Musica da ballo e musica per il balletto, due generi composti con lo stesso scopo ma ambientati in contesti completamente diversi, il club e il teatro. Incuriositi dal percorso che alcuni artisti hanno intrapreso (…forse per un bisogno di “elevare” il livello della loro produzione, o forse per pura curiosità), arrivando a comporre musica per il balletto, siamo andati ad investigare più a fondo la relazione tra questi due mondi. Dovrebbe essere quasi uno sbocco naturale per chi già scrive musica “da ballo”, in realtà, ma non è così semplice: c’è un contesto diverso, quello del teatro, e ci sono linguaggi diversi da conoscere e saper utilizzare. Poi c’è anche la questione degli strumenti: è possibile utilizzare musica elettronica in un contesto classico? Che effetto producono dei sintetizzatori suonati in un teatro?
Un esempio notevole è quello di Jamie XX, che ha composto l’intera colonna sonora del balletto “Tree of Codes” con le coreografie di Wayne McGregor, già conosciuto per aver utilizzato dei riarrangiamenti dei White Stripes e per aver diretto un video dei Chemical Brothers. Lo spettacolo si ispira all’omonimo libro, che è poi un remix in versione letterale: lo scrittore Safran Foer ha preso The Street of Crocodiles di Bruno Schulz, ci ha ritagliato le parole e ha composto un nuovo libro. In una sorta di parallelismo sonico, Jamie Smith ha voluto sviluppare un algoritmo che traducesse il testo in ritmo ed è partito da lì per poi comporre il resto dell’opera.
Un altro nome ad essersi spinto oltre i confini del dancefloor è Laurent Garnier, che ci aveva già raccontato in un’intervista come comporre musica per il balletto fosse sempre stato un suo sogno. Dopo aver composto l’album “The Cloud Making Machine”, la sua musica fu notata anche in ambienti “alti”, da lì arrivarono le collaborazioni con due dei migliori coreografi francesi: Marie-Claude Pietragalla, per lo spettacolo fortemente surrealista intitolato “M. & Mme Rêve”, e Angelin Preljocai dopo, con il quale ha creato “Suivront mille ans de calme” per il teatro Bolshoi di Mosca, uno dei capolavori del coreografo che in passato aveva già mostrato appetito per l’elettronica francese, collaborando con gli Air.
Infine merita una menzione la collaborazione tra lo Staatsballet di Berlino e il club Berghain, dalla quale è risultato uno spettacolo intitolato “Shut up and dance!” ed un omonimo EP in cui nomi grossi della scena techno come Luciano e il duo Âme sono stati chiamati a comporre per la danza. I membri della compagnia tedesca si sono poi cimentati nel ballare sopra queste composizioni sintetiche, raggiungendo il punto perfetto di fusione tra balletto e musica da club. Curioso come, forse per entrare nel mood, i ballerini siano andati a provare lo spettacolo anche tra le mura del Berghain: club che, ancora una volta, si dimostra uno dei pilastri portanti dell’avanguardia e della ricerca artistica della scena elettronica, al di là di quanto “istituzionali” possano essere diventati alcuni suoi resident storici.
L’intreccio tra la musica elettronica, la club culture e la danza contemporanea è più fitto di quanto si possa immaginare. Un altro esempio di produzione che utilizzi suoni sintetizzati è quello di “Kreatur”, creazione di Sasha Waltz, coreografa tedesca, conosciuta soprattutto per le sue creazioni Tanztheater e fortemente avantgarde. Il suo caso è il contrario dei precedenti: se prima erano stati i producer a prestarsi al balletto e a contaminarlo con i loro sintetizzatori, in questo caso è Sasha Waltz a servirsi dei suoni elettronici per completare l’estetica asettica della sua creazione. Uno spettacolo che passa dalla purezza e l’innocenza iniziale delle prime forme di vita alla perversione e crudeltà della una società evoluta, in una sorta di critica disillusa alla struttura della società umana. Il sound design è stato curato dal Soundwalk Collective, trio sperimentale a metà strada tra New York e Berlino, che con i club hanno un rapporto particolare: nella loro biografia annoverano il disco “Berghain: Surface vibration & resonances”, ovvero la registrazione dei suoni emessi dalla struttura della mecca berlinese se sottoposta a diversi input e sollecitazioni.
Incuriositi dal vaso di Pandora scoperchiato durante le nostre ricerche siamo andati a chiedere a chi in questo mondo ci lavora tutti i giorni, per cercare di capire come la musica elettronica abbia influenzato una delle forme d’arte più restia al cambiamento e alle contaminazioni pop. Abbiamo ascoltato i punti di vista dei tre ruoli che più di tutti hanno a che fare con la musica durante il processo di creazione di un balletto: quello del coreografo, del compositore e del ballerino. Ne sono venute fuori tre chiacchierate estremamente interessanti e dense di contenuti, che ci hanno mostrato uno scorcio di come funzioni all’interno questo mondo, oltre che rivelarci, con nostra grande sorpresa, quanto abbiano in comune questi due mondi apparentemente così distanti.
