E’ qualcosa di fantastico poter parlare, intervistare o semplicemente avere a che fare con un’icona della musica elettronica come Dario Piana, producer, dj che vanta una collezione fatta da qualcosa come 25000 dischi. A tutto questo aggiungiamo l’essere un Ableton trainer, un testimonial per aziende del calibro di Allen & Heath e soprattutto con una grande umiltà, Dario non è un fenomeno che oggi chiamiamo superstar e domani lo dimentichiamo è un vero e proprio maestro del dancefloor e più in generale dell’elettronica.
Tante sono le domande che ti si possono fare data la tua professione che si articola in diverse sfaccettature della musica e più in particolare della musica elettronica, inizierei parlando del tuo amore per il vinile, amore che ti ha portato ad essere un collezionista più che invidiabile ed è proprio da te che ci piacerebbe sapere come guardi al vinile e al suo futuro sul mercato dati i tempi in cui “spopolano” le uscite digitali e sembra che il giradischi sia diventato un amore solo per pochi nostalgici.
Ho passato moltissimi anni della mia vita, girando il mondo, cercando materiale che in Italia non sarebbe mai arrivato. Senza internet, senza mail, senza computer… ci si affidava al cartaceo, intendo dire riviste specializzate in vinile, che parlavano di negozi e spesso magazzini, ma anche collezionisti privati che raggiungevi o al telefono fisso o tramite lettera. Quando passi molti anni, molti aerei, molto tempo, molta ricerca, diventa difficile separarsi dal vinile, dal suo odore, dalla copertina, da come tocchi un disco quando lo ami e ne conosci la storia. Ma il mondo va avanti. Anni fa nostro padre ci chiedeva di alzarci per cambiare il canale della tv, in bianco e nero. Ora possediamo un telecomando multifunzione e tra la pausa e l’altra di un film possiamo navigare in rete con lo stesso apparecchio e molto altro. Le nostre automobili sono cambiate, l’elettronica è entrata pesantemente negli oggetti che ci accompagnano ogni giorno; il nostro stesso telefono è diventato un immenso recipiente di musica, inutile negarne il piacere e la comodità. Le nuove generazioni crescono con nuove idee, approcci diversi al suono, il loro cercare tracce e riporle in hard disc, è il nostro collezionare meticolosamente decine di migliaia di vinili in scaffali. Inutile colpevolizzarli, come spesso accade; disquisizioni tra i veri dj che devono suonare col vinile, che sono meglio di chi riproduce mp3 320 con modernissimi controller e set up da fantascienza, sono inutili. Ognuno sceglie il proprio supporto, che sia vinile, che sia cd, che sia tecnologia. La base è la musica, chi non ha ben chiaro, parlando di dj’s, come impostare una serata, la cura dell'”onda” in un set da 4/5 ore, non potrà risparmiarsi fischi dal pubblico o sostituzioni drastiche in consolle anche con quel menzionassimo tasto sync. Spero sempre nel profondo che le strutture che stampano e distribuiscono vinile non chiudano, che ci sia libertà di scelta nel supporto, che molti addetti ai lavori capiscano cosa vuol dire avere un supporto originale, da archivio, con copertina, custodia, una storia, una voce, un’emozione. Per poi liberamente scegliere, ma capire le diverse emozioni.
Quanto conta per un dj che vuole chiamarsi tale il “feeling” con il pitch? Pensi che i programmi tanto in voga riescano a sostituire l’emozione della messa a tempo con un giradischi e un vinile?
