Damon G. Riddick, meglio conosciuto come DāM-FunK, ha passato almeno un decennio chiuso in studio e lontano dai riflettori a sperimentare il giusto amalgama di boogie, soul ed electro-funk che sarebbe poi diventato il suo marchio di fabbrica sotto l’imprinting Stones Throw. Un suono, il suo, con solide radici nella migliore cultura black e rami rigogliosi, protesi verso un’idea molto futuribile di funk declinata dal dirompente album d’esordio ‘Toeachizown’ sino al recente exploit di ‘7 Days Of Funk’, firmato assieme a Snoop Dogg. Sia come dj (con i mitici party Funkmosphere) che come produttore DāM-FunK ha perseguito, con tenacia e determinazione, un’idea coerente e un’estetica rigorosa: una sintesi organica di virtuosismi analogici (su synth e drum machine) e tecniche di studio che sfruttano al massimo le potenzialità del digitale. In attesa del suo prossimo live al Tenax di Firenze del 26 marzo, nella cornice di _Underpop, abbiamo raggiunto “the foremost authority on modern funk” per una chiacchierata a proposito dei prossimi progetti discografici, giovani talenti e futuro del funk. Se cercate la colonna sonora ideale per la lettura dell’articolo, Mixology vi propone un mix di tracce oscure, perle inedite e recenti hit con la voce di DāM-FunK a dispensare saggezza.
Dove ti trovi in questo momento e cosa stai combinando?
Sono nel mio quartiere, Derrie Heights, nella zona ovest di Los Angeles. Sto preparando il mio nuovo tour tra Stati Uniti ed Europa mentre vado a chiudere il prossimo album. Sto lavorando da molto tempo a questo disco ma solo ora, dopo l’uscita di quello con Snoop Dogg, trovo il tempo e la concentrazione necessari per finalizzarlo. Lo descriverei come un lavoro di Modern Funk che ruota attorno ad una linea narrativa coerente. Contiene strumentali, pezzi vocali e molte collaborazioni che ho messo insieme negli ultimi tre anni con la grande famiglia Stones Throw.
Sulla tua pagina Soundcloud pubblichi spesso demo, tracce inedite e bootleg. Se ascoltiamo con attenzione possiamo trovarci qualche anticipazione sulla prossima uscita?
Nel disco ci saranno molte cose che ancora nessuno ha ascoltato, composizioni inedite, ma anche reinterpretazioni di demo che in studio sono stati completamente rimasterizzati. Credo però che l’elemento caratterizzante di questo lavoro stia nella sua costruzione narrativa che fa da collante ai vari pezzi. Mi piacerebbe che lo si ascoltasse da cima a fondo: schiacciando il tasto play e lasciandolo andare come fosse un’unica canzone… anche se avrà la lunghezza di un triplo.
Ci racconti la genealogia di ‘7 Days Of Funk’?
Quel progetto è stato la naturale evoluzione di una lunga serie di frequentazioni sia sui palchi che in studio. Ci siamo ascoltati molto a vicenda e crescere nella stessa città ci ha sicuramente aiutato a trovare la giusta sintonia tra il mio modo di vedere il funk e la sua idea di rap. Ad unirci è stata una vibrazione e qualche coincidenza. Con Snoop ci siamo incrociati all’inaugurazione di una mostra di suo cugino Joe Cool in una galleria di Los Angeles, dove io suonavo come dj. Per lui prendere il microfono e cantare sulle mie basi è stato un fatto spontaneo. Qualche tempo dopo stavo lavorando al remix di un pezzo di Toro y Moi quando mi è piombato in studio, nel bel mezzo della notte, per ascoltare un po’ di cose nuove. Dopo l’inizio della prima traccia mi ha chiesto di stoppare tutto e di cominciare a lavorare ad un disco intero insieme. Per me, cresciuto con la sua musica, è stata la coronazione di un sogno e, al contempo, il riconoscimento per una gavetta assai lunga. Avere in studio e in casa una superstar come lui non era una cosa che mi sarei aspettato potesse accadere, dato che per molti sono ancora un segreto del funk. Dal momento nel quale abbiamo cominciato a pensare il disco a quello nel quale l’abbiamo considerato finito è passato pochissimo tempo. Tutto è stato intenso, veloce, perfettamente naturale e mi ha dato la possibilità di lavorare con un artista che, pur essendo un numero 1, conserva una straordinaria passione per la musica e una sincera curiosità verso il talento altrui.
Avete immaginato una dimensione live per quel progetto?
In realtà abbiamo fatto pochi show assieme perché ognuno di noi è impegnato in molte cose contemporaneamente. La ragione principale per la quale ci siamo lanciati in questa collaborazione è la condivisione di passioni musicali che ci uniscono. Non abbiamo mai pensato di farci un tour mondiale o altro. A volte bisogna prendere le cose per quello che sono, senza necessariamente chiedere loro di essere troppo altro. Magri faremo ancora degli altri show insieme ma non vogliamo pianificare troppo.
Come definiresti la tua idea di funk oggi?
Vedo il funk come qualcosa in continua progressione, per la definizione del quale è fondamentale anche l’apporto della nuova generazione di produttori. Mi piacerebbe parlare di una rivincita del funk, oggi. Noto una costante espansione del genere e mi rifiuto di immaginare questa cultura musicale come semplicemente legata all’uso di vecchi synth, attrezzature analogiche e stereotipi vintage in genere. Da quando ho cominciato a far musica credo che la mia missione, come artista singolo e come parte della Stones Throw, sia sempre stata quella di dare valore e riconoscibilità universale a un suono con radici profonde. In questo senso anche la visibilità nuova che può portare un artista famoso come Snoop Dogg al lavoro della nostra scuderia è funzionale a far interessare le nuove generazioni alla musica che amiamo, far venir loro voglia di studiare per capire da dove arriva quel suono. È il viatico migliore per lavorare assieme alla progressione del funk.
Ti va di farci qualche nome di nuovi produttori sui quali riponi speranze per questa progressione?
Mi piace molto il lavoro che sta facendo Reggie B e le cose nuove di Henning e L33. Ascolto con grande attenzione quello che gira attorno a Soulection e attraverso loro ho scoperto, per esempio, Kaytranada. Ovviamente continuo ad ascoltare anche i grandi classici del mio olimpo come Prince ma adoro ascoltare nuova musica che non ho mai ascoltato prima. Anche perché il funk viene da qui, dalla combinazione di molte influenze diverse. Ciò che mi rende orgoglioso di essere un musicista funk è un’apertura mentale assoluta verso tutta la musica che arriva da ogni angolo del globo.