Diciamo la verità: gli ultimi due album dei Cypress Hill erano così così anzi, erano piuttosto insufficienti. Diciamo che in tanti abbiamo tutti pensato che i Cypress Hill fossero più o meno finiti con “Stoned Raiders” nel 2001, e anche lì ci sarebbe da discutere perché o ti piaceva il rapcore oppure poteva farsi dura. Per molti, non per tutti ovvio, i Cypress Hill hanno iniziato a finire con “Cypress Hill IV” (1998) e sono definitivamente finiti con “Skull & Bones” (2000), il doppio album che conteneva sia un pezzo divenuto storico per i Cypress come “Rap Superstar” sia un secondo album fatto di rap-metal francamente opinabile.
A conferma si metta agli atti che dopo “Cypress Hill IV” la sensazione che nemmeno alla band fregasse molto di ciò che ha registrato dopo era altissima. Basta prendere la scaletta di uno qualsiasi dei loro live, per vedere che nessuno dei pezzi registrati successivamente al 2000 ha mai trovato posto fisso nei loro set, forse “Low Rider” e “What’s Ya Number”, ma come meteore. A riprova, fuori intervista lo stesso Muggs ci ha confermato che non eseguiranno mai live pezzi come: “Ain’t Easy” o “Kronologik”, semplicemente perché a loro non interessa farlo. Lecito quindi il sospetto che quella di buttare fuori un album ogni tanto sia quasi una scusa per garantirsi un tot di live in giro per il mondo ad ogni uscita, senza far scemare l’interesse verso una band storica, tanto quanto Rolling Stones o Van Halen – almeno in America – e che ha venduto nel mondo più di venti milioni di dischi.
Allora perché andare a intervistare un gruppo che sembra già sul suo sunset boulevard da tempo? Perché questa è una storia americana, californiana, e le storie americane, se possono, non finiscono male. Il 2018 segna una data importante nella carriera della Collina Dei Cipressi e se è vero che il tempo non conta – e in questa intervista lo capiremo bene – è vero che gli anniversari sono importanti.
Non bastava una raccolta a celebrare trent’anni, le raccolte celebrative nei tempi delle playlist contano quanto la pizza surgelata alle tre del mattino in fame chimica: la mangi, fa schifo, non è pizza, però l’indomani dirai che hai mangiato una pizza.
Ecco quindi che la band si è rimessa in moto, con un album che nella mente dei quattro (se consideriamo Bobo parte attiva della band) fluttuava da almeno tre/quattro anni.
“Elephants On Acid” non è solo la storia di un trip che si è fatto Muggs e per il quale ha deciso di registrare dentro una tomba in Egitto ai piedi delle piramidi e in mille altre location assurde o da fuori di testa. “Elephants On Acid” è il ritorno alle origini di una band che se ha voglia e se non è troppo fatta, ha ancora molto da dire. Le atmosfere sono quelle dei primi album, il sound naviga tra lo psichedelico e vecchie roots che sanno di New Orleans, con quei tromboni da marcia funebre a fare da accompagnamento. Ritorno con il botto? No. Magari con il botto no, ma con un gran bell’ album.
Chi scrive ha realizzato uno di quei sogni come puoi fare una volta sola nella vita, se con i Cypress Hill ci sei cresciuto. Abbiamo intervistato DJ Muggs proprio alla vigilia dell’album per parlare di questo, di tempo e capire che il passato non conta, contano solo i Cypress Hill.
Cosa vi tiene ancora insieme dopo tutto questo tempo? Sono ormai trent’anni.
Non te lo so dire, man! Non credo nel tempo bro, il tempo è un’ illusione.Non contano gli anni, conta il presente, conta l’adesso. Noi stiamo vivendo nel presente, abbiamo fatto questo nuovo album che si chiama “Elephants On Acid” ed è un album astratto, uno strano viaggio. Non credo tu ci possa inserire una variabile come il tempo
È difficile ogni volta rimettere in moto la macchina Cypress Hill per un nuovo album? Alla fine siete impegnati in mille progetti solisti o con altre band…
Ascolta amico: non so. Non credo si possa parlare di macchina produttiva. Facciamo musica, siamo nel nostro mondo, nella nostra visione. Rimaniamo nel nostro mondo stando lì, non è difficile per noi rimetterci a lavorare o fare un nuovo album, come ti dicevo per noi il tempo non conta.
Siete un po’ tra i padri fondatori del rap, in molti vi considerano come i pacificatori della guerra tra East Coast e West Coast, ma quello che vi chiedo è: vi siete mai visti come pacificatori?
Man ascolta, ascolta, ascolta, ascolta… Non so nulla del passato non mi importa del passato, vivo nel presente non voglio parlare di quella storia, non mi interessa parlarne.
