E’ stato un atto di coraggio non da poco: quando tutto pareva tacere, quando i colossi americani annullavano a tutto spiano (Ultra, Coachella…), il “nostro” Decibel Open Air è stato uno dei pochi eventi major – perché con una line up così non puoi essere considerato altrimenti – ad annunciare con forza “Sì, confermiamo tutto, nel 2021 ci siamo”. Un’affermazione che ha creato anche sconcerto ed antipatie, come ci racconta il suo deus ex machina Daniele Ferrazzano. Con lui, abbiamo fatto una lunga chiacchierata che parla ovviamente in primis di come sarà l’edizione 2021 del festival (in line up Kalkbrenner, la Lens, Bibi, Klock, la Kraviz, tanto per stare ai nomi “sicuri”, ma non mancano gioiellini non scontati come l’affilatissimo progetto 999999999: controllate qui), in programma l’11 e il 12 settembre a Firenze, alla Visarno Arena; ma ad un certo punto la nostra conversazione è andata con molta naturalezza anche ad esplorare temi rilevanti a trecentosessanta gradi su cosa significa fare un festival, nel bene e nel male. E su quanto (e come) sia importante comunicare da un lato, guadagnarsi la fiducia del proprio pubblico dall’altro. Anche parlando di biglietti, in tempi complicati come questi.
Insomma, anche voi non vi state facendo spaventare dall’incertezza: avanti tutta, festival confermato. E l’avete riaffermato quando praticamente tutto attorno era silenzio o annunci d’annullamento.
Siamo fiduciosi. Chiaro: nessuno oggi può avere certezze assolute di nessun tipo. Ma nella nostra posizione penso di poter dire che stare fermi nella comunicazione e nella costruzione della prossima edizione del festival non aveva davvero molto senso. Avevamo già annunciato l’anno scorso il rinvio al 2021, e avevamo comunque confermato lo stesso weekend originario, il secondo di settembre. Una cosa molto lineare, quindi: non è che abbiamo dovuto fare chissà quali alchimie di calendario. Questo ci avvantaggiava in partenza. Fammi però dire una cosa…
Vai.
Grazie per averci dato udienza e spazio.
Ma mi mi sembra una cosa normale e banale, Decibel Open Air è uno dei più grandi eventi in assoluto nel calendario italiano e non solo italiano…
In realtà ci siamo trovati di fronte a situazioni un po’ strane.
Cioè?
Nel momento in cui abbiamo annunciato la nostra conferma per quando riguarda la prossima edizione e le sue date, una parte della stampa ci ha intenzionalmente snobbato.
Intenzionalmente?
Sì. Sia quella italiana che l’estera. Diversi media hanno deciso di non pubblicare la notizia semplicemente perché, in questo nostro annuncio di conferma della prossima edizione, non indicavamo nessun protocollo sanitario specifico legato allo svolgimento del festival. Assurdo: come se fossimo noi a dover scrivere un protocollo sanitario! Quello spetta ai tecnici, alle autorità… non a noi. E poi ancora, altro punto di contrasto: non indicavamo i termini di rimborso, in caso di rinvio dell’evento. Ora, scusa: se io vado ad annunciare un festival, se la notizia è al momento quella, perché dovrei sottolineare subito quali sono i termini di rimborso per i biglietti? Che senso ha? Quello che a me interessa, ora, è lanciare un messaggio positivo: ci siamo, siamo pronti, siamo al lavoro. Questo è il punto. Ma è il solito discorso, lo so: se c’è da pubblicare notizie negative e catastrofiche, sono tutti prontissimi, quando invece c’è da veicolare messaggi di altro tipo… nulla. Che poi, non è che si chiedesse ai media di essere acriticamente entusiastici nei nostri confronti, di “sposare” la causa. Per carità. Chiedevamo semplicemente venisse riportata la notizia. Tutto qui. Non so, queste cose mi lasciano molto perplesso… Ecco, tu, da giornalista, come la vedi?
