Il primo commento sotto il documentario che Resident Advisor ha pubblicato su YouTube in questi giorni per celebrare il decennale di “Untrue”, il secondo album dell’artista sconosciuto come Burial, recita in tono abbastanza perentorio: “A classic”. Il secondo, invece, aggiunge: “If Boards of Canada did Garage or R&B”. Volendo la discussione si potrebbe addirittura azzerare qui: dono della sintesi e via.
Flettiamo i muscoli e siamo nel vuoto (Ciao Ratman, insegna agli angeli bla bla bla).
La verità è che dieci anni dopo tutto, dopo l’hype, le discussioni sul dubstep, quelle sull’identità celata e il marketing, quello che resta ai posteri è forse uno degli album più importanti della musica elettronica degli ultimi dieci anni.
Anzi, esageriamo, il più importante in assoluto e forse l’ultimo caso in cui un termine così vasto e poco preciso – musica elettronica, cos’era costei? Chiediamolo a Stockhausen – ha rappresentato davvero qualcosa di innovativo, fresco, capace di enfatizzare e caratterizzare lo spirito del tempo e tracciare una linea. Il mondo prima di “Untrue”. E il nulla dopo “Untrue”.
Esagerazioni? Iperboli? Forse, ma questi dieci anni non hanno fatto altro che elevare ancora di più la percezione di questo disco e renderlo – anonimo commentatore: hai ragione! – classico. Unico.
Fin dall’esordio con l’album omonimo, quello del 2006, Burial è apparso come un cannibalizzatore di memorie musicali. In quel suono per brevità chiamato dubstep c’era la storia e l’evoluzione della club culture britannica. Lo UK Garage e “Selected Ambient Works” di Aphex Twin, l’hauntology di scuola Ghost Box e il post-rave, la jungle e l’hip hop. Londra e i suoi rumori urbani, il ritmo del traffico che diventa musica, la pioggia che batte sui vetri degli autobus in corsa e diventa ritmo. Musica urbana ma nel senso più vero e letterale del termine.
Il compianto Mark Fisher, nel suo blog K-Punk lo descriveva così: “Burial‘s dilapidated Afro NoFuturism does for London in the 00s what Wu Tang did for New York in the 90s. It delivers what Massive Attack promised but never really achieved. It’s everything that Goldie’s Timeless ought to have been”.
Ed è proprio in “Untrue” che questo approccio raggiunge in maniera definitiva lo stato dell’arte dando vita a un vero e proprio capolavoro basato sul campionamento.
Un disco che sta lì, nell’olimpo, a fare compagnia ad “Endtroducing” di Dj Shadow e “Donuts” di J Dilla. E se da Shadow può avere preso lo spirito avventuroso e il coraggio di far suonare in maniera personale cose all’apparenza distantissime, è l’approccio lo-fi di “Donuts” ad avere probabilmente influenzato di più Burial. Così come Donuts è stato tutto composto da Dilla, in ospedale, utilizzando pro-tools e tracce prese di peso, sporche, da altri dischi, nel documentario di RA viene mostrato il lavoro che Burial ha fatto rubacchiando spezzoni da YouTube utilizzando Soundforge, un programma di montaggio audio piuttosto basico, per dare una forma precisa al tutto. Creare tantissimo, con pochissimo. Homework, dicevano quelli.
La musica di Burial è stata una finestra sul futuro creata scavando nel passato: le radici su cui si basa, quelle degli anni ’90 britannici, sono solide e riconoscibili, ma il modo in cui vengono assorbite, fagocitate quasi, e rivisitate è completamente nuovo.
“Untrue” è un disco post tutto: c’è la musica, ci sono i rumori urbani e c’è l’universo videoludico (il celebre campione dell’intro di “Metal Gear Solid” su cui è costruita Archangel, la cosa più simile a una hit che Burial abbia mai pubblicato, e il suono di cassa e rullante creato utilizzando i colpi di pistola presenti nel gioco) per non parlare poi dei vocals.
Burial ha preso in prestito e mutato fino a rendere irriconoscibili le voci e linee melodiche di gente come Beyoncé, Christina Aguilera, Mariah Carey e Gabrielle. Ha utilizzato elementi tipici del pop per creare a sua volta un nuovo genere di musica popolare: un’elettronica tutt’altro che algida ma evocativa, emozionale ed emotiva.
Con “Untrue”, Burial ha anche dato l’addio al formato album e chiuso una determinata fase della sua carriera. Da quel momento in poi il suo suono ha cominciato piano piano a divincolarsi dalle radici diventando via via sempre più incorporeo e metafisico.
Come se il futuro-passato profetizzato da “Untrue” fosse diventato reale nelle uscite seguenti e gli EP e nei singoli che da allora pubblica a scadenza irregolare.
Al punto che viene lecito chiedersi se farà mai un vero e proprio nuovo disco. E la risposta è che forse, davvero, non ce n’è più bisogno.