Maurice Causey – Coreografo
Maurice Causey è un coreografo americano. Dopo essere stato Principal Dancer al Ballet Frankfurt, eseguendo quasi completamente il repertorio di William Forsythe, e poi al il Gothenburg Ballet, ha iniziato la sua carriera come coreografo e insegnante freelance nel 2003.
Pensi che il modo in cui lavori cambi quando componi coreografie per musica elettronica?
È una domanda molto personale. Faccio questo lavoro da circa 30 anni e quando ho iniziato a lavorare come coreografo penso di essere andato di più verso la musica classica, perché era più accessibile in quel contesto, ma si può dire che non mi abbia mai veramente calzato addosso del tutto. Quando ho iniziato a lavorare per conto mio in piena autonomia, ho incontrato compositori di musica elettronica che mi hanno influenzato, così come è stato importante anche il tempo passato con William Forsythe, dove la musica elettronica era composta da Thom Willems, un pioniere che ha lavorato con Forsythe. Penso che il mio tempo passato lì, a lavorare su composizioni elettroniche, sia stato abbastanza vitale per la mia visione. Il mio lavoro è molto eclettico, sì, ma io tendo ad andare verso le composizioni elettroniche perché penso che siano moderne, più influenti e in qualche modo “urban”. Ho lavorato con compositori elettronici come Gabriel Prokofiev e li trovo freschi, mentre la musica classica mi dà una sensazione diversa. Sia chiaro, anche la musica classica deve essere utilizzata: al momento sto lavorando con un compositore che usa musica classica composta da lui stesso, quindi scritta oggi, contemporanea, e comunque adoravo Sergei Prokofiev (che poi è il nonno di Gabriel). Ma come posso dire: la musica elettronica mi emoziona! Mi piace il ritmo, le percussioni che trovi in determinati tipi di composizioni elettroniche… perché ovviamente ci sono diversi tipi di musica. Penso che le mie coreografie siano abbastanza fresche, piuttosto uniche, anche perché lavoro molto con le tecniche di improvvisazione. Il mio background è classico, ma ho un mio linguaggio personale: è un derivato della sperimentazione classica e improvvisativa e penso che la musica elettronica sia più adatta a un linguaggio di questo genere. Quindi cambia il mio modo di lavorare quando compongo coreografie per una partitura elettronica? Assolutamente: perché funziona meglio con il mio stile. Penso al movimento contemporaneo, e in qualche modo una composizione elettronica mi sembra più moderna, più tagliente. Sensazioni non riesco a ottenere con la musica classica.
Pensi che la musica elettronica possa cambiare i sentimenti dei ballerini sul palco?
Penso che la musica elettronica sia in grado di evocare un qualche tipo di sentimenti. Questo mi fa pensare a quando stavo lavorando con Gabriel Prokofiev su “Howl”: ricordo una conversazione con lui, parlavamo di fare musica elettronica basata sui sentimenti, qualcosa di toccante quando si trattava di essere intimi. La musica classica, forse a causa degli strumenti usati, penso che dia una sensazione ben precisa, antica. Con la musica elettronica sento invece di poter evocare sentimenti più freschi, di fornire un livello di interpretazione più basato sul sentimento. Ovviamente dipende tutto dalla persona e dal ballerino, che è l’interprete finale; quindi non posso davvero dire se la musica stessa influenzi o meno i ballerini, ma dalla mia esperienza sì, la musica elettronica li influenza, in particolare i ballerini contemporanei, abbastanza diversi da ballerini con formazione classica.
E il pubblico? Qual è la reazione del pubblico alla musica sintetizzata?
Direi che siamo in tempi di cambiamento, in tempi moderni. Nel caso delle composizioni elettroniche quando si parla di balletto classico, tutto dipende dal pubblico, se è più vecchio o più giovane. La musica elettronica può essere una sfida per alcuni, perché il movimento classico o la musica classica sono più accessibili e “normali” in quel contesto. Di solito reazione alla musica elettronica è mista: alcune persone vogliono solo essere in grado di sentire qualcosa subito, istantaneamente, e con la musica elettronica a volte è richiesto uno sforzo maggiore.
In passato, hai avuto la possibilità di lavorare a fianco di William Forsythe, uno dei pionieri nell’uso di strumenti elettronici nei suoi balletti. In che modo questa collaborazione ha influenzato il tuo lavoro?