Beh, ti posso solo rispondere il mio caso personale: quando ho visto che in un periodo di incertezza e di stasi totale voi annunciavate che l’edizione 2021 era confermatissima, per me è diventato doppiamente interessante sentirvi, parlare con voi, sentire la vostra. Che poi guarda, visto che l’hai sollevato tu il discorso del rimborso: come vi comporterete, allora? E’ in effetti un argomento “caldo”, o almeno lo è stato molto l’estate scorsa, a partire dai concerti di McCartney in giù…
Ti dico cosa abbiamo fatto l’anno scorso. Come ti ricorderai, ad un certo punto il Governo italiano aveva varato una legge che permetteva agli organizzatori di fare due cose: o rimborsare non in solido ma con dei voucher validi per altri eventi, o di dire agli spettatori che il loro biglietto era valido per la nuova data dell’evento rinviato. Per quanto ci riguarda, con la nostra società è vero che facciamo anche altre cose durante l’anno, ma il nostro evento principale è Decibel Open Air – abbiamo quindi scartato fin da subito la prima opzione. Abbiamo confermato la seconda, ovvero il fatto che il biglietto per Decibel Open Air fosse valido per entrare nella data rischedulata del 2021, annunciata fin da subito, ma abbiamo fatto anche di più, accettando subito di provvedere al rimborso. E lì sai cosa è successo?
Cosa?
Che un po’ di resistenze sono nate proprio dai circuiti di ticketing, quelli che avevano curato la prevendita per noi. “Eh, ma noi non possiamo…”: cosa non potete? Perché? I soldi che vi state tenendo sono i nostri, tolte le vostre commissioni (che sono comunque una frazione del tutto). Tanto ce li dovete dare, no? Perché allora non saltare un passaggio e restituirli direttamente voi a chi chiederà indietro i soldi del biglietto acquistato, sveltendo tutto il processo? Devo in effetti dire che non sono stati in tanti l’anno scorso ad offrire il rimborso totale; so ad esempio che l’ha fatto il Magnolia per i suoi eventi, e anche loro mi dicono che hanno dovuto superare inizialmente un po’ di resistenze da parte dei loro circuiti di prevendita. Eravamo una minoranza. Ad ogni modo quello che conta è che solo il 15/20% degli acquirenti del biglietto per Decibel Open Air ha chiesto il rimborso totale, tutti gli altri hanno preferito tenersi il biglietto sapendo che diventava valido per il rinvio nel 2021. Un bel segno di fiducia del nostro pubblico, di cui andiamo molto orgogliosi. Chiaro: oggi riceviamo almeno venti, trenta messaggi al giorno che ci chiedono “Ma sei poi viene annullato anche quest’anno, come funziona?”.
E la risposta?
La risposta è: vedremo innanzitutto quali saranno i termini di legge. La nostra volontà è quella di non tenere a forza i soldi di nessuno – e credo che lo abbiamo già dimostrato coi fatti nel 2020, andando addirittura oltre agli obblighi di legge ed offrendo quindi il rimborso integrale, cosa che appunto non tutti hanno accettato di fare (anzi…). Poi chiaro, se uno decide di lasciarci comunque i soldi e di aspettare che il festival finalmente si svolga, è un aiuto concreto nei nostri confronti; io farei così, se fossi un semplice spettatore e l’evento mi piacesse, ma capisco che sono parte in causa quindi il mio parere vale per quello che vale. Ad ogni modo, ora come ora non vogliamo concentrare tutte le attenzioni sul caso peggiore, ovvero sul rinvio e relativi biglietti da annullare e riprogrammare: preferiamo invece guardare avanti, preferiamo avere uno sguardo positivo e lavorare su di esso. La dimostrazione di massima onestà l’abbiamo comunque data, l’anno scorso: parlano i fatti. Come minimo, nel caso peggiore possibile, ci atterremo alle disposizioni di legge e in realtà molto probabilmente, se necessario, faremo anche qualcosa in più – come appunto già successo l’anno scorso. Troviamo però prematuro soffermarsi ora sui dettagli. Se uno è preoccupato e poco fiducioso, lo capisco: può tranquillamente aspettare a comprarsi il ticket. Posso capirlo benissimo, davvero. Ma Decibel Open Air, per quanto ancora evento relativamente giovane, penso abbia già dimostrato di essere portato avanti in maniera seria ed onesta. Questo alla lunga credo che paghi, più di tutte le eventuali belle parole.
