Fin dall’inizio era chiaro fosse una pessima idea: l’avevano notato in tanti. Noi pure, sottolineando come oltre a una serie sospetta di passaggi preliminari nel costruire il tutto c’era proprio un problema – grave, gravissimo – di (in)competenza. Ecco: questo continua ad esserci il peccato capitale in tutta questa operazione. Di sprechi di Stato ce ne sono mille (purtroppo…), ma almeno quando li vedi fatti per voglia di rubare soldi e rubare risorse alla collettività fa schifo, certo, ma almeno c’è una base razionale d’appoggio. Orribile, ma c’è.
Il sospetto, e tutta una serie di dichiarazioni e di mosse, fa sospettare che Franceschini in It’s Art ci credesse invece davvero: ecco, è questa la cosa deprimente. Chili, il partner tecnologico dell’operazione, ha fatto il colpo gobbo, rifilando al Ministero una piattaforma tecnologica del tutto inutile, facendosela valutare e riuscendo per la prima volta, dopo otto bilanci in rosso consecutivi (otto!), a non incorrere in una Caporetto operativa. Però ecco, cara Chili, ci ricordiamo quando il tuo CEO, Giorgio Tacchia, diceva che portava in dote una “base di cinque milioni di clienti, su cui faremo molta promozione”. Puttanate; e quel fenomeno di Franceschini deve però aver abboccato. Circonvenzione d’incapace?
Fuori i numeri. In otto mesi, 245.000 euro di ricavi. 7,5 milioni di perdite operative. Ah, di questi ricavi, non fossero già abbastanza ridicoli di loro, solo una parte (140.000 euro) arriva da acquisti e noleggi diretti dei consumatori, il resto (105.000) arriva da non chiari accordi, sotto la deprimente voce “barter transaction”. Tipo quando i certi quotidiani gonfiano le loro cifre di diffusione creando degli scambi merce con catene di hotel e simili, ricordate? Di solo personale, It’s Art spende 900.000 euro all’anno. I ricavi insomma sono poco più di un quarto di questa spesa, che peraltro è come ovvio la più bassa nella gestione di una piattaforma del genere. E per eleganza facciamo anche che glissiamo sulla domanda sul come sia possibile che 200.000 clienti (o 146.000, come circola in altre comunicazioni) generino un fatturato di soli 245.000 euro.
Chiunque avesse un minimo di buon senso e conoscenza del mercato, non poteva che pensare che finisse così. I numeri parlano chiaro, ora. Inchiodano ai fatti. Nascondersi dietro “Eh, ma è una fase di start-up…” è sufficientemente una offesa all’intelligenza ed al buon senso: questa cosa non sta in piedi. Questa cosa è stata pensata da chi non conosce il mondo, chi non conosce il mercato; o da chi lo conosce piuttosto bene, ma ha trovato il gonzo a cui sbolognare tutto, facendolo pure pagare caro. Che a capo del Ministero italiano che sovrintende alla vita culturale ed alla sua amministrazione ci sia un gonzo, è davvero deprimente.
Il gesto più dignitoso, ora, sarebbero le dimissioni. Non solo per lo spreco, non tanto per lo spreco: proprio per la dimostrazione di inadeguatezza.
Sì: le dimissioni.
Ma figuriamoci. Non sono arrivate dopo quell’aborto di verybello.it, non arriveranno nemmeno ora. E continueremo ad avere a capo di un Ministero-chiave per una nazione (potenzialmente) votata alla cultura come l’Italia un incapace, un arrogante incapace.