Non ci è dato sapere in che misura l’approdo alla Hyperdub e la mano paterna di Kode 9 abbiano contribuito all’evoluzione sonora di DJ Rashad. Ma certo è che il cambio di rotta c’è stato, eccome. Due anni fa il footwork di DJ Rashad era quello di “You Azz“, vale a dire una scheggia impazzita di campioni strettissimi e battute ritmiche a velocità frenetiche, che valeva più che altro come sfizio sperimentale: il polso sulla funzione di incitamento per i balli di strada era stato abbandonato (è proprio qui il passaggio da ‘juke’ a ‘footwork’), l’ambizione di fungere da palette stilistica capace di estendere la propria influenza anche sulle altre produzioni era prematura (non si è mai realizzata, a dispetto dei tanti che additavano il footwork come ‘il nuovo dubstep’) e l’impressione era che questo stile sarebbe rimasto una specie di masturbazione per geni, di quelle che coinvolgono una ristretta nicchia di appassionati in cerca delle ultime stranezze musicali del momento.
Oggi il nuovo DJ Rashad formato album è una traccia come “Pass That Shit” dalle dignitosissime possibilità atmosferiche, senza l’ansia di dover per forza smembrare i riferimenti stilistici di partenza ma con un’attenzione comunque alta verso l’armonia complessiva. E la differenza si vede, perché molti dei pezzi di “Double Cup” (soprattutto quelli col fratello d’arte DJ Spinn, “She A Go”, “Drank, Kush, Barz”, “Only One”) puoi ascoltarli anche come sottofondi d’alleggerimento, quasi come un r’n’b equilibrato, più ingegnoso del solito grazie a quell’abilità nell’aggiungere nuovi elementi e gradi di complessità che è tipica di tutti i footwork-producers, ma comunque ampiamente entro i canoni comuni di piacere d’ascolto (non vuol essere un’opinione denigrante verso il footwork in sé, però in passato il suo momento ‘che mi frega dell’ascoltabilità’ l’ha avuto ed era netto: un esempio a caso, Tha Pope – “All The Things“).
Certo, i suoi spigoli ce li ha anche quest’album. Soprattutto quando ci si mette uno come Addison Groove, che in quanto tranelli sonori multistratificati non è inferiore a nessuno (“Acid Bit” è una bella botta aggressiva dallo spirito un po’ ravey, non adattissima alla dinamica del disco ma vallo a raccontare a loro…). Oppure quando entrano in gioco gli stomp furiosi di “Double Cup” o “Reggie”, che valgono comunque come gustose variazioni sul tema dell’acume ritmico. Sono piccoli sfiati eccentrici che fan parte della natura del footwork e non li si può mettere sotto silenzio. Anzi, considerato che questo sound è quanto di più lontano possa esserci dal normale ordine formale, più esteticamente amabile di così è impossibile.