Non ti chiedo nomi e cognomi, ma senti: gli artisti stanno capendo l’eccezionalità del momento? Stanno venendo un po’ incontro a voi promoter? O cercano di tenere il punto come se nulla fosse cambiato, come se nulla fosse successo, col mondo che si è fermato per mesi ed è tuttora fermo?
Diciamo che al momento da un 70/80% di loro abbiamo trovato più disponibilità ed elasticità che in passato… naturalmente per quanta disponibilità ed elasticità ti concedano gli artisti e i loro management (sorride, NdI). Però sì, la maggioranza si è dimostrato consapevole che non tutto è uguale all’estate del 2019. Non tutti, ma la maggioranza. C’è più apertura al dialogo, alla contrattazione, al comprendere le esigenze dei noi organizzatori. Noi poi abbiamo fatto un gesto molto importante e che è stato notato da chi di dovere, confermando tutta la line up. Questo ha fatto capire a tutti, artisti e management, che stavamo facendo le cose sul serio. Nel farlo accettavamo il rischio del salto nel buio e della forte esposizione anche economica, chiaro: ma secondo noi era ed è giusto correre questo rischio. Esserci posti in questa maniera, non posso non sottolinearlo, c’ha fatto guadagnare ancora più considerazione.
Ti faccio una domanda a cui puoi rispondere con molta cognizione di causa, visto che il tuo curus honorum da promoter parte dall’underground e da un certo tipo di qualità – ci siamo conosciuti bene per dire quando avevi fatto gli Autechre in un centro sociale a Bologna, o quando avevi fatto Juan Atkins al Viper a Firenze – non è insomma che sei approdato direttamente agli artisti “da cassetto”: gli artisti, oggi, guadagnano troppo? Se ne sta dibattendo molto…
Io dico sempre: nessuno ci punta la pistola alla testa. Se vogliamo prendere certi artisti, a un certo tipo di cifra, è una scelta, mai un obbligo. Chiaro, i prezzi si impennano per vari motivi, anche un po’ così, tipo le guerre che si instaurano fra promoter. Io sono ancora relativamente giovane nel settore, ho trentacinque anni, lavoro da dodici, e in questi dodici anni ho visto il cachet degli artisti in qualche caso addirittura quintuplicarsi. Però è cambiato anche il panorama lavorativo, in Italia. Sono venuti fuori festival, i festival di un certo tipo, quelli diciamo “all’europea”. Prima non c’erano, o erano episodici.
Episodici, e sfortunati. Penso ad esempio ad un grandissimo flop che ci fu proprio in Toscana…
…ma anche ad un certo punto Electrovenice.
Vero, soprattutto la seconda edizione fu un buco nell’acqua, nonostante le aspettative e gli investimenti.
