Ve lo abbiamo presentato qualche tempo fa e torniamo volentieri a parlare di lui: Andrea Gamba in arte DayKoda è il nome da tenere d’occhio per tutti gli entusiasti di beat downtempo e atmosfere distese. Ad aprile è uscito “Lucid Dreams”, un lavoro personale e maturo intriso dei sogni, delle visioni e del carattere di un artista che ha scelto di essere semplicemente se stesso, senza passare per regole fisse o per suoni già noti.
Abbiamo avuto il piacere di di fargli qualche domanda, per sapere di più sul suo approccio alla composizione, sul metodo di ricerca e sulle influenze sobriamente etniche che pervadono la sua ultima fatica.
Ciao Andrea! Cominciamo subito con le definizioni: ti viene più facile descriverti producer o beatmaker?
Ciao! Dunque, io non mi sono quasi mai dato etichette. Se dovessi scegliere tra le due probabilmente ti direi producer, ma semplicemente perché quello che faccio con DayKoda non è solo fare beat, cerco di andare oltre il concetto di beat elaborandolo a modo mio, con la mia estetica.
Ti senti un po’ parte della generazione “J Dilla Changed My Life”?
Beh, sicuramente mi piace J Dilla, ma sono più da “Flying Lotus Changed My Life”. L’ascolto dei suoi lavori è stato per me una sorta di illuminazione, un fulmine a ciel sereno!
Tu ti posizioni in un genere che ha tra le sue punte di diamante nomi come Machinedrum e Bonobo, ma anche Giraffage, Shigeto, Shlohmo, artisti che con il passare degli anni si sono evoluti cambiando completamente il tipo di musica che facevano. Tu pensi che si tratti di un genere sottoposto a dei limiti creativi o che sia una naturale evoluzione individuale e artistica?
Credo che l’evoluzione individuale ed artistica ci sia per ogni musicista, a prescindere dal genere. Tante volte si cambia estetica musicale perché semplicemente si cresce, altre volte perché cambiano le motivazioni che ci spingono a produrre, non c’è una risposta univoca e valevole per tutti alla tua domanda, se ovviamente la si guarda dal lato degli artisti. Se la si guarda dal punto di vista del genere, credo che il mondo dei beat abbia subito negli anni un calo d’appeal da parte dei media – che in molti casi ancora vivono – per poi riprendersi il proprio spazio anche grazie alle famose radio di YouTube. Anche l’ampliamento delle frontiere del genere in direzione di nicchie cool (vedasi l’accostamento con il mondo e l’estetica vaporwave) o del pop (con il ritorno prepotente a sonorità più soul/rnb anche nei grandi network) ha fatto la sua parte. Al netto di tutto questo, di una cosa sono certo: con la quantità di input reperibili con internet e l’aumento dei mezzi per fare musica disponibili davvero per tutti, al giorno d’oggi, l’unico limite creativo è la tua creatività, oltre ovviamente al knowledge tecnico. Ed io personalmente cerco sempre di spingere la mia voglia di produrre oltre quello che ho già creato.
Che tipo di approccio hai verso il sampling? Quali fonti prediligi e, soprattutto, che tipo di ricerca fai?
Negli ultimi tempi il sampling è una cosa che sto limitando, senza imposizioni. Credo lo si percepisca bene anche in “Lucid Dreams”, il mio intento è quello di penetrare sempre più spesso e sempre più assiduamente il mondo degli strumenti a trecentosessanta gradi, senza impormi metodologie, cliché o i dogmi del nerd da studio. Quando lo faccio però, tendo a campionare soprattutto suoni organici, percussioni, magari pescando qualcosa qua e là da diverse fonti, dal repertorio jazz e R&B dei decenni scorsi, a meri file audio pizzicati su Archive. Non sono il tipo di producer alla Rhythm Roulette, quello che va nel negozio di dischi, compra dischi random e ne fa una traccia. Anche nell’era digitale credo che conti molto di più il flow rispetto al medium.
“Lucid Dreams” ha parecchie fascinazioni orientali, come spesso accade per questo tipo di musica. Tu come ne sei stato influenzato?
Credo sia un po’ il risultato di tutti gli ascolti fatti negli ultimi anni, un artista che ami finisce irrimediabilmente per influenzarti. Anche vivere in un contesto come il Conservatorio, a Milano, credo sia stato determinante. Penso sia proprio andata così.
È anche un disco di enorme quiete, come si raggiunge questo tipo di risultato? Come nasce la stesura dei tuoi pezzi?
Ti ringrazio per aver colto questa quiete, che credo un po’ rispecchi anche quello che sono come persona. Quello della quiete non è stato un risultato cercato, è semplicemente andata così, doveva andare così a quanto pare. I miei lavori non nascono da un vero e proprio modus-operandi, non ho una routine nella stesura dei brani, quel che esce, esce, ecco. Ho delle idee, dei suoni che sono miei, ad esempio quello della mia chitarra. Alle volte nasce prima il beat, altre volte la melodia. È bello non avere schemi.
In questo momento di fruizione veloce e a tratti schizofrenica della musica, in cui è sempre più difficile convincere l’ascoltatore medio a scegliere un intero disco piuttosto che una serie di singole tracce libere da qualsiasi filo conduttore, qual è il tuo rapporto con il pubblico?
A prescindere dal rapporto che può nascere con il pubblico, sono convinto che creare qualcosa di coerente e pensato -parlo di album/EPs – sia decisamente la scelta migliore per l’artista, oltre che la più soddisfacente dal punto di vista compositivo e creativo. Non che un singolo non possa essere pensato e coerente, ma avere un filo conduttore che porti l’ascoltatore dentro la mia musica ed al mio mood (nel senso più profondo del termine) è quello che cerco. Il pubblico non è il mio main focus quando lavoro al mio materiale, faccio quello che faccio perché mi piace farlo così, plasmarlo così, condividerlo così.
Quella dei beatmaker è una scena in cui gli artisti collaborano molto spesso. Cosa ne pensi? Qual è, per te, l’aspetto più importante quando lavori insieme ad altri?
Collaborare con altri artisti è sempre un vantaggio, da ancor più voglia di fare e di creare qualcosa di apprezzabile, nuovo, a suo modo unico. Quando lavori con qualcuno che apprezzi particolarmente poi…non può che essere bello condividere musica insieme.
Ti ha remixato Groundislava in maniera sublime, rendendo ancor più brillante “Dream Yoga”, un pezzo già bellissimo. Ci racconti come è nata questa collaborazione?
È stato assurdo! Gli ho scritto su Instagram, gli ho fatto ascoltare la roba, gli è piaciuta e via col remix!
Hai già qualche cosa in mente per il futuro?
Nell’immediato futuro ho diverse date con il nuovo live di “Lucid Dreams”, che per l’occasione vedrà salire con me sul palco anche il batterista Matteo Gualeni, già membro dei DAAM ed ora attivo come musicista con il progetto Baransu. La prima data è questo venerdì a Reggio Emilia, l’occasione è quella della preview dell’Eleva Festival. Sarà un power duo dedito a sonorità più jazzy, acustiche, una nuova formazione live del progetto che spero diventi definitiva. Per quanto riguarda i lavori in studio, c’è diversa carne al fuoco…chi mi segue su Instagram ha già sentito qualcosa, vi terrò aggiornati.