E’ un caso curioso, quello di Dominik Eulberg: l’uomo è specializzato in copertine talmente brutte e di cattivo gusto da essere belle (tipo che da un momento all’altro ti aspetti che usi come fondale il castello di Neuschwanstein, il trionfo mondiale del kitsch alla crucca: una ricerchina su Google immagini e capirete subito che intendiamo). In più, la sua ossessione per la natura idilliaca ed elegiaca è quanto di più distante si possa immaginare dall’atmosfera alla metti-una-sera-al-Cocoon. Eppure lui per la Cocoon (nel senso di etichetta discografica) ha dissusamente inciso, come per Trapez, Traum, Ware, e in generale ha un curriculum vitae piuttosto significativo in campo prettamente dance (produttore dell’anno per il magazine tedesco Groove nel 2005, in più una presenza costante nelle classifiche come miglior dj tedesco nei vari siti e giornali). Insomma, non è un pirla, per dirla alla Mourinho. Diciamo di più: è effettivamente bravo, il suo tocco ha sempre avuto una eleganza e una rotondità tutta particolare, donando classe all’alfabeto standard delle faccende di tech-house dell’ultimo lustro. Faccende in cui è da vedere quanto resterà ancora coinvolto: il suo ultimo lavoro, “Diorama”, non è assolutamente una sequela di pezzi ambient – ma scommetteremmo i nostri cinque euro sul fatto che prima o poi comincerà a fare pezzi solo così – ma di sicuro dichiara esplicita una voglia di allontanarsi sempre più dal monocolore tech-house. Lo fa con un tuffo nel passato, chissà quanto consapevole: ci sono infatti moltissimi riferimenti stilistici ai Future Sound Of London, soprattutto ad album come “ISDN” (1994) o “Dead Cities” (1996). Un progetto che negli anni ’90 era sulla bocca di tutti, ma se oggi avete vent’anni o poco più facile che non li abbiate mai sentiti nominare, visto il loro talento enorme nel giocarsi male la carriera quando pareva avessero davanti un autostrada per il successo. Ecco, un merito di “Diorama” di Eulberg potrebbe essere quello di rimettere in circolo un’attenzione verso un’elettronica più evocativa, più varia ritmicamente, più ambientale senza essere per forza un tappeto atmosferico a no-bpm e tutto glitch. In questo modo gli perdoneremmo le ingenuità (ce ne sono, più che nei suoi lavori passati), le soluzioni scontate al limite delle derive da chill out da autogrill (avete presente quei cd a 4,99 euro che trovate nella cesta vicino ai salumi?), le cadute di tono. Ma in mezzo a questi picchi verso il basso ci sono anche quelli verso l’alto, naturali in un artista che comunque di talento ne ha, e manco poco. Se al talento aggiungi il coraggio di cantare un po’ fuori dal coro, con le sue copertine orribili, il suo suono improvvisamente un po’ più demodé e la sua ossessione verso il mondo della natura, il risultato finale è che il signor Eulberg merita comunque la nostra attenzione e, magari, il nostro moderato supporto. Una parentesi rinfrescante contro il logorio della club culture moderna, tipo. Poi, il giorno dopo, si può riprendere a ballare quelle belle ritmiche quadrate e regolari che in due, tre ore non cambiano quasi mai…
Damir Ivic
Scrive di musica a trecentosessanta gradi (con predilezione per l’elettronica). Storica firma del Mucchio. Punto di riferimento negli anni per Red Bull Music Academy in Italia. Autore di libri editi per Arcana. Collaboratore di vari festival. Occasionalmente copywriter. Oggi, tra le varie cose, stretto collaboratore di Rolling Stone e TRX Radio. Inspiegabilmente tifoso dell’Hellas Verona.
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