Sono stati dieci anni vissuti intensamente quelli che l’associazione fiorentina Disco_nnect si appresta a festeggiare. Dieci anni impiegati a promuovere alcuni tra i fenomeni più alternativi, radicali e influenti della scena musicale internazionale: dagli Happy Mondays a Black Strobe, da Tim Hecker a Lee Scratch Perry, da James Ferraro ad Alessandro Cortini dei Nine Inch Nails, da Shackleton a William Basinski. È stato questo incessante lavoro, assieme allo sforzo di poche altre realtà locali, a mettere Firenze sulla mappa delle città interessanti per la nuova scena musicale. In questi anni, poi, le attività dell’associazione si sono ramificate anche a Milano, Venezia e Bologna. E se l’ispirazione principale, per questo progetto culturale, si rifà alla prima scena underground di New York, l’attitudine è quella di una vasta indagine nell’ambito delle sottoculture: sia quelle storicizzate che quelle fluide del presente digitale. Spazi molto diversi tra loro sono stati, di volta in volta, le ambientazioni ideali per dj set, live, installazioni, sfilate di moda e performance di artisti, designer, musicisti e visionari di altra natura che stanno declinando al futuro la creatività multimediale contemporanea. Un ruolo chiave, nel percorso di ricerca dell’associazione, lo hanno avuto le collaborazioni, sviluppate su piani e contesti diversi: con festival internazionali, brand, etichette discografiche, Gallerie e Centri d’Arte.
Alla Limonaia di Villa Strozzi, venerdì 14 settembre, Disco_nnect è pronta a festeggiare il primo decennio di attività assieme a Bill Kouligas, Coucuou Chloe, DJ Balli, Herva e Koolmorf Widesen. Abbiamo approfittato della ricorrenza per intervistare Matteo Braccialini, fondatore del progetto.
Volevo celebrare con voi i 10 anni di Disco_nnect ricordando i fallimenti più spettacolari. Il primo di cui ho memoria è un assurdo festival veneziano, assolutamente fuori-scala. Poi mi torna in mente un rave in un castello toscano… Te ne ricordi altri?
‘Sono solo romantiche sconfitte’, diceva quel grande giornalista musicale (e nostro comune amico) di Stefano Cuzzocrea. Come dimenticare Hexa che sonorizza la mostra di David Lynch con schizzi di sangue sul palco, tra lo stupore generale dei vari assessori e la nonchalance totale dei diretti interessati Jamie Stewart e Lawrence English. Ci ricordiamo bene anche una delle prime volte nelle quale lavoravamo in un piccolo club nel centro di Firenze. Ci portavamo Maria Minerva a suonare. Avevamo fatto svariate richieste ai gestori, chiedendo rassicurazioni sul fatto che potessero seguire bene la parte tecnica del live. Ci risposero di stare tranquilli; che avevano un loro fonico. Poco dopo scoprimmo che il fonico era il barman del club. E niente, è scoppiato tutto!
Ma esattamente Disco_nnect da che idea è nata?
L’idea ed il nome del progetto sono una sorta di tributo a NO-New York di Brian Eno in chiave attuale. Una sorta di negazione all’iper-connessione contemporanea. L’intento iniziale era quello di essere un innesco, una scossa per una città come Firenze che, da un passato carico di sotto culture ed avanguardie (penso alla new wave dei Diaframma, ai Pankow e ai Neon, alla scena Drum and Bass dei primi anni 2000), si stava perdendo in una fitta nebbia di eventi commerciali, capitanati da Pr con sistemi piramidali che ricordavano uno Schema Ponzi e che non avevano niente a che fare con la musica. Il nostro tentativo era quello di scardinare queste dinamiche. E questo intento veniva molto prima dell’urgenza di creare qualcosa. Forse lo analizzerei come una sorta di esperimento neo-situazionista.
Quell’idea ha retto al passare del tempo? Come è cambiata sino ad oggi?