Quando lavoravo con Thom Willems (che è il compositore di Forsythe, la loro relazione è durata oltre trent’anni), credo che sia stata una delle prime volte in cui ho ballato su musica elettronica. Ho subito avuto una percezione precisa: sento che mi “guida l’anima”, semplicemente in qualche modo mi tocca di più. Sento esserci più movimento, sì, da coreografo posso scolpire di più il movimento con la musica elettronica. Se ho coreografato sia per musiche classiche che elettroniche ma principalmente per elettronica, penso proprio sia stato stato a causa dell’influenza che ho avuto da Thom Willems. Molti miei colleghi di Francoforte, che erano discepoli di Forsythe, usavano la musica elettronica, probabilmente perché era una musica che si legava bene ai suoi precetti e alle sue metodologie. Mi piacciono i pezzi di Forsythe, come “In the Middle, Somewhat Elevated”. Naturalmente, lui usava anche la musica classica, usava cose come Bach e Handel; ma lo ha fatto raramente fino a quando sono stato lì, e io sono stato lì per otto anni.
Pensi che la cultura del club possa avere un’influenza su una forma d’arte “alta” come il balletto?
Penso che la cultura del club abbia sempre avuto un’influenza sulla danza in generale, ma soprattutto più sul ballo commerciale, portato nelle case da spettacoli come “So You Think You Can Dance” e “Dancing with the Stars”. La club culture ha sicuramente influenzato questo tipo di stile. Stili di danza come la commerciale o il ballo hip hop o la street dance, questi sono più presenti nella club culture. Ci sono coreografi che stanno fondendo stili di danza come l’hip hop e la street dance per influenzare il balletto contemporaneo, i musicisti classici, i ballerini classici contemporanei. Sicuramente c’è una fusione in corso, quindi direi che sì la club culture sta influenzando, ma hanno ancora un pubblico molto diverso; quindi sicuramente influisce in qualche modo, ma lentamente. Perché c’è una divisione, una separazione profonda, tra teatro dove si esibisce un balletto e danza commerciale. Certo, hip hop e street dancing, per dirne due, anche loro sono danze tecniche, e credo che in qualche modo tutto abbia un’influenza su tutto il resto. Ma fortunatamente o sfortunatamente, il balletto o la danza contemporanea sono per lo più visibili in un teatro.
Patricia Keleher – Ballerina
Patricia Keleher è una ballerina professionista americana, formata all’Accademia del Balletto di Kirov di Washington DC e alla San Francisco Ballet School. Patricia ha poi lavorato per il San Francisco Ballet e il North Carolina Dance Theatre. Attualmente fa parte della Companhia Nacional de Bailado di Lisbona come corps de ballet e dove spesso interpreta ruoli da solista.
Hai mai ballato su una composizione legata alla musica elettronica? Come ti sei sentita?
Sì. Una in particolare che ricordo è una produzione chiamata “The Groove” di Dwight Rhoden, un noto coreografo degli Stati Uniti. Il pezzo riguardava i vari livelli di una notte in un club, quindi aveva un sacco di musica elettronica. C’erano molti pezzi dei Pet Shop Boys, per dire; di sicuro, ricordo che era stato un balletto davvero divertente. Il livello di energia era molto alto e ci ha portato tutti allo stesso livello: perché è un tipo di musica davvero divertente da ballare. Ricordo che mi divertivo molto a stare sul palco: sì, pensavo alla mia tecnica, ma anche a godermi il ritmo della musica. C’erano diversi livelli all’interno dei pezzi. Non era un’orchestra dal vivo, era una composizione elettronica e quindi era già registrata, ma c’erano molti elementi nella musica che creavano davvero un’atmosfera intensa.
Pensi che il tuo umore cambi quando balli su musica elettronica piuttosto che su una colonna sonora eseguita da un’orchestra? Pensi che farebbe differenza se i sintetizzatori fossero suonati dal vivo?
Penso che ci sia una differenza. E’ sempre bello avere un’orchestra dal vivo, ma di solito l’orchestra dal vivo è per pezzi più classici. La musica elettronica ha più livelli, cosa che la rende simile a una grande orchestra, in certi casi ti dà la stessa sensazione ed è molto potente, anche se è solo una registrazione. Poi, se i sintetizzatori fossero live sarebbe ancora meglio, probabilmente. Voglio dire, qualsiasi musica suonata dal vivo sul palco ha un effetto diverso, perché sei più attento, i tuoi sensi sono più stimolati.
Cosa rende una composizione musicale bella da ballare?
Penso di sottovalutare sempre il potere della musica. Recentemente abbiamo lavorato con una coreografa (Ambra Senatore – ndr.) che non usa la musica nel suo lavoro, la musica è un po ‘di sottofondo. E’ stato un po’ uno choc: tutti i ballerini della compagnia lavoravano sempre con la musica, quindi quando metti la musica in primo piano per un ballerino è “casa”, è davvero l’atmosfera di come ci sentiamo ballare, vedi davvero che la musica dà il tono al movimento… quando hai della musica con cui ti connetti veramente questo fa davvero la differenza – come ti senti ballare, come ti senti sul palco. È un po ‘come indossare bei vestiti: quando indossi qualcosa in cui ti senti veramente bene, ti sembra di essere un po’ più alto! E’ la stessa cosa con la musica e la danza, va di pari passo, l’effetto e la correlazione sono quelli. Le qualità che fanno un buon brano penso siano i livelli, la profondità, i ritmi e l’atmosfera che si crea con le diverse tonalità. Penso che la musica elettronica possa essere simile anche a un’orchestra classica: perché in entrambe ci sono molti elementi, molti sottotoni nella musica con cui trovare il tuo “groove”, a seconda della coreografia.
