Dicembre: tempo di bilanci, non si scappa. Anche in musica naturalmente. Tra gli album di questo anno che volge al termine il sottoscritto deve sicuramente annoverare “You Are Eternity”, il primo album dei duo italiano fromato da Daniele Antezza e Giovanni Conti sotto il nome di Dadub. Un disco di forte impatto sonoro e largo respiro emotivo, intenso come pochi hanno osato nel pur eccitante e musicalmente ricco 2013. Una breve intervista serve a fare un po’ di luce nel mondo dei Dadub, sperando che l’Italia elettronica si accorga finalmente di quella che è una delle sue più belle e promettenti realtà musicali degli ultimi anni.
Ci raccontate come avete iniziato a lavorare assieme e come siete arrivati a Berlino?
Abbiamo cominciato a lavorare insieme perché condividiamo più o meno la stessa visione in termini artistici e musicali, oltre che una profonda amicizia e stima reciproca. Siamo arrivati entrambi a Berlino perché disgustati dal modo di lavorare e di vivere in Italia, scenario in cui vai avanti solo se hai le giuste amicizie e in cui letteralmente non esiste il mercato in cui operiamo. In generale, in Italia, vivere di Arte é paragonabile al chiedere elemosina agli angoli delle strade…se non peggio.
Non la domanda più originale ma mi piace sempre porla a quanti hanno deciso di viverci lì. Cos’è Berlino per voi?
Berlino é un posto speciale. Certo, sta cambiando tantissimo, in piena ondata di “Gentryfication”, ma rimane comunque vivo un certo spirito di libertà. È un posto che ha permesso di esprimere a pieno le nostre potenzialità, fino a raggiungere il livello raggiunto con Dadub e Artefacts Mastering.
In Stroboscopic Artefacts avete trovato una label che ben si addice al vostro suono ed alla vostra estetica. Ci raccontate qualcosa del vostro rapporto con l’etichetta?
In realtà è un rapporto bilaterale: il nostro senso estetico, la nostra visione dell’arte e della creazione più il nostro know-how tecnico sono stati degli elementi importanti per il successo di Stroboscopic Artefacts e per il suo ruolo innovativo nella scena (vorremmo ricordare che é dal 2009 che collaboriamo stabilmente con la label). Di converso, SA ci ha dato piena libertà e supporto nell’esprimere liberamente ciò che siamo. In altre parole é un qualcosa che ha funzionato perché entrambe le parti hanno tratto immenso giovamento dal tipo di collaborazione sviluppata.
Sono rimasto molto impressionato dall’ascolto del vostro album “You Are Eternity”. Ci raccontate in quali circostanze lo avete composto, registrato e prodotto?
É stato un periodo molto delicato della nostra vita, in cui difficoltà economiche e vicissitudini emotive e sentimentali hanno fatto si che la nostra creatività arrivasse a maturare un album quale “You Are Eternity”. È stato un passo importante per noi, da un punto di vista artistico, umano e spirituale.
Quello che soprattutto mi ha colpito dell’album è la rabbia che traspare. In questo senso mi sembra che torniate un po’ alle origini della techno, andando contro corrente rispetto a tante produzione addomesticate degli ultimi anni. Che ne pensate?
La rabbia nel leggere i giornali e comprendere realmente cosa accade nel mondo, la rabbia che provi quando ti rendi conto che ogni azione legata all’essere umano é indissolubilmente legata all’idea di sfruttamento, la rabbia che provi quando la tua arte viene apprezzata internazionalmente ma hai difficoltà nel pagare l’affitto di casa perché la tua attitudine non è “allineata”, la rabbia che provi quando ti rendi conto dello stato di addormentamento del ruolo di contesta verso lo status quo che l’arte dovrebbe giocare…ecco, questa rabbia e anche di più è quello che ci guida durante la creazione. Riguardo l’addomesticamento dell’arte (e non solo della techno) la risposta é semplice: parafrasando Marcuse nel suo capolavoro “L’uomo a una dimensione”, é la dimensione dell’autorità e del potere che ha invaso ogni angolo dell’agire umano. Per questa ragione, scegliere criteri estetici poco interessanti, rifiutare di parlare con la propria voce ma seguire i trend, agire da pescecani e così via, sono tutti modi per rimanere salvi e isolati nel proprio salvagente, preferendo stare zitti e adeguarsi allo standard pur di ricevere il proprio tozzo di pane quotidiano dal dio mercato. L’arte dovrebbe essere invece testimonianza reale che un altro mondo é possibile, attraverso il coraggio di esprimere sé stessi liberamente e attraverso l’immenso potere scaturito dalla forza d’immaginazione che solo una vita votata all’arte puó dare. Purtroppo sembra che queste parole siano solo retorica fuori moda; per quanto ci riguarda, invece, quanto detto é la nostra prassi quotidiana…dura, ma é il DNA di Dadub.
Anche l’influsso della dub – che ha addirittura ispirato il vostro nome – mi sembra che nella vostra musica acquisti un valore diverso che, per fare un esempio, nelle produzioni di Basic Channel. Ho come l’impressione che la vostra musica si rifaccia allo spirito più militante e di protesta di certo reggae e dub.
