Non è andata proprio benissimo per Dax J all’Orbit Festival, ad Hammamet, in Tunisia. L’artista inglese infatti è stato costretto a sparire dal mondo dei social, cancellando i suoi profili Facebook ed Instagram, a seguito della minacce di morte ricevute dopo la sua performance al festival. Ma cosa è successo? Alcuni video testimoniano come dopo pochi secondi dall’inizio del suo set l’artista inglese abbia suonato una traccia contenente il canto dell’Adhan, la chiamata alla preghiera islamica: a causa di ciò, molti dei presenti si sono ritenuti offesi, ed evidentemente ancora di più altre persone che non c’erano ma sono stata ragguagliate sull’accaduto.
A poco è servito un post di scuse pubblicato sulla pagina dell’evento prima e sulla sua pagina personale dopo, in cui dichiarava come fosse estremamente dispiaciuto per l’accaduto ma che non era assolutamente sua intenzione quella di offendere nessuno, semplicemente riteneva quel canto “…a beautiful vocal“. Ok, il punto è questo. Sicuramente l’intenzione di Dax J andava ben distante da quella di voler offendere il mondo islamico; anzi, la vediamo più come una mossa di avvicinamento alla loro cultura, un “trucco” per conquistare il pubblico. Un po’ come dire “Ecco, sono qui, suono in un Tunisia, ora metto un vocal in arabo così li faccio impazzire“. Be’, da una parte diciamo c’è riuscito, ma la situazione ha preso davvero una brutta piega – non quella desiderata. I commenti rilasciati sotto ai suoi post, non leggibili ora a causa dell’eliminazione del suo account, sono davvero duri e per certi versi, dal punto di vista della nostra cultura occidentale e più secolarizzata, esagerati.
A Dax J, in particolare, non viene contestato tanto il fatto di aver suonato l’Adhan ma piuttosto l’averlo fatto in un luogo “non sacro”, mondano, non deputato certo alla preghiera. Qual è la posizione dell’organizzazione? Onestamente non è chiara: se inizialmente, con un post apparso sulla pagina ufficiale dell’evento, sembrava volesse scaricare l’artista inglese, una seconda versione del post sembra più pacifica e mediatoria (qui la pagina ufficiale del festival). Viene scritto che Dax J non aveva appunto alcuna intenzione di offendere l’Islam, nè i presenti, e che certo, ok, ha sbagliato, ma l’ha fatto in buona fede.
Per come la vediamo noi, il punto è delicato. Se da un lato, abbiamo un professionista che sì, tutto sommato dovrebbe essere libero di suonare ciò che vuole e libero di poter piacere o non piacere alla gente senza dover per questo rischiare di ricevere minacce di morte, dall’altro abbiamo una cultura un po’ più delicata e ben diversa dalla nostra, che va maneggiata con prudenza ed accortezza proprio perché non è la nostra (pur essendoci comunque vicina nella vita di tutti i giorni: ma questo non significa ancora conoscerla e comprenderla al cento per cento). Siamo sinceri, se qualcuno avesse suonato come intro il vocal del “Padre Nostro” o dell’ “Ave Maria” in uno qualsiasi dei festival europei, be’, di certo nessuno avrebbe minacciato di morte nessuno, quasi nessuno si sarebbe sentito offeso, e forse più di qualcuno si sarebbe fatto pure una sghignazzata (va bene, con buona pace di una prevedibile levata di scudi delle associazioni di integralisti cristiani, peraltro nella nostra società al momento decisamente minoritarie).
Il risultato comunque è grave. Oltre alla sparizione mediatica di Dax J, El Guitone, il club dove l’Orbit Festival si svolto, è stato chiuso, mentre l’organizzatore dell’evento è stato arrestato. Conseguenze serie e concrete quindi, non solo parole in libertà sul web. Una situazione così delicata che quasi ci spaventa analizzare e che dal nostro punto di vista soggettivo quasi non ci permette di poter prendere una posizione netta. Se da un lato infatti (quello della comunità islamica tunisina, o comunque di una forte parte di essa) abbiamo delle reazioni pesanti e offensive, violente al punto di arrivare alle minacce di morte, dall’altro abbiamo un artista che forse, sebbene non in cattiva fede, ha peccato di buon senso non sapendo “leggere il momento” – un po’ per disattenzione, un po’ perché ha sottovalutato il contesto e l’importanza di canti di un certo tipo per quella che è comunque una cultura non sua, e che quindi non può conoscere e comprendere fino in fondo.
Ci auguriamo vivamente che per Dax J tale avvenimento non abbia ripercussioni e che torni tutto alla normalità, una volta che le acque si siano calmate. Dall’altro lato però, vorremo spendere un minuto sulla nascente scena del Nord Africa, o almeno quella tunisina a giudicare da questi eventi, che se davvero vuole abbracciare la club culture – la line up del festival in questione era quella che si potrebbe trovare al Berghain, al Fabric o in un qualsiasi club italiano di qualità – ne dovrebbe accettare (o perlomeno dovrebbe provare a farlo) tutto ciò che essa comporta. O almeno esserne consapevole. Come appunto l’espressione artistica di un dj: che sì, può piacere o non piacere, può essere discusso e anche duramente criticato, ma che non può e non deve mai essere minacciato di morte solo per aver suonato la traccia sbagliata nel posto sbagliato.