Addentrarsi nella techno culture significa innanzitutto parlare e di Berlino e Detroit, le cui vicende artistiche appaiono legate in modo indissolubile da un fil rouge che si srotola dalla metà degli anni ottanta al 2016.
Se dovessimo stabilire un principio, un punto di focale da cui questo viaggio ha preso le mosse, il 1989 sarebbe un anno particolarmente vantaggioso. Certo, a Berlino veniva sollevata quella “cortina di ferro” che costringeva il mondo in una fissità politica spaccata a metà; ma in quella stessa stagione – trascinati dagli assist di Isiah Thomas e dai rimbalzi di Dennis Rodman – i Detroit Pistons sollevavano al cielo il loro primo titolo NBA. Una gioia non indifferente per gli abitanti di una città che era già nella sua parabola discendente. I Pistoni di Detroit: un esplicito richiamo alla natura tutta industriale di Motown. Così come la sua musica: espressione della fucina che l’aveva forgiata, e che allo stesso tempo rappresentava la fuga da quel contesto alienante e contraddittorio.
Di lì a poco, la nuova estetica techno sarebbe salpata in Europa. E non fu un caso se quei ragazzi afroamericani trovarono terreno fertile proprio a Berlino. L’altra techno city, scarnificata dalla guerra e spogliata d’ogni ricordo, accoglieva la predica dei profeti americani e situava nel Tresor il proprio luogo di culto. Un locale dove i giovani berlinesi tornavano a conoscersi, a sperare in un paese di nuovo unito, costruito a pochi metri dal Muro, dove la musica era sinonimo di coraggio e parlava di un nuovo inizio concretamente possibile (e comunque non omologato o “banale”).
Oggi la tessitura che intreccia i destini delle due metropoli torna prepotentemente visibile. Sottratto dalle ragnatele del tempo questo repertorio d’immagini vogliono essere narrate all’unisono. In questi giorni infatti lo storico club tedesco compie venticinque anni – tanti ne sono passati da quando nel 1991 aprì i battenti. Nessuna migliore occasione per inaugurare il primo festival esclusivamente targato Tresor: una tre giorni – dal 21 al 23 luglio – dove in console si alterneranno i pionieri d’oltreoceano (Atkins, Hood, Baxter tra gli altri) e chi come Surgeon è stato portato al successo dall’omonima label (qui potete spolparvi l’intera line up della rassegna). Per non farsi mancare davvero nulla, un tour mondiale che toccherà anche Detroit chiuderà il cerchio, in un inedito party sul suolo a stelle e strisce che si preannuncia pirotecnico quanto denso di significati (e di nostalgia?).
Ma la cornice techno, comunque, resta una entità molto viva, pulsante, con una effettiva presa sociale, pur essendo molto mutata nel tempo. La voce del sindaco Mike Duggan si è levata in queste ore ufficializzando il debutto della prima Detroit Techno Week. Una settimana di eventi – 23-30 maggio – che si svilupperà in parallelo all’ormai consueto Movement Festival, invitando i fedeli a recarsi in “processione” ad Hart Plaza – cornice del Movement – per riscoprire la «ricca cultura techno», radice culturale di Detroit, e la sua «rinascente cultura». Divertenti/doverose canonizzazioni” della techno o astute trovate commerciali? Ecco: proprio mettere a confronto ele due notizie di cui sopra può portarci a fare qualche riflessione in più.
Se prendiamo il Tresor, ad esempio, ci appare molto diverso da ciò che aveva significato all’inizio degli anni ’90 (e non solo perché nel 2004 è stato demolito e poi ricostruito nell’attuale sede sotto la Kradtwerk di Kopenicker Strasse). Oggi è forse uno dei simboli più lampanti della massificazione che ha investito sia Berlino che la techno. Non che la programmazione sia qualitativamente calata: i dj sono sempre quelli di maggior grido del panorama internazionale. Ma oggi, preso d’assalto da turisti di tutto il mondo, appare quanto di più lontano ci possa essere da un luogo profondamente identificativo (quale invece dovrebbe essere, e quale è stato, costruendo così la sua leggenda) per un berlinese. A Detroit la situazione non è poi così diversa: la retorica usurata della “rinascente cultura” in Michigan ha un che di familiare e diabolico, viene riproposta ciclicamente (così come le crisi economiche) ma non ha evitato che la città sprofondasse nei debiti e nella criminalità, arrivando a dichiarare bancarotta appena tre anni fa.
Oggi però vogliamo essere più ottimisti: porre l’accento sulla Musica con la “m” masiuscola – così come hanno fatto Berlino e Detroit, riconoscendone un elemento fondante della propria memoria collettiva – e sulla sua capacità di spiegare la storia contemporanea, d’illuminare i suoi coni d’ombra, renderebbe e rende maggiore giustizia alle due iniziative. Sperando che diventino portatrici di un maggiore spessore culturale, che siano sempre più un volano economico, che diano vita a virtuosi fenomeni di riflessione sociale ed amministrativa.