Metterci qui ad elencare quanto i nostri artisti siano belli, bravi e simpatici potrà sembrare, me ne rendo conto, stucchevole, perciò risparmiamocelo e passiamo oltre. In fondo si sa, la musica abita i cuori di chi la ama e la vive per davvero, quindi mettiamo via inutili proclami dal sapore propagandistico (e provinciale) e concentriamoci su “Shaman’s Path”, secondo cd del catalogo Prologue che uscirà nei negozi il mese prossimo. L’autore della raccolta è Dino Sabatini, uno dei nomi più in vista dell’intero panorama techno europeo e la sua ultima fatica conferma le aspettative sul suo conto. Dino, infatti, è uno di quegli artisti che pesano per davvero – basti pensare ai suoi lavori e alle collaborazioni che nel corso degli anni l’hanno visto al fianco dei vari Donato Dozzy, Giorgio Gigli e Gianluca Meloni, l’altra metà del progetto Modern Heads – e il suo talento cristallino è tra i più richiesti, ora che in giro per il mondo sta spopolando questa space-techno ipnotica e acida.
“Shaman’s Path” segna il ritorno di Dino Sabatini su Prologue dopo oltre due anni e dopo ben quattro release tra il 2008, anno in cui l’artista romano inaugurava la label bavarese con il suo “No More EP”, e il 2010. Il risultato è un album incredibilmente intenso al cui interno convivono suggestioni ed emozioni che pulsano, vive, attraverso le più disparate venature della musica techno. Si tratta di un lavoro dalle tinte crepuscolari, di un viaggio all’interno dell’Africa più nera al calare della notte. Non pensatelo, però, come un safari all’interno della Savana o come una marcia nel cuore del Sahara in groppa a un cammello, niente di tutto questo: in “Shaman’s Path” si respira il senso di soffocamento dovuto all’ansia e alla paura di essere de-occidentalizzati, di fare un passo indietro nei confronti dei nostri istinti tribali. Questa, però, non è una paura capace di scatenare il più conservativo degli istinti di sopravvivenza perché, come nelle migliori storie targate Prologue, qui non si ha scelta.
A fare da contraltare al ritmo caldo e afro (il tappeto percussivo sa di “pelle” vera e propria), però, ci sono tutti quegli elementi che danno un sapore berlinese alla miscela: pensate, è come se improvvisamente Tiergarthen fosse abitata da leoni e zebre e voi foste lì, a Großer Stern, a tingervi il viso e ad applicare dilatatori ai vostri lobi (ammesso che già non li abbiate). “Shaman’s Path” ci regala scenari nuovi, confezionando ad hoc emozioni che vivono l’aperto conflitto tra ciò che ci fa muovere (il groove) e ciò che distende la mente (il dolce, ma impetuoso, sovrapporsi di pad e melodie).
“Soul Capture”, “Trance State”, “Ritual”, “Totem” e “Parallel Perception” rappresentano l’istantanea ideale dell’Africa di Dino Sabatini. A me è venuta voglia di viaggiare, a voi?