Pensi che ballare su un palco e ballare in un club possano avere qualcosa in comune? E cosa li rende diversi?
Ritengo che ci possano essere delle somiglianze, così come posso sicuramente trovare delle differenze. Penso che in un club entro un po’ nel mio spazio personale: riesco a concentrarmi su ciò che provo semplicemente godendomi il momento. Sul palco invece riesco a farlo solo a volte, perché devo restare concentrata, stare attenta a quello che mi succede attorno. Nei club, se mi sto davvero godendo la musica e le persone sono quelle giuste, mi connetto con loro, ma in maniera più leggera. Penso che ci possano essere elementi sul palco che ti danno la stessa sensazione che potresti avere in un club, ma sicuramente non l’odore (Ride – ndr) . Però sì, l’atmosfera può essere simile, un po’ come uno spazio buio: senti solo la tua connessione con la musica e le persone intorno a te, che poi è praticamente quello che facciamo sul palco.
Ci sono esempi di balletti classici e contemporanei eseguiti utilizzando una composizione elettronica. Pensi che un tipo funzioni meglio dell’altro? Perché?
Penso che entrambi funzionino davvero bene. Mi diverte molto guardare i balletti neoclassici in scarpe da punta con musica elettronica: mi piace la qualità sofisticata del movimento creato ballando con le scarpe da punta, è molto fluido e si abbina bene con la musica; lì dove un approccio più contemporaneo, più “pedestrian”, è invece un po’ più umano – e anche questo può in realtà essere interessante. Personalmente mi piace questo contrasto tra il movimento classico e la musica elettronica, penso che si crei un buon equilibrio tra due realtà diverse. In generale, questi incroci sono interessanti perché possono essere tradotti, di volta in volta, in molti modi diversi.
Gabriel Prokofiev – Compositore
Gabriel Prokofiev, nipote del celebre compositore del XX secolo Sergei Prokofiev, è un compositore, produttore e DJ britannico, nonchè direttore artistico dell’etichetta Nonclassical. La sua carriera di compositore classico è iniziata nel 2003 con i suoi primi due lavori per quartetti d’archi, che ha composto per l’Elysian Quartet. Nel marzo 2015 ha debuttato alla Royal Opera House ed è attualmente il compositore residente dell’Orchestre de Pau Pays de Béarn, nel sud della Francia.
Cominciamo parlando direttamente del balletto. Pensi che la musica elettronica abbia influenzato questa forma d’arte? Come?
Sicuramente penso di sì. Voglio dire, dipende da quanto torniamo indietro, perché non conosco molto delle collaborazioni con musicisti elettronici negli anni ’70 / ’80; ma sicuramente già allora stava succedendo qualcosa. Il fatto è che, con la musica elettronica, a dirla tutta già negli anni ’50 Raymond Scott stava sperimentando le prime sequenze sintetizzate. Poi negli anni ’60 / ’70 si è riusciti a creare questa “musica elettronica meccanica”: che ritmicamente è molto diversa e ha questo effetto meccanico, è molto stimolante e, ovviamente, le persone reagiscono in modi diversi. L’abbiamo visto con la cultura della musica dance: ha creato un approccio completamente nuovo alla danza, questa idea di essere ipnotizzati dai ritmi elettronici… In generale non penso che chiunque faccia balletto, anche se è in un teatro e con la sua tradizione classica, possa sfuggire a questa influenza non solo della club culture e della musica techno, ma anche in generale dell’aspetto meccanico della musica. Ti fa pensare al corpo in un modo diverso; introduce questa visione dell’umano contro la macchina, il fatto che viviamo in qualche modo in un mondo meccanico, con computer e macchine. Inoltre, non so quando i coreografi abbiano iniziato a usare le registrazioni, ma già questo ha cambiato qualcosa: perché quando balli sopra ad una registrazione hai qualcosa a cui devi attenerti, tutto è più “affidabile”, tutto arriva sempre nello stesso punto, ha una certa rigidità. Inoltre, altro punto fondamentale, la musica elettronica ha portato una nuova gamma di suoni, le frequenze potenti dei bassi, e anche il volume – è molto più alto. Alcuni coreografi ad esempio, come Maurice Causey, lo vogliono sempre più alto! Hai da tenere in mente la fisicità del suono: la musica elettronica ha un impatto più fisico di suo, e funziona davvero bene con la danza, ti senti fisicamente risucchiato dall’intera esperienza. Quando faccio musica elettronica per la danza, quando posso, provo anche a usare suoni surround: faccio il mix in una maniera specifica, così in alcuni punti sembra che il suono arrivi da dietro di te. Questo immerge il pubblico ancora più nell’esperienza – ed è qualcosa che puoi fare solo con la musica elettronica o registrata. Voglio dire, ho visto alcune opere in cui c’erano alcuni musicisti sul balcone, o disseminati comunque in giro per il teatro e non solo nella buca degli orchestrali, ma per un effetto surround completo hai davvero bisogno della musica elettronica. Devi stare attento quando fai il mix, altrimenti, ad esempio, il suono nella parte posteriore è troppo forte; ma sicuramente la musica elettronica apre una nuova gamma di possibilità con la fisicità, l’ambiente, il volume, le frequenze. Puoi avere questi suoni incredibilmente brillanti, che danno un effetto molto diverso. Ho composto per un balletto a Stoccarda con lo Stuttgart Ballet, con orchestra ed elettronica, e c’era un punto in cui mettevamo tutte le alte frequenze in alto e sembrava che piovesse su di te. Molto potente. Quindi sì, apre molte possibilità e i ballerini hanno sicuramente reagito a questa novità.