Io penso che internet abbia cambiato davvero le carte in tavola. Io, di mio, sono sempre stato appassionato di festival, appena ho avuto la possibilità di muovermi me ne sono andato al Dance Valley ad Amsterdam, tanto per dire. Ma io ero l’eccezione. Erano ancora anni che internet flat era una rarità, non la regola come adesso; avere una connessione a casa senza spendere un capitale non era alla portata di tutti; le informazioni giravano quindi molto meno. Oggi le cose sono diverse e, infatti, i festival in Italia si sono moltiplicati. Con buoni risultati, e questo anche perché la gente è più abituata a volerli, a cercarli, a considerarli, avendo ormai imparato cosa succede all’estero da anni. Però ecco, tornando al discorso delle fee degli artisti: esse sono state indiscutibilmente influenzate dall’avvento dei festival anche nel nostro mercato. Sicuro. Vero però che quando senti discorsi tipo “Eh, ma io ad un festival prendo tot, non è che ora posso scendere troppo rispetto a quella cifra, anche se mi state chiedendo di venire a suonare nel vostro club…” un po’ ti cadono le braccia. Girano le scatole, sì. E guarda, sono convinto che spesso questa manfrina accada all’insaputa degli stessi artisti… Resta il fatto che chi lo fa, questo discorso, è uno che non ha vita lunga: è una furbizia dalle gambe corte che prima o poi ti si ritorce contro, contro te agenzia e management e anche contro te artista, è proprio un modo sbagliato di gestire le cose. I cachet dei festival è ovvio che siano diversi da quelli dei club: ci sono delle economie e delle dinamiche completamente differenti. Costano tanto gli artisti oggi? Costano tanto. Ma finché siamo qui, a fare questi discorsi, vuol dire che evidentemente ne vale la pena. Non perché ci si guadagni chissà cosa, anzi: noi per dire come Decibel Open Air siamo ancora nella fase di investimento, ma non mi sembra un motivo sufficiente per stare qua a lamentarsi. Ripeto, nessuno ti punta la pistola alla tempia. Non te l’ha ordinato il medico di fare un festival con questo e quest’altro artista. E’ una tua scelta.
(Il Main Stage dell’edizione 2019; continua sotto)
Senti, come è riuscito Decibel Open Air ad arrivare in così poco tempo a un certo tipo di numeri e dimensioni e ad un certo tipo di line up? In molti vorrebbero farlo, ma in pochi, pochissimi in Italia ci sono riusciti, ad oggi.
Eh, bella domanda. Ti posso solo dire che noi ci crediamo tanto. Ci crediamo tanto, e abbiamo investito tanto. Ciò che è importante da dire è che a me piacciono i festival, e lo stesso vale per i miei soci: li amiamo, li conosciamo, li frequentiamo già da anni. Io poi sono anche storicamente tour manager di Dub FX, e in questo modo di festival ne ho frequentati parecchi nel mondo anche proprio stando nel backstage, vedendo cioè dall’interno il funzionamento della macchina organizzativa, e questa esperienza è stata fondamentale. Ovvio: al primo posto ci vuole sempre il fattore fortuna. Da quello non si scappa. Ma la fortuna, questo posso dirlo, qualche volta aiuta gli audaci. Aiuta chi prova a meritarsela. Ancora oggi sono un instancabile frequentatore di festival e questo per me non è mai un divertimento, è sempre prima di tutto un lavoro. Non mi sento comunque di dare nessun tipo di suggerimento particolare, men che meno di dare suggerimenti ad altri che sono sul mercato da prima di noi e con grande successo, ma di sicuro l’ingrediente numero uno penso che sia la passione e l’umiltà di imparare da chi ha fatto questo mestiere da prima di te. Poi c’è un’altra cosa da dire…
Ovvero?
La comunicazione. Una cosa che storicamente è mancata in Italia è stata la comunicazione di un certo tipo. I festival che vedi avere successo, e ce ne sono per fortuna anche da noi, hanno prima di tutto curato bene la comunicazione. Poi chiaro, puoi comunicare bene finché vuoi ma se poi la gente viene al tuo evento e si trova male non c’è niente o nessuno che ti possa proteggere; ma senza una buona comunicazione, credimi, nemmeno inizi a fare le cose, o se le fai ti schianti. Una comunicazione tra l’altro che, attenzione, deve vivere tutto l’anno anche se l’evento in sé si svolge solo per un weekend: e anche qui si può capire quanto possa e debba essere diversa la comunicazione tra il portare avanti un club ed un festival. E’ importante essere consapevoli, in generale. E’ la consapevolezza, tra l’altro, che ci fa capire che noi di Decibel Open Air siamo arrivati solo trenta, quaranta per cento di quello che vorremmo e dovremmo offrire; ma è sempre la consapevolezza che ti spinge a stare attento a non fare mai il passo più lungo della gamba. Noi di passi ne abbiamo fatti belli lunghi, in qualche caso quasi ai limiti della “scosciata”, ma siamo qui, e possiamo anche contare ormai su una bella fan base, gente che ci segue regolarmente, che magari non tutta per forza acquisterà il biglietto ma che di sicuro è pronta a valutare quello che offriamo, ci ascolta, ci segue, è pronta a sostenerci. Abbiamo un impegno e un legame con queste persone che deve durare tutta l’anno, non deve saltare fuori solo quando manca poco all’inizio del festival: non è così che si fa.
