Fatevi delle domande. E, già che ci siete, provate a darvi pure delle risposte. Dichiariamolo subito: chi scrive, è convinto che intorno ai Daft Punk ci sia un interesse enorme, ma più che enorme spesso bisognerebbe dire eccessivo, e più che interesse spesso bisognerebbe dire morbosità. Vediamo i fatti: l’annuncio ufficiale dell’uscita del loro nuovo lavoro per il prossimo 21 maggio ha generato una montagna di commenti, ri-post, dichiarazioni d’entusiasmo sul web; cosa che ancora ancora ci starebbe anche, non fosse che è stata preceduta negli anni da una serie pure troppo folta di anticipazioni e falsi allarmi ed è accompagnata da un’ansia quasi insana nel voler glorificare l’evento (verrebbe da dire: l’Avvento). E allora, modestamente, permettete a chi scrive di farvi un invito e/o di lanciare un avvertimento: prima di esternare entusiasmo per l’uscita di “Random Access Memories”, pensateci. Chiedetevi: perché lo sto facendo? Perché lo dovrei fare? Quanto ha senso che lo faccia?
Risposte positive ce ne sono. Ad esempio: perché i Daft Punk vi hanno cambiato la vita (a dire il vero, se la risposta è questa il sospetto è che abbiate una cognizione solo relativa di cosa è successo nell’elettronica prima di “Homework”: i due francesi sono stati e sono dei supremi stilizzatori dal gusto eccezionale, indubbio, ma le vere rivoluzioni copernicane forse sono state altre, prima di loro). Proseguiamo, comunque. Altra risposta possibile: perché i Daft Punk vi piacciono da morire e vi fanno immancabilmente muovere i culi (risposta che ci sta, decisamente, perché i gusti sono soggettivi ed è giusto siano tali). Ancora: perché era tanto che non facevano venire fuori del loro materiale inedito (ok; ma volete dirci che dall’uscita del buono ma non folgorante “Human After All” non avete proprio trovato, in giro, altra musica elettronica che vi soddisfacesse altrettanto?). Oppure, altra risposta possibile: perché è una figata il solo pensiero che esista un disco che mette insieme tre entità che, ciascuna a modo loro, hanno lasciato una traccia in-de-le-bi-le nel mondo della musica dance (confermate infatti le collaborazioni nel disco di Nile Rodgers e Giorgio Moroder), quando mai può capitare di nuovo una cosa del genere? Evento, eventone, disco dell’anno anche solo per questo!
…riprendiamo proprio quest’ultimo punto: siamo sicuri non si stia scadendo, anzi, non si sia già abbondantemente scaduti nel mero feticismo? Evviva Nile Rodgers, evviva Giorgio Moroder, certo, ci mancherebbe, ma sono decenni che i suddetti signori non danno contributi artistici significativi: nel disco di Bangalter e de Homem-Christo porteranno solo la loro aura, la loro storia e il loro prestigio o porteranno delle vere, nuove idee musicali? Nella mia squadra di calcio io posso portare Maradona. Ma Maradona oggi nel 2013 è un po’ fuori allenamento, non è detto che mi faccia vincere le partite, anche se è indubbio che se lo ingaggio avrò frotte di giornalisti e curiosi alle conferenza stampa e agli allenamenti, almeno i primi giorni.
Ecco. Più in generale, l’impressione è che negli anni sia maturata un’isteria un po’ fuori controllo. Isteria – dicono molti – giustificata dalla leggendaria apparizione live a Torino a Traffic Festival, il famoso concerto della piramide luminosa di cui in molti parlano ancora adesso come dell’Annunciazione. Ma molti di questi molti – perdonate il bisticcio di parole – erano neofiti dell’elettronica, questo per favore diciamolo. Cosa su cui non c’è nulla di male, sia chiaro; ma il vero “boost” nella fama dei Daft Punk si è avuto quando il loro immaginario si è saldato perfettamente all’immaginario di chi proveniva dall’indie rock e si stava affacciando, proprio in quel momento, all’elettronica, facendolo con candore (giustamente), con entusiasmo (ottimo, ci mancherebbe), ma anche con una certa facilità a sovrastimare qualità, spessore ed innovazione. E’ stata una bellissima serata, quella. Magica sotto molti punti di vista. Ma, di nuovo, quella sera e con quel tour i Daft Punk non hanno inventato niente, né come musica né come scenografia né come concetto artistico generale. C’è stato, quello sì, il potere strepitoso ed unico della loro disco-house ad altissimo tasso qualitativo di unire gusti, generazioni, persone. Un merito che non gli vuole togliere nessuno. Un merito enorme, gigantesco, che pochi gruppi in qualsiasi genere musicale possono vantare. Ma non dategliene altri che, forse, non gli appartengono.
Insomma. E’ giusto aspettare con grande interesse “Random Access Memories”. Chissà in questi otto anni di silenzi e in quasi altrettanti di tour mancati cosa è successo nella testa e nei computer di Thomas e Guy: ora finalmente potremo sentirlo, l’interesse è grande. Ma, per favore!, non trasformiamo tutto in isterico feticismo che si autoalimenta a rotta di collo. O almeno, cerchiamo di non farlo più, visto che finora lo si è già fatto abbastanza (certo, volendo lo abbiamo fatto anche noi scrivendo questo articolo, volendo è così).
Non è un approccio maturo, quello dell’investire talmente tanta attesa nel nuovo lavoro di una band; non è un approccio maturo, quello del dare per scontato che si sarà di fronte ad un Evento straordinario. E’ un approccio divertente, questo sì, la musica è anche un gioco e non solo un ricettacolo di nerd che ti concede di emozionarti nell’elettronica solo se parli di Underground Resistance e di Drexciya; giusto divertirsi, parlando di musica. Però dai, il gioco è bello quando dura poco. Tranquilli, sta per uscire un disco: ora lo sappiamo tutti, non c’è bisogno di ripeterlo. Vediamo come sarà. E concentriamoci a postare sui social network non frammenti insipidi e feticisti del “Random Access Memories” che verrà, spacciandoli per giunta per significativi e geniali, ma mettiamo in circolazione altre cose sapide che stanno uscendo in questi mesi: ché ce ne sono. I fanatismi&feticismi vagamente maniacali lasciamoli al pop, che stanno bene lì. E noi stiamo bene lontani da loro. Ok?