Quando inizi a lavorare su un nuovo pezzo, cosa ti fa decidere di introdurre uno strumento elettronico?
Questa è un’ottima domanda. Perché è vero che mi piace lavorare con l’elettronica, ma se ho la possibilità di lavorare con un’orchestra completa, che può produrre così tanti suoni, così tanti strumenti, la mia domanda è “Ho davvero bisogno dell’elettronica?” Mi pongo questa domanda perché non voglio fare elettronica solo perché è “cool”, che forse è ciò che le persone si aspettano da me. A volte il coreografo può dirmi che vuole la musica elettronica semplicemente perché ha un suono più moderno, potrebbe essere semplicemente quello. In alcuni dei progetti su cui lavoro, non abbiamo poi molta scelta: a volte infatti la ragione è puramente finanziaria, non ci sono le economie per assoldare una intera orchestra, ma di solito questa non è una ragione primaria. Un esempio positivo da raccontare potrebbe essere lo Stuttgart Ballet: mi hanno offerto un’orchestra completa su cui contare, ed ero molto emozionato. Ma il tema del lavoro “Dark Glow” era fondamentalmente una storia di fantasia in cui c’è questa società che ha scoperto una strana tecnologia, e improvvisamente tutti diventano ipnotizzati da questa tecnologia, in qualche modo corrotti. Un’allegoria della dipendenza dagli schermi che vediamo ovunque ora… è un po’ spaventoso e incredibile come sali sul treno, oggi, e tutti stanno guardando lo schermo, a partire dai bambini ma senza escludere nessuno, il bagliore dello schermo è come una sorta di droga. Nel balletto quello che succede è che all’inizio c’è un’orchestra, che rappresenta la luce del giorno, la presenza elettronica c’è ma è in sottofondo, perché volevo far capire come la tecnologia fosse già lì; poi però lentamente la tecnologia inizia a dominare la vita delle persone, i suoni elettronici alla fine prendono completamente il sopravvento e l’orchestra passa in secondo piano. L’elettronica diventa davvero forte, techno, meccanica. All’inizio l’elettronica viene suonata dal vivo, mentre nella seconda metà dell’opera ho usato un sequencer, perché volevo questo suono meccanico (…e il direttore d’orchestra doveva indossare un clicker nell’orecchio per andare a tempo). Faccio insomma in “Dark Glow” un viaggio dall’acustico alla pura elettronica e lo faccio non per caso, penso che questo sia un buon esempio. Poi con quanto ho appena composto, una produzione chiamata “Spring”, che è un balletto di Alexander Whitley con i giocolieri dell’ensemble Gandini, ho usato un sacco di ritmi irregolari: perché loro si esibiscono magari con cinque palle, oppure con tre palle, ma con sei persone. Hanno tutti questi numeri strani che si combinano tra loro insomma, quindi ho realizzato questi motivi sonori dal piglio meccanico e geometrico, con ritmi diversi, in cinque battiti o sette battiti, che funzionano davvero bene con quello che fanno i ballerini. Una specie di post-techno irregolare combinata con archi suonati dal vivo.
Quindi a volte usi l’elettronica per creare contrasto?