Il feeling col pitch, parlando di giradischi e vinile, è un’emozione unica e fine a se stessa. Ho iniziato nel ’79, faccio parte di quelli che, quando videro arrivare il primo Technics 1200, avevano la sensazione del futuro, della macchina innovativa, che dava sicurezza… prima si lavorava anche peggio, molto peggio. La dance non era realizzata con software o batterie elettroniche, i groove erano reali, suonati da batteristi, percussionisti e bassisti, con tanto di errore umano, e il dj aveva fissa la mano su quel pitch control + – 8%. Si imparavano le tracce a memoria, provando ore e giornate a casa, per poi arrivare impeccabili in live, dove già conoscevi la variazione in anticipo. L’attenzione prestata alla tecnica, all’impostazione, e chiaramente alla borsa dei dischi, era imponente. I set da 4 ore con il vinile e i set da 4 ore con la tecnologia sono emozioni diverse. Senza menzionare i vari software, chi possiede molto materiale in analogico e cultura, è in grado di assaporare cosa voglia dire utilizzare le macchine moderne…sei in grado di utilizzare materiale vecchio, editarlo, modificarlo e a volte in tempo reale, e con più tracce in simultanea, senza curarti dei bpm..ma è chiaro che il tempo non dedicato al bpm, porta la tua totale attenzione sulla gestione delle macchine. Le frasi ” facile suonare col computer” lasciano sempre il tempo che trovano…gestire un software con 2 o più controller MIDI richiede molta, ma molta attenzione, con un tasto errato puoi creare il silenzio…Di sicuro, il timecode è la scelta che può soddisfare sia il vecchio dj che ama la fisicità, pur utilizzando un computer, sia il giovane utilizzatore, che vuole sentire la manualità e l’imperfezione, e ben venga, che fa parte di questa scelta.
Prima di parlare della tua professione di dj mi piacerebbe farti qualche domanda sull’altra tua attività, quella di Ableton trainer, questa tua “qualifica” ti porta in giro per tutto lo stivale in quelle scuole di “formazione” per aspiranti producer e dj. In particolare pensi che il futuro del djing e della produzione di musica elettronica passi anche da queste scuole? Non credi che il moltiplicarsi di questi corsi e dei “bedroom studio” stia in qualche modo rovinando la qualità delle uscite e della stessa fruizione dei diversi generi?
Il legame con Ableton, parte dal distributore italiano, Backline, che mi scelse tra i testimonial del marchio, perché arrivavo dall’analogico vero e dal vinile, quello che potrebbe essere definito un trasversale e non un dj da club, house, per intenderci. La nascita della didattica è stata una conseguenza: l’amico che ti chiede, l’appassionato che ti scrive e via, partito il ruolo. I software sono molto complessi, oggi, e da autodidatta non è cosa facile, affidandosi ai tutorial, spesso ci si imbatte in errori, anche grossolani; poi c’è “l’amico che ne sa” e spesso è il dramma della saccenza. Esistono corsi: dall’inglese al barman, dall’università al corso di cucina per single, siamo invasi dai corsi. Se devo pensare a dj/producer che non sono in grado, per esperienza o per capacità, di non sfruttare appieno un software, con prodotti finali che poi sono scarsi, dovuti alla non conoscenza, il corso è di sicuro un investimento intelligente. Stiamo parlando di un mercato italiano di svariate decine di migliaia di dj/producer, è una realtà e torniamo al discorso di prima: prima realizzavi la tua traccia in studio, con fonico e musicisti, non c’erano alternative con l’analogico ma vendendo molto supporto, ammortizzavi e guadagnavi, e potevi permettertelo. Ora siamo nel pieno digitale molti studi han chiuso, schiacciati da un mercato digitale colossale. Le stesse aziende han realizzato prodotti a prezzo accessibile, per rendere possibile la stesura e la finalizzazione di una traccia nella propria casa. I numeri delle interfacce audio, dei piccoli mixer da studio o dei controller MIDI sono pazzeschi, inimmaginabili dalle aziende stesse fino a qualche anno fa.
Nel 2011 dopo circa 25 anni da protagonista delle consolle più importanti d’Italia e dopo aver rilasciato numerose produzioni hai deciso di dare vita a Bluenoises Records la tua label personale, come mai hai deciso di aprire questa label e perché hai optato solo per il digitale essendo un assoluto protagonista del mondo analogico del vinile? Parlaci di questo progetto e di quelle che sono le sue finalità.
Mi sono trovato negli anni a realizzare produzioni e compilation per labels importanti e per aziende importanti. Tastando quindi nel tempo, i numeri del supporto, in continuo declino. Con l’avvento del digitale, e con le cifre ridicole che genera rispetto al mercato del supporto originale, e facendo comunque un genere di nicchia, ho scelto di aprire una mia label, dove pubblico le mie produzioni e le produzioni di produttori, italiani e internazionali, che realizzano prodotti in tema col mio mood. E’ un po’ il mio giocattolo, Bluenoises Records, dopo molti anni, e scelgo di pubblicare sol quello che mi piace. Nicchia, pochi numeri rispetto al gigantesco mercato dance mondiale ma numeri fissi, costanti, slegati dalle mode. Il tuo fan, in qualunque punto del mondo esso sia, aspetterà l’uscita della tua traccia… l’attitudine paga, il cambiare gente senza identità, per ogni traccia, spesso disperde l’attenzione di chi ti è fedele.
