Siamo molto soddisfatti, lasciatecelo dire. Forse non bisognerebbe partire con tutto questo entusiasmo, soprattutto se alle prese con una review, ma è anche vero che in questo impressionante e costante pullulare di nuove realease techno e house, ogni piccolo capolavoro è riconoscibile con pochi sforzi, come si trattasse di una vera e propria boccata d’aria.
Per questo buonumore ritrovato dobbiamo essere grati ad Anthony Parasole, personaggio che dalle nostre parti abbiamo già avuto modo di conoscere e approfondire. Parasole è un artista newyorchese pieno di savoir faire in quanto a dj-ing e produzioni (nonché meritevole resident al Berghain) che proprio oggi vede uscire la sua nuova fatica su vinile, “Infrared Vision”.
L’LP rappresenta il suo debutto su Dekmantel per il catalogo UFO, serie che prende il nome dall’omonimo stage al celeberrimo festival – stage dedicato alle sperimentazioni techno-elettroniche, per chi non ne fosse al corrente – consistente in una serie di release viniliche tra il danzereccio e l’onirico. Un progetto molto valido e a nostro avviso degno di supporto.
“Infrared Vision” è un lavoro “on the road”, composto a mo’ di diario di viaggio tra una gig e l’altra, prendendo appunti sia sonori che scritti e amalgamandoli poi nella versione finale dell’album registrato a New York. Parasole ha dichiarato che la realizzazione dell’album è avvenuta cercando di farsi influenzare il meno possibile dalle novità in ambito house e techno, in un lasso di tempo in cui si è ascoltato moltissimo jazz e hip hop, oltre a farsi scorpacciate di Nine Inch Nails e Prince. E cosa dovremmo aspettarci da un miscuglio così eterogeneo ed imprevedibile? Letta questa sua dichiarazione, ammettiamo che abbiamo iniziato a sfregarci le manine già prima dell’ascolto del disco. Anche solo per quel brividello d’emozione suscitato dalla curiosità. Bene, entriamo nel vivo.
Ciò che ci colpisce subito dell’album è la durata delle tracce: quasi tutte sono veramente molto brevi, ma questo non fa altro che aggiungere verve ai pezzi, rinvigorendo la voglia di riascoltarseli. Prendendocisi pure molto bene. Si parte con “Cold Steel”, breve pezzo introduttivo dalle tinte notturne e dalle sonorità carezzevoli, smorzate sapientemente da sferzate di beat che permangono molto equilibrate. “Murky Waters” ha classe da vendere, dove le sue piccole eco jazzy la rendono elegante, da collocarsi a mezza strada tra il ballabile e il meditativo, con una carica di semplicità priva di orpelli che potremmo definire leggiadra. Con “Explode” si fa sosta in una landa sonora techno-ipnotica, dark, che riece a prendere una piega dancefloor super godibile, senza mai infossarsi in territori monotoni; stesso discorso per “Momentum”: techno bella lanciata, senza però togliere un qual certo freno a mano che la rende ancora più interessante e difficilmente categorizzabile, come se si trattasse del remix di un pezzo riconoscibile a fatica.”Infrared Vision” – la nostra preferita – disegna immaginari raggi infrarossi, incisivi e belli sferzanti, che fanno il loro, mentre noi ascoltatori ci sollazziamo grazie a forze elettromagnetiche techno piene di fascino e mistero. “Bizarre Part 2” si presenta come un ottimo esempio di traccia techno scarnificata, dove gli elementi portanti si fanno sentire senza che il pezzo decolli mai, rendendoci molto felici e provocando pure un po’ di pelle d’oca. Un eccelso esempio di quadro di pittura astrattista minimale a olio, di enormi dimensioni, tradotto in musica. “Spell On Me” è una traccia veramente molto breve, ma non per questo da considerare come intermezzo, vista la sua forte identità. Parte con un mood quasi orientaleggiante scandito da una scarna percussione, venendo immediatamente risucchiata da linee di synth disturbanti e bassi ipnotici testardi, per poi tornare nuovamente essenziale, fascinosa e intrisa di lontano oriente. “The Chant”, la traccia più “ludica” dell’album, parte con una cassa finto ignorantella che ci conquista subito, adiuvata da percusssioni scanzonate e da sample vocali coinvolgenti. E anche qui, la durata ha il sapore di un viaggio mentale fantastico che si interrompe all’improvviso. “Zenith”, la penultima traccia, subisce ampie influenze dalle sonorità amabilmente crucche filo-krautrock – e con questo termine di ampio respiro facciamo riferimento al filone Cluster/Tangerine Dream, più sognante, a metà strada tra l’ambient e la psichedelia. Sarebbe stata un’ottima traccia di chiusura, anche se Parasole preferisce non risultare scontato – ottima mossa. Così, è “So Alive” a chiudere il piccolo capolavoro, con sciabolatine belle cattive e un andazzo decisamente da dancefloor, senza lasciare spazio a nessuna forma di carezza e aizzandoci non poco.