Sicuramente gli strumenti acustici producono un suono particolare e “familiare”, quindi quando si utilizza l’elettronica si va a contrastarli; ma allo stesso tempo devono funzionare assieme, non è semplice trovare il giusto equilibrio. Anche con “Howl”, che ho realizzato con Maurice Causey, abbiamo scelto di usare l’elettronica perché ci siamo ispirati alla primavera araba: tutti questi eventi che si vedevano in tv, e ciò che davvero aiutava quelle ribellioni erano le nuove tecnologie, era Skype, Facebook, e Youtube, le persone filmavano sui loro telefoni e poi trasmettevano in streaming. Era come se la tecnologia stesse diffondendo il messaggio. Quindi ho composto della musica elettronica e l’ho degradata con distorsioni e bit crushing digitali (questi effetti che riducono digitalmente la qualità del sintetizzatore originale), nel cercare di esplorare il tema. Penso che sia importante poter dare un significato all’elettronica che uso. Un altro lavoro a cui mi sono dedicato è “Strange Blooms”, con la Shobana Jeyasingh Dance Company. L’intera composizione è fatta da una traccia di clavicembalo che ho poi completamente trasformato in studio, quindi era una sorta di musica elettroacustica. La parte acustica è come un seme organico che poi è cresciuto come delle strane piante, l’ho usato come fonte per creare qualcos’altro. A quel punto, lo strumento elettronico, mi ha permesso di “rompere” quei suoni e creare texture sonore che non puoi produrre con strumenti acustici.
Il balletto è una forma d’arte molto legata alle sue regole e tradizioni. È ancora considerato pionieristico utilizzare gli strumenti elettronici in una composizione o ormai è ampiamente accettato?
Penso che dipenda davvero dalla compagnia. Se prendi compagnie come la Rambert Dance Company, loro fanno solo balletti contemporanei, non hanno mai fatto un balletto “vecchio” e per anni hanno lavorato con musica elettronica e registrata. Hanno commissionato ogni genere di cose, quindi sono sicuro che abbiano lavorato con qualcosa di elettronico già negli anni ’80 o ’70. Per le compagnie come la loro, questo non è niente di nuovo. Ho realizzato un pezzo per loro che aveva dieci archi e musica elettronica: si sono divertiti ed erano felici, perché in realtà non combinano spesso acustica ed elettronica. A volte hai l’elettronica con uno strumento solista tradizionale, ma normalmente è o solo acustica o solo elettronica. La combinazione di acustica ed elettronica non è ancora molto comune. Poi, per esempio, quando prendi compagnie come lo Stuttgart Ballet, loro hanno un repertorio tradizionale; quando abbiamo lavorato con un’orchestra completa ed elettronica non è stata magari la prima volta per loro, ma erano comunque piuttosto eccitati, era qualcosa di abbastanza nuovo. C’era un altro pezzo che aveva musica per orchestra prima che poi si fermava e partiva l’elettronica, per poi tornare all’acustica. Ma combinare le due cose, in realtà, è ancora una cosa nuova per la maggior parte delle compagnie.
E il pubblico? Come hanno reagito?
È piaciuto molto! Penso che oggi le persone siano davvero affamate di musica elettronica, anche le più anziane. Ad esempio, lo spettacolo che ho fatto con Gandini Juggling Ensemble è stato in scena due settimane a Londra, finito lo spettacolo abitualmente alcune persone venivano da me a complimentarsi. C’era questo tizio, abbastanza anziano, tipo che doveva avere settant’anni o sessantacinque, assieme a sua moglie, sono venuti da me e mi hanno detto: “Oh ci è davvero piaciuto!“. Ero abbastanza sorpreso, perché pensavo che persone di quel genere e di quell’età l’avrebbe trovato troppo electro, troppo urban, rumoroso, con il basso troppo pesante. Ma a loro è piaciuto davvero! Penso che negli ultimi dieci anni siamo arrivati al punto in cui la musica elettronica sia ormai la normalità. Le persone ci sono abituate. Voglio dire, la senti ovunque, no? Quando la sentono nei balletti si entusiasmano perché pensano “Oh wow, è un balletto ma è davvero moderno, perché usa musica elettronica” e cominciano ad apprezzarla di più. Con i giovani è il contrario, a volte odiano la musica elettronica nei balletti perché dicono “Oh sì, questa la conosco“. Si sentono al sicuro con la musica elettronica, nella loro comfort zone, ma per loro la danza è qualcosa di nuovo. Sono interessanti questi intrecci atipici, siamo arrivati in una fase molto interessante in questo momento.
In effetti, mi aspettavo che il pubblico potesse restare scioccato da questa combinazione di acustico ed elettronico.
Capita. Ad esempio, la scorsa settimana hanno eseguito lo stesso spettacolo a Rouen, in Francia, e il pubblico sembrava un po’ più tradizionale, più da balletto; era alla Rouen Opera House, quindi lì ti aspetti composizioni più tradizionali, ed effettivamente qualche persona si è lamentata perché il volume era troppo alto. Penso che in generale il pubblico della danza contemporanea sia più aperto; mentre per il balletto classico, penso che se sanno che è una creazione nuova sono più aperti, quando invece vanno a vedere cose più tradizionale, come lo “Schiaccianoci” o il “Lago dei Cigni”, e ci trovano solo musica elettronica, alcuni probabilmente non la prendono bene ma ci sono sempre altri che dicono “Wow, è molto moderno“. In generale, penso che la musica elettronica venga accettata molto più che prima, negli ultimi dieci anni.