Esatto, non ci rifacciamo alla Dub come un genere musicale esteticamente definito. Quello che ci interessa è lo spirito militante sia in termini artistici (ad esempio, possiamo avere un’idea di Dub, citando Lee “Scratch” Perry, quando parla di „upsetting the sound“; per noi va ancora più nel profondo, noi vogliamo sconvolgere il senso di „atto creativo“) sia in termini sociali. Non dimentichiamo che la Dub è stata la colonna sonora e ispirazione del tentativo di emancipazione di un popolo intero, inviteremmo i lettori a riflettere sulle liriche di Linton Kwesi Johnson a riguardo.
Anche i brani più propriamente “ambient” hanno un che di minaccioso. Vi piacerebbe esplorare ulteriormente le possibilità di questo genere di elettronica, a volte un po’ dimenticato?
Abbiamo un background più nel panorama ambient che techno, sicuramente esploreremo in maniera più approfondita l’estetica in questione.
Ci raccontate come organizzate anche da un punto di vista tecnico il vostro live act?
Abbiamo un setup abbastanza semplice: 2 laptops, Ableton Live, qualche midi controller e qualche effetto hardware Daniele organizza le sequenze audio mentre Giovanni cura l’effettistica, le sequenze sono aperte ed improvvisiamo in base all’energia che il pubblico ci rimanda dal floor. E’ fondamentale per noi avere un set di controlli limitato, un numero di opzioni che ci permetta di controllare in ogni istante la direzione e l’intensità della pressione acustica, senza perderci davanti alle infinite possibilità che suonare live utilizzando laptops ed Ableton live permette: una volta che il live comincia, spegnamo la parte razionale e lasciamo che sia la musica a dettarci movimenti e decisioni in ogni istante
Ho letto da qualche parte che vi occupate anche di “mastering”. Per certi versi una forma di artigianato sonoro un po’ in via d’estinzione visti i tempi di produzioni dozzinali che viviamo. Ci raccontate quale è il vostro approccio al vostro lavoro in questo campo?
Cerchiamo di valorizzare gli elementi che possono rendere una traccia speciale, far emergere il contenuto emotivo sia dando enfasi e carattere alle parti ritmiche, sia portando il più possibile in superficie dettagli e componenti atmosferiche che spesso rimagono nascoste sotto la massa di energia occupata dai bassi e dal kick. Fondamentalmente ogni traccia é una storia a sé, in base al genere musicale ed al livello di qualità della produzione ci sentiamo più o meno liberi di spingere il bilanciamento timbrico nella direzione che pensiamo essere più efficace per far risaltare la traccia nel mare di produzioni che vengono rilasciate ogni giorno. Lavoriamo con labels e produttori che stanno a livelli molto diversi sia riguardo al loro profilo artistico che riguardo alla capacitá tecnica, a volte si tratta semplicemente di migliorare un pelo una traccia che già suona praticamente perfetta, altre volte dobbiamo avventurarci in lavori di quasi restauro audio o un misto di post produzione e mastering, andando ad incidere in modo pio o meno profondo sul carattere originale di una traccia. La cosa fondamentale é avere un rapporto dialogico con il produttore, cercare di capire quali sono i lati del premaster di cui non é soddisfatto e quali invece costituiscono il core fondamentale della narrazione o del groove, ed impostiamo il lavoro di mastering in base a quello che riusciamo ad intuire. Non ci interessa imprimere il nostro marchio sulle tracce che masterizziamo, ma cerchiamo di rispettare il più possibile le intenzioni del produttore, portando il premaster al livello massimo di potenza e definizione senza andare ad alterare il colore originale o le peculiarità ogni traccia porta con sé.
Un ultima domanda riguardante il vostro più recente 12”. Nei tre brani che lo compongono avete per così dire “testato” dei nuovi softwares. Ce ne parlate raccontandoci anche come è stato il processo di apprendimento e quello creativo all interno di questi nuovi strumenti?
Per esattezza, ognuno dei tre brani ha una sua specificità tecnico-espressiva, non solo software ma anche hardware. Per il brano “Mistresses March” abbiamo testato un plug in ideato da Giovanni De Donà, chiamato Diachronic. Siamo letteralmente rimasti affascinati dalla visione di fondo insita nel software (per dettagli: diachronicmusic.com), quindi abbiamo deciso di testarlo per la prima volta sui synth del brano in questione, e senza ombra di dubbio sta diventando un elemento importantissimo nelle nostre crazioni. Presto nuovi esperimenti. Quanto alla collaborazione con il duo italiano Retina.it (nel brano “Kykeon”), abbiamo utilizzato suoni realizzati improvvisando a 8 mani sul sistema di sintesi hardware costruito da Nicola Buono e Lino Monaco. Sono state delle ore magiche, siamo in perfetta sintonia con i Retina.it e stiamo già lavorando assieme ad un nuovo brano, sempre usando suoni realizzati con il loro modulare. Infine, il brano “Ergot Kernel” è stato composto utilizzato un generatore audio costruito da Daniele De Santis (aka Grün) chiamato GRÜN MACHINE (versione 1). Daniele è più di un amico: abbiamo vissuto assieme l’esperienza dell’Atonal festival, sia condividendo il palco sia passando 2 settimane nei sotterranei del Kraftwerk realizzando l’installazione “Ilya”. Le nostre visioni artistiche sono assolutamente complementari, e attualmente stiamo pianificando altre collaborazioni utilizzando gli sviluppi dei suoi esperimenti tecnici