The Mole è un dj eccellente, l’abbiamo vissuto con le nostre stesse orecchie in più di un’occasione: uno di quelli che uniscono una borsa dei dischi sconfinata all’abilità, affinata in vent’anni e passa di carriera, di pescare il disco giusto al momento giusto anche e soprattutto quando si tratta di prendersi dei rischi e di fare scelte non immediate.
The Mole è anche un produttore niente male, come testimonia la sua presenza nel catalogo di etichette prestigiose come Internasjonal, Circus Company, Musique Risquee e soprattutto Wagon Repair, dove è di casa al punto da essere il membro aggiuntivo che trasforma i Cobblestone Jazz nel Modern Deep Left Quartet.
Insomma, Colin De La Plante è un artista perfettamente a suo agio sulla distanza lunghissima di un dj set che su quella breve della singola traccia o dell’EP: e su quella medio-lunga di un album, come se la cava?
Va detto, innanzitutto, che questa non è né la prima né la seconda volta che si cimenta col formato più lungo: prima di “De La Planet”, infatti, ci sono stati “As High As The Sky” del 2008 su Wagon Repair, e “Caregiver” del 2013 sulla sua Maybe Tomorrow, sulla quale esce anche quest’ultima fatica, quindi non si tratta certo di uno di quegli album buttati fuori perché “si deve” come capita spesso a dj e produttori di EP che a un certo punto della propria carriera si sentono in dovere di pubblicare tutti i propri fondi di magazzino in un album per darsi un tono.
Non è questo il caso di The Mole, che la dignità artistica l’ha già pienamente ottenuta grazie al lavoro di cui parlavamo poc’anzi assieme a Mathew Jonson e soci col Modern Deep Left Quartet, ma allora chi glielo fa fare di fare lo sforzo di un album? Che cosa sente di avere da dimostrare, Colin, con un album, che non riesca già a fare con un EP o con un dj set?
La nostra opinione è che la carriera di un musicista sia interpretabile, per certi versi, come un unico lungo dj set, con alcuni momenti di maggiore intensità e alcuni invece più tranquilli, in cui si può frugare nei meandri più reconditi della propria borsa dei dischi e tirare fuori qualche perla nascosta e un po’ inaspettata, senza la pressione di dover per forza suonare “al massimo”: “De La Planet” ci dà la sensazione di essere esattamente uno di questi momenti all’interno del percorso di The Mole, un momento in cui, anche a detta di Colin stesso, rovistare all’interno della propria collezione di dischi alla ricerca di sample non banali e magari, perché no, campionare anche voci prese da film e altre sorgenti meno scontate.
Gli artisti inesperti, di solito, cadono miseramente in quei momenti del dj set (e della carriera), perché di fronte alla necessità di uscire dal compitino si snaturano, o cercano di strafare, o ancora perdono completamente la bussola e fanno scelte senza capo né coda: non è il caso del nostro, che invece in “De La Soul” mette insieme undici tracce (più una bonus) in perfetto stile The Mole, suadenti e groovose, ma allo stesso tempo diverse da quelle a cui ci ha abituato, un po’ più sbilenche e “intime”.
Magari meno adatte all’utilizzo in un club, certo, ma è questa l’intenzione di Colin: non si campa solo di bombe ribaltapista, qualche volta è necessario anche tirare il fiato, e sono solo i grandi dj a capire quando è il momento migliore per farlo.