Non ti sembra che il fenomeno dj/club assomigli sempre più al mondo del pop con artisti di cui viene costruita un immagine di tendenza che poco ha a che vedere con “l’anima” vera e propria con cui è nata l’elettronica?
Si, di certo. Ma anche questo è un meccanismo irreversibile. Spesso dietro a superstar mondiali, c’è un equipe, un marchio, un’azienda, dei ghost producers, persone che muovono le redini di un artista, facendolo crescere con un marketing spaventoso, scegliendo e pilotando la sua vita, e quello che vediamo in consolle è il risultato di un investimento economico, e spesso importante. In un anno un dj dal nome mondiale, porta a casa cifre che nemmeno band importanti realizzano in mesi e mesi di tour mondiali e anche molti dischi venduti. Ma non è polemica, quella non serve. Nel sociale si vedono in continuazione lotte, accuse, critiche, spesso anche di cattivo gusto, e spesso arrivano da chi non ha avuto la fortuna, i mezzi, ma anche la capacità di emulare il dj superstar. Chi lavora e fa il suo, difficilmente passa il tempo sentenziando dietro una tastiera, tanto non serve, il mercato e il futuro non è più legato, come lo era ai tempi, alla tecnica e alla playlist. Ora conta come sei, come ti vesti, che automobile hai, che aziende tecnologiche ti sponsorizzano, quanto ti si vede in tv o sulle riviste del settore. E molto altro. Ma se ci pensi, è storia, in anni diversi e con numeri diversi, abbiamo visto chitarristi mediocri diventare stars, e chitarristi tecnicamente spaventosi, morire in cantina, per innumerevoli motivi…dal carattere, al personaggio poco espansivo, a quello che non accettava compromessi, e a decine di altri fattori. Ma c’è spazio per tutti. E i numeri continuano a crescere, il mercato del djing è in crescita esponenziale e in tutto il mondo.
Cosa consiglieresti ad un aspirante producer che si trova a “combattere” tra il mondo affollato dei Beatport e simili e la realtà di nicchia delle label “vinyl only”?
Possono essere persone diverse e distinte, ma anche figure che si muovono in ambedue i canali. I portali di riferimento sono invasi da autobus, le top 100 spesso sono classifiche piene di tracce che, aldilà del piacere o no, non “suonano” che vuol dire traccia messa online da chi non cura la finalizzazione, basta il numero, e subito dopo un neuro spaventoso di autobus, o casereccio, o affidato alle tante agenzie mondiali che vendono pacchetti di likes, download o follower. Scelto un genere e dopo aver personalizzato il proprio suono, cosa che consiglio fortemente a tutti i miei allievi, in base alla percezione del prodotto realizzato, in base ai contatti delle labels, scegliere la nicchia o una commercializzazione popolare, se la traccia ha potenziale. Chiaramente la stampa del vinile è dispendiosa, i numeri sono altri, ma i segnali degli ultimi mesi son odi sicuro interessanti. Di sicuro non vedremo borse di vinile per ogni dj, ma i numeri degli utilizzatori, e degli utilizzatori del timecode, ultimamente sono cresciuti. Ed è di certo un piacere.
Nel tuo “curriculum” troviamo diverse partecipazioni come dj ad eventi aziendali che vanno dal Milan a Diesel, Red Bull e tanti altri, riesci anche in queste occasioni a riscontrare “feeling” con quello che è il pubblico che ti trovi di fronte?
Ho suonato spesso per aziende e loghi importanti, per anni sono stto il dj “trasversale” dal suon o dance, ma sempre ricercato. E suonare alle feste annuali di brand importanti, o a eventi, è stata di sicuro una grande esperienza. Spesso mi imbattevo nel responsabile marketing del marchio che faceva tutt’altro, che in quel determinato ruolo, quindi aiutato dall’apertura mentale, trovava attinenze col suono del dj o della band, e nascevano queste alchimie. La soddisfazione è tanta, vedere gente che passa dalla giacca e cravatta alla t-shirt, mentre ti sposti dal pezzo funk alla traccia elettronica ricercata, è di grande soddisfazione.