L’idea di scardinare questo sistema in realtà non ha mai retto. Le resistenze sono troppo forti e il dilagare di eventi commerciali, privi di qualsiasi contenuto o prospettiva culturale, è inarrestabile. È per questo che ho deciso di continuare accettando il fatto che diventasse una sfida dall’esito fallimentare certo. Il motivo per cui vado avanti è che credo ci sia ancora bisogno di Disco_nnect… almeno per un po’. Con il passare del tempo siamo riusciti a costruire un network internazionale con organizzazioni, agenzie, festival che crediamo sia la cosa più preziosa di tutte. Abbiamo conosciuto artisti con una visione che va molto oltre l’ottica del successo facile, imponendo la ricerca come fattore imprescindibile, lo scarto alla norma come normale conseguenza, l’originalità come necessità artistica. Questo va ben oltre il genere musicale che fanno. È una questione di attitudine. Pensiamo soprattutto a persone come James Ferraro e Ariel Pink o al leggendario Sensation Fix. Ma anche a The Bug. Sono stati tutti questi accadimenti e la vicinanza coltivata con loro a renderci consapevoli del fatto che non siamo soli in quello che stiamo facendo. Ci sono altri che la pensano come noi…
Ci sono altre realtà italiane alle quali sentite che Disco_nnect è vicina?
Club To Club, Haunter Records, Phase, Basemental, Milano Rovina, OOH-sounds… Sono tutte realtà che stanno facendo cose molto interessanti, in contesti diversi, promuovendo scene, linguaggi, artisti ed estetiche a loro modo radicali, che rimettono in discussione il nostro presente.
Le sottoculture sono sempre state un territorio privilegiato per la ricerca musicale di Disco_nnect. In questo momento vi sentite più post-rave, nu-cyberpunk o cosa?
Direi Nu-Strunz (ride, NdI). Il cyber punk ha sempre avuto un forte ascendente sulla nostra visione. Se proprio devo definirla direi che è post-cyberpunk. O no-nu. Condividiamo, come un po’ tutti quelli anziani come noi, una grande passione per la Beat Generation. In particolare per William Burroughs. “Il pasto nudo” è un’illuminazione.
Sempre a proposito di sottoculture: ricordo bene che ad un tuo dj set ti sentii suonare un sample vocale di Hakim Bay?
Non ti sbagli si chiamava Bardo Tödröl. Il brano era ispirato in qualche modo a Timothy Leary non ricordo perché ci misi Hakim Bay dentro facevo letture pesanti in quel periodo.
A metà anni ’90 mi presi una sbandata pazzesca per la teoria sulle T.A.Z., le Zone Temporaneamente Autonome del teorico americano, tanto da chiamare Zone il mio studio di comunicazione e Tong (da quel libro avevo scoperto essere le corporazioni malavitose cinesi) la fanzine sulle sottoculture che facevamo al C. P. A. Firenze Sud. Ti pare che quella teoria sia ancora attuale?
Credo che immaginare delle T.A.Z. di questi tempi è pura utopia. Se anche i centri sociali, politicizzandosi all’eccesso, si sono resi gerarchici, vuol dire che abbiamo sbagliato, tutti, qualcosa. Il messaggio è stato frainteso o, peggio, utilizzato per crearsi la propria nicchia di potere. Magari alternativa. Il fattore sul quale conviene fare leva, oggi, è proprio la chiave temporale, come aveva capito bene Guy Debord. È impossibile immaginare una mutazione permanente degli spazi, dei consumi, delle abitudini. Tanto vale organizzare delle epifanie temporanee. Rapidissime e rumorose.
(location speciali; continua sotto)
Magari provate anche a rendere temporaneamente autonomi i tanti diversi spazi nei quali realizzate i vostri eventi? Teatri, auditorium, gallerie, musei, studi… Come scegliete le ambientazioni e quanto contano?
Nel nostro piccolo, cerchiamo di ricreare dei micro-ambienti nei quali vivere esperienze sensoriali e in cui le regole siano più quelle del buon senso e del rispetto reciproco che quelle imposte forzatamente da preconcetti. Ogni spazio, da questo punto di vista, ha le sue caratteristiche specifiche. Quando abbiamo proposto eventi all’interno di studi d’artista cercavamo un luogo intimo e vissuto perché era funzionale ai progetti musicali che ci ambientavamo. Spesso abbiamo optato per Musei che hanno una vocazione molto specifica e che, normalmente, sono frequentati da un certo tipo di pubblico: portarci delle performance audiovisive o dei concerti può dare un nuovo senso a quei luoghi e farli conoscere ad una audience nuova. Un cinema, d’altra parte, diventa il contenitore perfetto per la sonorizzazione di uno slide-show fotografico con le immagini dai set di David Lynch… Ma, inutile negarlo, non disdegnamo neanche l’effetto sorpresa: lo spiazzamento che può derivare dal trovare sonorità club dentro una galleria d’arte somiglia molto al dètournement situazioni sta. E quindi ci piace.
