Che siate stati al Sonar o a The JamBO questo mese, o a una delle date del recente tour in questione, molti di voi hanno probabilmente assistito al live che i Major Lazer stanno portando in giro di questi tempi. Piaciuto, vero? Comprensibile. Perché è qualcosa di diverso dal solito dj-set o dalle comuni performance dei festival, ed è studiato appositamente per essere spettacolare agli occhi: il “divo” Diplo in piedi sulla consolle a sventolare il bandierone con lo stemma di casa, oppure dentro al pallone trasparente a far stage diving sulla folla urlante, e ancora il corpo di ballo, i personaggi in costume, persone del pubblico usate come bonghi… naturale che uno show di questo tipo faccia parlare di sé come qualcosa “da non perdere”. Eppure, a nostro avviso, c’è qualcosa di fortemente sbagliato in quel tipo di live. Vi diremo meglio tra un attimo, prima seguiteci lungo un altro ragionamento.
Ricordate la polemica dell’anno scorso sui cosiddetti “button-pushers”? L’aveva iniziata Deadmau5 riferendosi a personaggi come David Guetta e Skrillex, colpevoli secondo l’accusatore di non preoccuparsi più tanto del tasso tecnico messo in gioco nei loro live e di limitarsi a “schiacciare i bottoni” mandando un pezzo dopo l’altro, compensando magari con fumo, fuochi d’artificio e altri espedienti di distrazione di massa. Fu una guerra a distanza che durò alcuni mesi, con Deadmau5 che ironizzava su Paris Hilton dj, A Guy Called Gerald che rispondeva a Deadmau5 dandogli più o meno dello stronzo supponente e A-Trak che alla fine smorzò i toni facendone più un problema di prevedibilità dei live show. Ad ogni modo, il cuore della questione era: quanto siam disposti ad accettare il fatto che i fenomeni che han più successo (=consensi=guadagni) oggi siano semplicemente quelli più spettacolari, e non quelli di maggior talento? Questione spinosa a cui è meglio non dare risposte alla leggera, perché da esse si decide l’immagine che dominerà le serate dance del futuro.
Ora, il punto è che le due cose (Diplo sul palco a sventolare la bandiera e i button-pushers coi cachet a 6 cifre) sono strettamente legate. Entrambe rappresentano due volti di uno stesso fenomeno, ossia la tendenza degli ultimi anni da parte del pubblico ad apprezzare/privilegiare/scegliere le performance live per la loro capacità di intrattenimento extra-musicale invece che per qualità tecniche. In altre parole, sempre più gente preferisce qualcosa di divertente da vedere, di spettacolare a cui assistere, indipendentemente da tutta quella serie di abilità che storicamente han reso grande la figura del DJ, quindi la tecnica al mixing, la scelta d’istinto dei pezzi, il rapporto d’empatia col pubblico, insomma quegli elementi decisivi che possono fare la differenza tra un dj-set indimenticabile e uno discreto (e anche qui, sapete benissimo di cosa parliamo).
Direte voi: “beh, dove sta il problema? La gente va soprattutto per divertirsi, e questi eventi rispondono semplicemente a questa esigenza”. Inappuntabile. Infatti è proprio il motivo alla base di questa inevitabile tendenza che osserviamo nei tempi moderni. Come d’altro canto abbiam già vissuto la stessa cosa nel cinema, con l’avvento del 3D e la prolificazione di lungometraggi che scommettono molto sul piacere visivo e poco o nulla sulle maestrie del regista (intreccio, suspence, suggestione implicita, meccanismi di transfert sui personaggi, ecc.). Il problema, tornando ai nostri dj, è che questo sposta completamente gli equilibri dell’offerta musicale, e con essi anche le abilità considerate necessarie perché “una serata funzioni”. Perché se una volta per una grande serata serviva un grande dj, oggi può bastare uno scenografo bravo a curare gli effetti e le dinamiche legate all’esperienza. E il ruolo di quest’ultimo diventa fondamentale al punto che lui, da solo, può tranquillamente rendere la serata un mega-successo, anche se alla consolle ci sta uno di quei button-pushers di cui sopra. Con buona pace di Dave Mancuso e Nicky Siano, che tra un pò arriveranno coi bazooka a ristabilire il senso del loro messaggio originario.
E la cosa diventa ancora più lampante se a fare questa scelta di entertainment è uno come Diplo che – detto tra noi – musicalmente e tecnicamente è un mostro. Uno che potrebbe esaltare la platea basandosi solo sulla sua sensibilità musicale e su quel mix letale di stili esotici e ultimi gridi underground che rappresenta la sua vera cifra stilistica. Se anche lui, perfettamente consapevole dei suoi mezzi, sceglie di tenerseli da parte solo per il lavoro in studio e si costruisce invece un live come quello che abbiam visto, significa che gli equilibri di preferenza del pubblico stanno cambiando le cose. Diplo avrà pensato: “Guarda, devo scegliere tra un dj-set esteticamente inattaccabile che piacerà agli appassionati, esalterà magari anche gli addetti ai lavori ma che attrarrà solo il mio pubblico, o una sorta di concerto rock che si guadagna la fama di ‘live imperdibile’ e fa presa anche su chi non necessariamente ama la mia musica”. Fate conto che tra la prima e la seconda ipotesi c’è uno scarto grossomodo di uno zero nel cachet finale, moltiplicate la cosa per tutti quelli nella condizione di poter scegliere come lui, e capite da soli come finisce.
Non è un lamento di conservatorismo, né una critica all’offerta musicale moderna, ma una semplice presa di coscienza verso ciò che sta succedendo. La piega a cui stiamo assistendo dà sempre più importanza allo spettacolo e sempre meno alla musica in sé. Dallo stage diving dei Major Lazer alle torte in faccia di Steve Aoki il passo è breve, e continuando per questa strada non ci si può poi lamentare troppo di Sasha Grey DJ o Silvia Rocca in topless alla consolle. Anche quello è entertaiment, no? E se il punto è l’intrattenimento, quello in un modo o nell’altro può farlo chiunque, indipendentemente dalle sue capacità tecniche. Più lo “spettacolo” tira, più chi pensa o organizza i live show si orienterà verso nuove forme di spettacolo invece che verso qualità genuinamente musicali. E la cosa sarà tanto più diffusa in futuro quanto più sarà apprezzata dal pubblico giorno per giorno. Teniamolo bene a mente, quando ci capiterà ancora di battere le mani estasiati di fronte al prossimo costume di scena che arriva sul palco.