Pensi che ci siano luoghi espressivi che possono essere raggiunti solo attraverso la musica elettronica?
Sicuramente! Come dicevo prima, in “Howl”, con Maurice Causey, c’era questo suono distorto, con alcuni effetti e questa specie di click – come un’interferenza. Alcuni degli effetti che si possono creare con la musica elettronica sono molto potenti: in quel caso era per rendere consapevoli della solitudine che alcune persone provano nella ribellione, perché una ribellione contro una forza più grande spesso è un’esperienza molto solitaria, molto pericolosa. Così abbiamo ricreato questo suono e, insomma, sembrava davvero come se venissi monitorato, o torturato. Questi riferimenti fisici che puoi fare con il suono elettronico sono molto potenti e sono soprattutto molto difficili da fare con gli strumenti acustici. Puoi provarci, sì, ma con la musica elettronica puoi dare quel tocco in più, specialmente con i suoni industrial, puoi creare effetti davvero impressionanti. Quello che ho fatto con “Strange Blooms”, il modo in cui ho usato strumenti elettronici per “stretchare” e deformare il suono, puoi creare effetti che non riusciresti a riprodurre solo con strumenti acustici. Mi permettono di creare un suono più fluido, più strano. Sono curioso di vedere se riesco a replicare lo stesso effetto con strumenti acustici… devo assolutamente provarci. Penso che sia possibile, ma comporre musica elettronica ti dà una libertà con il suono che richiede più tempo per essere raggiunta, agli stessi livelli, con gli strumenti acustici. Anche con alcuni effetti ritmici: puoi fare più velocemente con l’elettronica cose complicate con il ritmo che possono essere sì fatte con strumenti acustici ma sono molto più complicate, tipo quegli effetti poliritmici.
Sarebbe un esperimento interessante: invece di essere la macchina che replica il comportamento umano, è l’umano che imita la macchina.
Sicuramente, l’ho fatto io stesso, ci sono già passato, ho fatto alcuni pezzi di musica in cui consapevolmente facevo in modo che gli strumenti acustici fossero influenzati dalla musica elettronica. Nel mio “String Quartet No. 2”, nel primo movimento, cerco davvero di far suonare ai musicisti questa specie di techno meccanica – hanno creato questo suono che normalmente non si sente con i quartetti d’archi. Può essere molto interessante imitare la musica elettronica con l’acustica. È così che funziona con la creatività: è sempre un circolo, qualcuno influenza qualcun altro e viene influenzato a sua volta.
Durante la tua carriera, hai spesso provato ad infrangere le regole della musica classica e mescolarla a generi che sono considerati più “popolari”, come l’house music e la techno. Cosa pensi che questi due mondi abbiano in comune e cosa invece li distingue?
Mi piacciono molti generi diversi, e mi piace anche ballare. Al momento ho dei figli piccoli e molto lavoro quindi non esco più come prima, ma quando ne ho la possibilità, mi piace ancora uscire. Quando ero adolescente e ho scoperto il ritmo sincopato (prima con la musica funk, e poi electro, acid house e techno), è stato molto eccitante. È stato come se mi si aprisse un mondo nuovo davanti. Ho anche prodotto con una band chiamata Spektrum, facevamo electro e una specie di punk funk, poi ho prodotto anche musica hip hop e grime. Ho avuto una carriera abbastanza varia per almeno dieci anni facendo questo genere di cose, e allo stesso tempo componevo musica classica. Queste esperienze “altre” però sono diventate parte del mio linguaggio musicale, quindi anche lavorando in contesti e direzioni più classici queste influenze iper-contemporanee sono sempre venute fuori. Ad esempio, mi sono ritrovato ad usare un certo ritmo in una composizione classica e a pensare: “Questo sembra hip-hop o grime, ma sembra funzionare, suona naturale“. Sto scrivendo musica ora, nel presente, e sono gli anni 2000, perché non dovrei usare quel ritmo? Perché dovrebbero esserci delle regole su ciò che posso usare o meno in un pezzo di musica classica? Perché la musica classica dovrebbe essere una composizione avventurosa, che sviluppi delle idee e ti porti in viaggio. Nasce così. Quando ci ho riflettuto, ho capito che se torniamo indietro di cento anni la musica classica era già stata influenzata dalla musica popolare dell’epoca, molto più che adesso, c’era meno divario. Prendi danze come il minuetto, il valzer o la polka: tutti quei compositori come Chopin, Mozart e Beethoven, tutti loro hanno scritto un valzer o un minuetto, e Chopin più tardi una polka! Erano danze popolari all’epoca e loro scrivevano musica classica basata su quei ritmi. Penso insomma che quello che sto facendo sia più fedele alla tradizione classica rispetto alle persone che cercano di tenersi separate dalla