The Bug, Laaraji, ILL, Lawrence English, Lee Scratch Perry, Ariel Pink, Aïsha Devi, Stingray… Cosa lega, nel vostro progetto artistico, questi nomi che avete proposto negli ultimi anni?
Non c’è legame prettamente musicale tra i vari artisti ma più una sorta di visione condivisa. Probabilmente la cosa che gli accomuna è quella di non scendere a compromessi quando si tratta di forme d’espressione.
Sappiamo che vai molto spesso in oriente. Quali sono le geografie sonore che ti sembrano più interessanti in questi ultimi anni?
Sicuramente, il recente viaggio in Indonesia mi ha aperto nuove frontiere. Mi ha permesso di conoscere meglio due contesti musicali molto diversi, il noise e la Gamelan. A quest’ultima mi sono ispirato per molte mie successive ricerche e sperimentazioni sonore.
Come coniughi quello che fai da dj, come __future, e gli impegni curatoriali e organizzativi con Disco_nnect?
Non faccio quasi mai il dj per i miei eventi. Ok essere contro il sistema ma almeno la sostenibilità bisogna considerarla. Altrimenti scappano tutti. Comunque, tempo fa mi hanno rubato dall’auto una borsa con la mia collezione della Ralph Records e della Ze. È stato uno shock quindi ho quasi smesso di collezionare vinili. Ne compro pochissimi, ultimamente. Preferisco le cassette. Questo ha cambiato il mio modo di selezionare musica. Odio suonare nei club ma le persone, solitamente, si divertano. Soprattutto se suono tardi. Fosse per me suonerei solo in spazi aperti. Possibilmente circondato da scenari distopici.
Assieme a realtà come Dissidanza, OOH Sounds, Killabros Tv avete agitato parecchio il sottobosco fiorentino in questi anni. Hai sempre tanto da rimproverare alla scena musicale di questa città?
Sì. C’è bisogno di azzardare di più, tutti. Va bene la tecno ed i rave ma c’è molto chiusura ancora per ogni forma di sperimentazione. A Firenze, per dirla in parole povere, va ancora l’usato garantito: sempre i soliti dj con ottica riempi-locale o mummie rock riesumate, per l’occasione, da piccoli Dr Frankenstein.
In questi anni avete attivato molte collaborazioni. Quali, secondo te, sono state le meglio riuscite e perché?
Credo che con Club To Club ci sia molta ricerca musicale in comune. Quando abbiamo lavorato assieme i risultati si sono visti. Credo ci sia, in parte, una condivisione nella ricerca musicale. Soprattutto per quanto riguarda il pop più astratto.
Raccontaci come avete deciso di festeggiare i 10 anni e quali ragioni ti hanno fatto scegliere quella lineup?
Per celebrare degnamente una ricorrenza tanto importante per noi, abbiamo pensato ad un evento speciale, in una ambientazione particolare, che riunisca le varie anime musicali alle quali ci sentiamo legata. La line up è stata scelta di proposito molto frammentata, in modo da accontentare i vari spiriti del progetto, abbracciandone le diverse sfumature. Si va dal hip hop astratto alla hardcore jungle, dalla acid techno al noise. Insomma: vari generi musicali uniti, solo, dalla capacità di accompagnarti verso un suono inesplorato. Sarà un programma molto denso che si aprirà con le sperimentazioni elettro-acustica di Koolmorf Widesen, il musicista fiorentino che sta facendo parlare di sé per il progetto Musica Automata, e con la performance multimediale di DJ Balli, l’estroso funambolo di Sonic Belligeranza. Il tuo dj set “from dub to club” (perché c’è anche quello, pure se tu non lo hai detto) farà da apripista al live di Coucou Chloe, la nuova eroina della trap francese, mentre la chiusura dancefloor sarà appannaggio del local hero Herva, forte delle uscite su Planet Mu, e del greco Bill Kouligas, a rappresentare la sua Pan Recordings, una delle etichette discografiche più influenti degli ultimi anni.
Un progetto (anche assurdo) che sogni di realizzare? O un artista (anche irraggiungibile) che vorresti coinvolgere in uno dei prossimi eventi Disco_nnect?
Genesis Breyer P-Orridge! Anche se è molto malato credo che sarebbe il coronamento di questo progetto. Poi potrei anche andare in pensione.