Un festival come Decibel Open Air è visto dalle istituzioni locali più come una seccatura o più come una risorsa?
Come seccatura no, mai. Lo so che in Italia ci si lamenta sempre che tutto ciò che è collegabile in qualche modo alla musica elettronica sia mal visto dalle istituzioni, ma noi non possiamo assolutamente lamentarci. Anche perché fin dall’inizio il Comune di Firenze non ci ha visto come “la discoteca”, ma più come un’altra versione – con musica diversa – di Firenze Rock. Cosa facilitata dal fatto che per qualche edizione con Firenze Rock abbiamo diviso venue e strutture, a partire dal palco: cosa che ha fornito indubbi vantaggi, ma ogni tanto anche qualche svantaggio, visto che eravamo inevitabilmente obbligati a scegliere come data il weekend successivo agli eventi di Firenze Rock e, in un caso, tutto questo ricadeva proprio nel weekend di San Giovanni, quando si celebra il patrono cittadini e ci sono pure le gare di calcio storico in centro. Lì c’è stato un po’ da discutere perché, in maniera del tutto ragionevole, le autorità cittadine temevano che non ci fossero proprio le forze d’ordine pubblico per garantire la giusta copertura per tutti questi eventi in simultanea. Ora ad ogni modo questo problema non si pone più: già l’anno scorso dovevamo spostarci a settembre, staccandoci quindi completamente cronologicamente e strutturalmente da Firenze Rock, poi ovviamente non se n’è fatto nulla, ma in questo 2021 si parla di nuovo di settembre, l’11 e il 12. Al di là di questo, non abbiamo mai avuto problemi da parte delle istituzioni cittadine ed anzi, posso dire che da parte dell’assessorato alla cultura c’è molto appoggio e comprensione, piace l’idea di avere un festival di rilevanza europea sul territorio cittadino, e questo anche se storicamente Firenze è rivolta più ad un turismo d’arte da famiglie. Per fortuna chi occupa certi posti in città è giovane ed intraprendente, e sa guardare avanti. Siamo in controtendenza, insomma: so che da altre parti, si tratti di club o festival, le istituzioni sanno essere un nemico per la musica e in particolar modo per la musica elettronica, ma da noi per fortuna non è così.
Decibel Open Air è in definitiva un festival techno e tech-house, comunque legato molto a quella direzione lì, da clubbing?
Questa è una domanda che ci poniamo parecchio fin dal primo anno. Ti posso dire che l’idea è sempre stata quella di arrivare a creare un festival non puramente techno, ma di musica elettronica a trecentosessanta gradi. Già il primo anno il nome forte erano i Chemical Brothers, che di loro sono comunque eclettici. Il secondo in effetti abbiamo vissuto una vera e propria esplosione grazie alla presenza di Paul Kalkbrenner, che chiaramente influisce sul modo in cui vieni percepito. Ma già nell’edizione del 2020, che poi diventa quella del 2021, pensiamo che abbiamo di nuovo ampliato il ventaglio di proposte. Due palchi, più giornate, una line up che parlando in generale non è certo solo techno – anche perché ormai non avrebbe nemmeno senso lo fosse. Questo è solo l’inizio. Vorremmo ampliare ancora di più, in futuro. Sai: già nella vita normale non sono uno che ama le definizioni rigide, figurati quanto le posso amare applicate alla musica…