musica “popolare”. Una spiegazione molto semplice potrebbe essere che nel ventesimo secolo la scena classica ha cercato di prendere le distanze dalla cultura popolare: hanno cercato di sottolineare il fatto che stessero facendo una sorta di arte “alta”, intellettuale e non fisica, molto cerebrale. È molto interessante, sì, ma è solo un aspetto della musica classica, uno dei tanti possibili. Io sto cercando di riconnettermi con un aspetto più ampio della musica classica, più fisico ed emotivo: penso che la musica classica perda una parte importante quando si concentra solo sul lato intellettuale, che è forse ciò che più la differenzia da tipi di musica, quindi è un elemento importante, ok, ma siamo anche esseri fisici, il lato fisico è importante e pure il ritmo è importante. Penso non sia corretto affermare che sto “infrangendo le regole”: sto più che altro tornando alla vecchia scuola, alle vecchie regole. Tra l’altro io non sono l’unico a fare questo tipo di esperimenti, ci sono sempre più compositori felici di raccogliere influenze esterne. Riguardo a ciò che questi mondi hanno in comune, penso che quando parli di musica dance creata per ballare nei club, fatta per i DJ, eccetera eccetera, i brani musicali sono strutturalmente molto semplici, spesso è solo un’idea ripetuta per tutto il brano. Trovi un bel groove e vai con quello, poi hai una pausa, forse hai un’altra sezione in cui varia un po’, ma è tutto basato su di un groove interessante. Nella musica classica, l’idea è di avere uno sviluppo, di prendere un’idea e andare da qualche parte, trasportare l’ascoltatore in una sorta di viaggio, e normalmente non ti aspetti qualcuno balli. Gli obiettivi dei due generi siano leggermente diversi. Ma penso che anche la musica dance possa portare gli ascoltatori in un viaggio, specialmente con un buon dj: creano un viaggio suonando una decina di dischi diversi e mixandoli uno dopo l’altro. In quel caso la musica dance può avere effetti simili. La musica classica è un’esperienza più intensa, i cambiamenti sono più immediati (a meno che non parli di musica minimalista, che ha più connessioni con la musica dance perché è tutta una questione di ripetizione, ma con la maggior parte della musica classica è un’esperienza di ascolto più impegnativa, devi restare davvero concentrato). Penso tuttavia che ci siano alcuni ritmi e approcci al sound design davvero interessanti che si sono evoluti e sono usciti dalla musica techno e trance, e penso che i compositori sarebbero pazzi se non prendessero delle influenze da lì. Ci sono alcune innovazioni davvero potenti e stimolanti che sono uscite dalla musica dance. Ritengo che i cambiamenti nella società del ventesimo secolo siano stati molto potenti e profondi, e che la seconda guerra mondiale abbia avuto un grande impatto sulle persone: alcune volevano “rifiutare” il passato. Il mondo musicale si è frammentato, ma penso che ora, nel XXI secolo, la cultura si sia evoluta molto dallo shock del XX secolo. Penso che ora la cultura sia diversa, i contesti differenti e che le persone possano tornare ad unirsi. La cosa divertente è che sto dicendo questo, ma poi politicamente le cose si stanno frammentando; ma penso che nella cultura possiamo riuscire ad unirci, la musica, le arti e la danza possono mostrare una direzione positiva. Alcune persone temono che la musica elettronica possa uccidere la musica acustica nel balletto, e se accadesse sarebbe un peccato. Ovviamente è più economico assumere un compositore che riesca a creare un’intera composizione da solo, grazie all’elettronica, piuttosto che assumere un’intera orchestra. È un pericolo e penso dobbiamo stare attenti, perché è comunque molto bello avere musicisti che suonino dal vivo con i ballerini. Sempre nello spettacolo con l’ensemble Gandini Juggling, che è elettronico ma con un quintetto d’archi sul palco, i musicisti erano posizionati in fondo al palco, dietro un telo, e lentamente con l’avanzare dello spettacolo le luci li hanno rivelati. È stato molto eccitante avere musicisti dal vivo! Non dubito che la musica elettronica abbia una grande influenza, ma volevo solo aggiungere che spero di poter ancora incoraggiare la performance dal vivo, perché il mix di danza e musica dal vivo è molto bello. Poi, ovviamente, puoi avere anche strumenti elettronici suonati dal vivo: oggi ad esempio ci sono persone che stanno sperimentando tecnologie per percepire i movimenti dei ballerini stessi, cambiando di conseguenza la musica. È molto interessante, è un’altra cosa che si sta evolvendo: la tecnologia sta diventando più solida e sicuramente influenzerà il balletto, così come i ballerini stessi, grazie alla tecnologia, saranno in grado di influenzare la musica.
Foto copertina: Ida Zenna ©zenna.de