dance con mentalità hipster, l’uso di strumenti 100% indie, un approccio pop di quelli che di solito mandano il pubblico KO e anche una composizione intelligente, scaltra. Potevano essere i nuovi Metronomy, insomma. Ma stranamente, sia p4k che altri magazine hanno mostrato una reazione tiepida, con l’argomentazione dell’eccessiva somiglianza a… c’è chi ha detto Jamiroquai, chi Beegees. Sì, suonano funk e cantano in falsetto, allora? Il punto è che la loro formula suona classica, ma nel senso che il classico lo costruiscono su di sé. Non sono gli Scissor Sisters, insomma. E i pezzi funzionano alla grande, “The Heat” apre benissimo il disco anticipando i gustosi equilibri del resto del disco, la “Time” che trovate qui è forse il pezzo più spigliato di tutti e i restanti variano in maniera furba tra spinte radiofoniche e momenti più controllati. Il pop è un continuo ritorno nel luogo del delitto con lo scopo di spostare maliziosamente gli oggetti incriminati. Questo lo sappiamo, no? Conta davvero andare a cercarsi le somiglianze?
[title subtitle=”Il dietrofront dei Basement Jaxx”][/title]
L’improvviso cambio di rotta dei Basement Jaxx. Nello spirito, nella filosofia personale, capite? Una carriera portata avanti inseguendo sempre un’idea di dance bizzarra e alternativa, sempre diversa dalle spinte normali dei loro contemporanei, sempre puntando a ‘essere diversi‘. Qualcosa che a inizio anni 2000, quando ancora inseguire il futuro era un’ambizione eccitante che seguiva la scia di fine millennio, era una cosa fighissima. Ora siamo al 2014, assaggi di futuro ne stiamo avendo fin troppi e iniziamo ad avere la sensazione che questo futuro possa anche non piacerci, con tutti quei laser e quella valanga di drop che sta riversando sul presente. E fu così che l’orizzonte dei Jaxx si capovolge. Basta sentire i singoli, “Unicorn” e “Never Say Never“, ed è subito evidente quel che il duo inglese non aveva mai fatto (quantomeno mai in maniera così organizzata) e che ora è il loro obiettivo primario: essere classici. Usando metodi classici, suonando vicini a strutture già conosciute del classico, ma tirando fuori anche dei pezzi senza alcuna sbavatura che funzionano come solo i classici fanno. Poi certo, l’album che uscirà a fine agosto ha ancora quei colpi di coda di cui solo loro son capaci, e ve ne accorgerete tra suoni latini e rifrazioni funk. Ma la cosa più appariscente è quella che cerebralmente stupisce meno, ma che all’orecchio aggrada come solo gli incastri perfetti sanno fare. E se ‘sti colpi non li tiri fuori d’estate, non tirarli fuori per niente.