Si sa pochissimo: sono in due, italiani, ventenni o giù di lì. Ma c’è tutto ciò che serve sapere in questo loro primo singolo ufficiale per la milanese ESP, che segue tre EP digitali gratuiti pubblicati in proprio. C’è musica underground autentica, tanto più balsamica in tempi in cui il termine è usato sempre più a sproposito, come indicazione di genere musicale più che di approccio e attitudine, o come pura e semplice bandiera da sventolare. C’è un suono techno analogico molto puro ed essenziale, ibridato con grosse dosi di nuova house mutante britannica, quella figlia della rivoluzione bass. Due tracce tanto scure, sporche ed aggressive quanto impregnate di calore funk e lavorate nei dettagli, che non sfigurerebbero su cataloghi di primissimo piano come Aus, Hessle o Hotflush.
“White Heat” soprattutto: traccia imprendibile, che mena senza dare punti di riferimento, che su struttura irregolare e beat sostenuto alterna momenti di tensione ed esplosioni tribali. Parte a spron battuto, con piatti sferraglianti e frase ossessiva di synth, si ferma e cede il posto a una combinazione tropicale forte/piano di percussioni metalliche e stasi umidissime da giungla urbana. Un break con note lunghe e quasi orchestrali, e via di nuovo con il carnevale. “Mirrors” è ancora più basilare: avvio delicato in sospensione, poi solo beat house incalzante con rullatine e percussioni, e voci effettate come lame di suono. Dal nulla o quasi, un campione vocale da diva disco, appoggiato su uno sfondo tutt’altro che liscio, ma stranamente funzionale. Verso la metà, fra scrosci liquidi e interferenze ambientali, la cosa si fa ancora più ipnotica e percussiva, possibile tool di spessore.
Non comune. Complimenti.