Collabori con Radiopellenera, web radio esclusiva ed altre radio, vuoi parlarci di questo progetto e di quanto queste realtà possono secondo te influire su una fruizione “consapevole” della musica.
La rete di sicuro, se usata a livello costruttivo e per il proprio bagaglio, è fondamentale. Per le nuove generazioni, di sicuro non c’è più una forte attenzione alle radio, parlando di macronumeri e non dei singoli mercati, anche nazionali. Anni fa, e nemmeno moltissimi, amanti del settore ascoltavano via FM i propri paladini mixare nei vari network italiani: si ascoltava la tecnica, la ricerca, la playlist, il titolo, era bello vedere la persona entrare nel negozio di dischi con cassetta/cd, impazzire per la terza traccia o per il minuto 24. Ora è tutto a portata di mouse. La musica è in rete, webradio, podcast, Mixcloud, Soundcloud e molto altro… è una diversa concezione e fruizione della musica, dell’ascoltare musica di altri, alla fine perché quando ascoltavi i mixati in radio o su Soundcloud, ascolti il tuo idolo, ma apri anche la mente, e sempre, per sentire nuovi suoni, nuovi nomi, nuove emozioni. La musica non morirà mai e non deve morire mai, in qualunque forma e formato.
Vorrei chiudere l’intervista chiedendoti 3 dischi o meglio i 3 dischi che hanno avuto maggior significato nel tuo percorso artistico.
Domanda veramente, veramente difficile… tra molte migliaia di vinili, suppongo tu mi chieda qualcosa di “dance” perchè poi nel jazz, nel rare groove, ho collezionato moltissimo materiale non strettamente legato al dancefloor. E quindi ti parlo di 3 dischi, scegliendo materiale abbastanza conosciuto, per accontentare anche i lettori di questo articolo che non sono totalmente addentro al genere, per non menzionare perle viniliche da 200 copie limitate, che hanno 25 anni, con valori da capogiro. Ti direi, quasi fisso in borsa, traccia dance 70’s From Here to Eternity di Giorgio Moroder, forse uno dei tempi più articolati e complessi della musica dance. Sequencer, arpeggiatori, la pasta di quel disco che suona ancora come il miglior disco house odierno, a distanza di 35 anni; una parte specifica, di questo tema, dal nome “Utopia”, era attuale 35 anni fa, e lo è ora, lo considero geniale. Una traccia a metà tra la disco e il funk? Forse uno dei periodi più interessanti? El Coco, la traccia Cocomotion. Che dire? Era il periodo di transizione dal grezzo e cattivo (in senso positivo) funk verso le prime discoteche, dove il suono si ammorbidiva, si girava intorno ai 120 bpm. Si utilizzavano cori, archi, nella band si ascoltavano musicisti con matrice funk, sempre molto groppone batteria-basso, ma le stesure, le voci, le melodie, erano morbide, catturavano più pubblico, sia per radio che nel dancefloor. Cocomotion di sicura una perla, disco di riferimento, una traccia dal groove trascinante, ma anche dell’alternarsi delle pause agli archi, ai cori, alle melodie. Da avere, per tutti. La terza traccia, è di una band piuttosto conosciuta, i Simple Minds. E’ una traccia che poco aveva a che fare col pop/new wave, se così possiamo definire il loro suono, di questa storica band. Theme for great Cities è strumentale, elettronica, dal lontano 1981, quando nel logo “afro” usavamo passare con gli stessi bpm tra svariati generi, da afro a dub, da bossa ad elettronica, accarezzando il dancefloor probabilmente con uno dei generi che nella storia della nostra nazione ha generato più cultura, tutt’ora amato dai des di tutto il mondo. La versione mix di questa traccia suonava come non mai, chiaramente a livello di groove e di atmosfera i Simple non si risparmiarono. Un basso che lavora presentissimo in tutta la traccia, un alternarsi continuo di suoni, di elettronica, di ambiente, che nel dancefloor tutt’ora ha una presa pazzesca.