Mi racconti qualcosa di più di questo nuovo album? C’è un concept di base? So che avete registrato in posti strani tipo una tomba in Egitto…
Non abbiamo fatto questo album con un significato preciso, è un album molto astratto per noi, è psichedelico. No, in definitiva non c’è un significato unico. Quello che devi fare quando ascolti “Elephants On Acid” è liberare la mente da ogni pregiudizio, da ogni pensiero pre-esistente. È come cacciare via il passato in modo tale da costruirti la tua esperienza personale, in modo da costruire il tuo spazio e le tue emozioni ascoltando il disco.
Se parliamo di esperienza personale, l’album mi sembra un pochino un ritorno alle origini per voi, un ritorno alle atmosfere di “Black Sunday” o “Temple Of Boom”, sei d’accordo? Non ci sono chitarre hard rock, non ci sono influenze reggae, davvero mi sembrano i vecchi e cari Cypress hill.
Se questo è ciò che senti a me va benissimo, ma ti prego non cercare di trovare un unico significato a questo album, perché ne nasconde un sacco. È un album che cambia forma in continuazione. Non c’è un’unica interpretazione, se tu hai colto questo va benissimo così.
Qui in Italia il rap è ormai diventata una cosa mainstream, ha invaso le radio le televisioni ed è molto cambiato rispetto al rap con cui voi avete conquistato il mondo…
Hey, hey, fai un passo indietro per un secondo. Ho capito dove vuoi andare a parare. Non è il rap che è diventato mainstream, tutta la musica è mainstream. Ma, così come c’è musica mainstream, c’è anche musica che non lo è. Io non guardo la televisione, non ascolto la radio, io faccio la musica che ho nella mia mente e non mi sono mai chiesto se possa essere mainstream o meno, capisci che intendo? Non me ne fotte del rap, non me ne fotte del rock, non mi importa se possa essere rap o rock io faccio la musica dei Cypress Hill tutto il tempo. Sai una cosa? Non mi interessa nemmeno di ciò che dicono le tv o le radio, mi interessa cosa ne pensa la gente. Adesso ti faccio io una domanda: hai sentito l’album? Che te ne pare? Ti ha divertito?
Sì credo sia un grande album. “Oh Na Na” mi fa impazzire anzi, posso essere sincero? I due album precedenti non mi erano piaciuti per niente, questo album per me è davvero un album dei Cypress Hill.
Amo la tua opinione. Le cose mutano, ci sono alti bassi, ci sono gli sprint e c’è la maratona: sono quelli che sanno resistere a vincere le maratone, loro sono i vincitori. Ora qui tu hai una band che corre da ventisei anni, puoi fare dei paragoni con i nostri lavori migliori ma nella realtà quello che conta è l’energia che noi ti diamo qui e ora. Per questo ti dico che per il prossimo disco sballerai ancora di più.
Con una carriera così lunga alle spalle qual è la cosa di cui siete e sei più orgoglioso?
Sono davvero orgoglioso della gente che ho incontrato viaggiando per trent’anni su e giù per il mondo. Ho incontrato davvero gente figa. La musica, non solo quella che facciamo noi ma la musica in generale, abbatte le barriere. Quando tu riesci in una cosa simile, quando la tua band riesce a fare una cosa simile, vuol dire che hai fatto davvero qualcosa di cui puoi essere orgoglioso.
Secondo te qual è il significato, ammesso poi ci sia, nel fare rap dopo i quarant’anni di età? Può essere risieda nella possibilità di abbattere ancora di più le barriere di cui mi parlavi prima, non fosse altro che per la maturità che uno acquisisce?
Non so, davvero. Conta il tempo? Davvero conti il tempo che passa? Io non conto il tempo! L’unica cosa che davvero mi interessa è abbattere le regole, non rispettarle. Lo sai a volte la vita va esattamente nel verso in cui vorresti, in altri momenti invece non è così, ma abbiamo sempre cercato di fare solo ciò che ci andava di fare.
La vostra musica è sempre stata fortemente connessa all’erba e all’hascisc. Pensi che questo vi sia stato di aiuto nel poter raggiungere ancora più gente?
Pensa a questo: fumiamo erba da quando più o meno siamo bambini. Ai tempi, quando siamo usciti fuori la prima volta, nessuno parlava di queste cose, non parlavano di erba né di altro ma se ci pensi noi non abbiamo fatto altro che raccontare ciò che facevamo come Cypress Hill. Fumiamo erba tutti i sacrosanti giorni perché crediamo sia un dono naturale della terra, abbiamo con l’erba un rapporto spirituale tanto quanto ce l’aveva Bob Marley. Per noi l’erba è un dono, è benedetta. Per questo infatti ci siamo sempre battuti, ed è stato del tutto naturale farlo, per la sua legalizzazione.
In conclusione: dopo tanti anni, premettendo che immagino non abbiate nessuna intenzione di abdicare, pensate ci sia qualcuno anche solo vicino a raccogliere l’eredità dei Cypress Hill?
Nessuno! Siamo come bambini, abbiamo appena cominciato!