Ottavo capitolo della serie “Monad” per la Stroboscopic Artefacts di Lucy, etichetta con sede a Berlino ma dal sapore Italiano, che da ormai più di un anno è sulla bocca di tutti gli addetti ai lavori. Questa volta “Monad” è curato dai Dadub, duo dietro il quale si celano le figure di Daniele Antezza e Giovanni Conti. Il progetto venne fondato dal solo Antezza nel 2008, il quale si occupava prettamente di Dub nel senso più stretto nel termine, ma dopo aver rilasciato un album per l’italiana Quite Bump, muove alla volta di Berlino, dove incontra Giovanni conti che era già li per studiare e affinare le sue conoscenze nel campo delle arti digitali, e di strumenti hadware e software. Nel giro di poco tempo Dadub diventa un progetto a quattro mani, rivolgendo la propria attenzione a sonorità più techno con forti contaminazioni IDM e Dub e trova la sua base operativa nell’Artefacts Mastering Studio presso il quale vengono realizzati mastering per alcune etichette europee tra le quali compaiono la Lineal, la Parquet e la stessa Stroboscopic Artefcts della quale, i Dadub, possono essere considerati al momento uno dei principali nuclei artistici.
La loro musica, attualmente, è uno dei sintomi più forti di un cambiamento che si sta verificando, cambiamento che del resto caratterizza ogni inizio di un nuovo decennio, gettando le basi di un suono che ci accompagnerà fino al 2020. I due amano esplorare territori probabilmente già noti alla techno, fatti di ambienti freddi e nebbiosi e accompagnati da synth-chords che ricordano vagamente quelli della dubstep di Scuba, ma lo fanno con un passo diverso: scritture ritmiche spezzate e spesso, permettetemi il termine, “impazzite”, dal colorito decisamente industriale. Il tutto riuscendo a donare ai loro pezzi, anche attraverso le percussioni, un altissimo contenuto emozionale.
Tutte e quattro le tracce di questo EP sembrano poter essere posizionate nella stessa Room, un racconto unico diviso in quattro parti legate da un filo logico ben preciso: pad, droni, e soffi di aria gelida. Ascoltando “Hadean” e la sua maglia fittissima di textures ritmiche rimane difficile pensare che sia uscita da un sequencer; dopo un breve intro ci travolge in maniera piuttosto aggressiva, uno di quei momenti in cui se sei spettatore di un live, magari all’interno di un festival, smetti di respirare per qualche secondo, ti guardi intorno e dici; “Ok… sono allo stage giusto!”. Quasi nove minuti di disperazione post-apocalittica interrotta solamente da una pausa lunga che regala l’unica parentesi di pace sensoriale.
“Ilya”. La tensione ritmica si allenta e la discesa comincia. Intro morbido, che ormai abbiamo capito essere quasi una firma per i Dadub insieme agli outro specularmente opposti. La cassa quando entra dimezza drasticamente quella che era la percezione del tempo indotta da una cassa più morbida che disegna un groove “cardiaco”, già presente nella parte introduttiva del brano. Anche quì una sola pausa e una ripartenza che tradotta in termini di sinestesia illuminerebbe a giorno anche la notte più scura, ma solo per un momento. Poi via, quasi sotto ipnosi verso l’Outro. “Amnion” delle prime tre, è senza dubbio la traccia più fluida sul piano ritmico e anche la più morbida. Cassa spezzata, pattini, shakes e percussioni sintetiche danno vita ad un giro ritmico infernale e inarrestabile. Un minuto di introduzione, uno di uscita, e sei munuti di blocco centrale. Senza pausa. E non se ne sente la mancanza. La discesa, o ferse meglio definirla la “caduta” descritta da questo EP, non termina con un atterraggio, bensì con una sospensione a mezz’aria. Il tempo si ferma e i Dadub ci regalano un momento di grandissima introspezione con la loro “Biopoiesis”. Un intreccio di pad, droni e suoni ambientali, la sintesi sonora degli elementi acqua, terra, fuoco e aria. C’è poco altro da dire, ascoltare per credere.
Morale della favola, ecco un altro disco che aggiungerò alla mia “Top Five” del 2011. Non c’è da stupirsi se già un anno fa nelle edicole tedesche usciva un numero della rivista De:bug che parlava di loro come “Berghain sound of the forthcomings months”. Il futuro è già quì e i Dadub e la Stroboscopic Artefacts ce lo stanno consegnando a domicilio, un pezzetto alla volta, uscita dopo uscita, “Monad” dopo “Monad”.