Abbiamo avuto il piacere, ancora una volta, di poter intervistare un’artista che rappresenta la storia della techno, DVS1. In questa intervista, oltre farci raccontare i passi più importanti della sua carriera, abbiamo anche discusso di come l’intrattenimento live e l’industria musicale si siano modificati, senza tralasciare uno dei temi più scottanti del momento, la chiusura del Fabric. Questo è quello che ne è uscito. Buona lettura.
Secondo me, uno degli aspetti più affascinanti della tua carriera è la tua origine, in particolar modo le tue radici a Minneapolis. Su scala globale, Minneapolis non è esattamente conosciuta come un focolaio techno. Che consiglio puoi dare ai giovani artisti che si trovano in una situazione analoga, dove la loro città non é considerata un luogo dove trovare nuovi talenti?
Indipendentemente dalla provenienza di una persona, il luogo di nascita è fondamentale e avere un posto per sviluppare le proprie abilità come artista è di vitale importanza. Una cosa interessante è che essere in un posto che ha meno eventi ti consente di creare un tuo stile personale, senza essere influenzato dall’impostazione e sonorità di altri set che trovi lì in giro. Si può completamente vivere nel propria bolla d’influenza e scegliere di presentare la tua personale visione artistica! Ancora: vivere in una città come Minneapolis ti dà anche più responsabilità nel fare le cose da solo, come il lancio di eventi o la costruzione di parties per attirare una folla di persone che ti venga a sentire: devi fare tutto tu. Io penso che un approccio di questo tipo sia utilissimo per avere un quadro generale, da tutte le angolazioni. Minneapolis in realtà ha una storia ricca per quanto riguarda la musica elettronica e ha avuto negli ultimi anni molti artisti sorprendenti che si sono affacciati sul mercato internazionale. La realtà è che non siamo magari il primo posto che viene in mente se si parla di techno, ma ogni volte che un’artista è venuto a suonare o le persone si sono interessate alla nostra storia, beh, sono rimasti sempre sorpresi dal livello che siamo stati in grado di raggiungere.
Quanto, rispetto al periodo in cui hai iniziato ad esibirti live, pensi si sia modificato l’approccio degli spettatori verso le performance dal vivo?
Sono sicuro che il mio DJing si sia evoluto da quando ho iniziato ma penso, fondamentalmente, che al tempo stesso le cose siano rimaste uguali per quanto riguarda l’approccio. Magari ora che sono impegnati una settimana sì e l’altra pure, per me è diventato fondamentale il modo in cui le cose sono organizzate attorno a me, dev’essere tutto veloce, facile, immediato, curato. Luci spente, un buon impianto, una console dove non c’è nessuno e vengo lasciato in pace a fare il mio lavoro… Se le condizioni sono queste, penso di poter dare qualcosa di buono alla gente che mi viene a sentire, perché sono nelle condizioni di dare del mio meglio. L’ho già detto in altre interviste: voglio essere visto come un artista e rispettato come tale, il che significa anche essere lasciato tranquillo nel poter decidere di fare quello che mi sembra giusto fare al momento, senza dover accontentare nessuno per forza. Non voglio essere un “entertainer”, uno insomma dal quale ci si aspetta che esegua ciò che la folla vuole di volta in volta e che sia compiacente anche nel modo di porsi. Qualche anno fa è partita la mia campagna Enjoy Right Now e la cosa migliore è che negli ultimi due anni ho visto come i miei followers e fan hanno davvero rispettato questa mia iniziativa: “proteggendomi” durante i miei show, chiedendo alle persone di mettere via le macchine fotografiche e di concentrasi solamente sulla mia musica.
Ti mantieni occupato attraverso una serie di attività – produzione, DJing, lavorare per una label. Quali dei seguenti scenari è più gratificante: rilasciare una traccia che ti rappresenti in pieno, suonare un set puro ad un party perfetto o scoprire e suonare la traccia di un producer sconosciuto?
Sono tutti momenti gratificanti, ma la sensazione più bella resta quella che ti dà un DJ set dove tutto è al top. Sono un DJ prima di tutto e lo sarò sempre quindi quando in quel campo si ricrea la situazione perfetta l’emozione che sento, guarda, non si può nemmeno descrivere a parole da quanto è intensa.
Come pensi sia cambiato il ruolo e l’importanza di un resident da quando hai iniziato?
Penso che il resident sia un ruolo vitale e purtroppo lo vedo trascurato nei posti dove suono. Per quanto, per me, sia formidabile essere un ospite fisso ogni fine settimana la realtà è che molti club non hanno l’abilità di valorizzare i loro resident per un motivo molto semplice: ogni weekend hanno una guest che suona nel momento principale della serata. L’unica via dove si può imparare realmente è avere uno sbocco per la propria arte, e avere una residency di qualità è il modo esatto per crearla.
Com’è nata la tua residence al Berghain?
Ci ho suonato per la prima volta nel 2010 e ho pensato che gli fosse piaciuto il modo in cui avevo suonato… il resto è storia!
Qual’è il tuo punto di vista, oggi, sull’importanza e rilevanza della label? E pensi che abbia ancora senso fondarne di nuove?
Sicuramente le label sono ancora importanti, ma penso anche, che ora, ci siano troppe release. Troppe nuove label nascono ogni settimana. Il mercato, al momento, è un po’ inondato tra il digitale e il vinile: c’è troppa scelta per le persone, il che significa un sacco di musica che viene trascurata e mai del tutto digerita dagli ascoltatori. Io continuo a pensare che l’importanza di far partire una nuova label stia nel promuovere LE PROPRIE produzioni come artista, dare invece vita ad una label le cui uscite sono simili a quelle di altre label, beh, non aggiunge nulla di nuovo. Per quanto riguarda le mie, di label, Hush è quella dedicata a far uscire le mie proprie produzioni mentre Mistress è quella dove do spazio ad artisti emergenti o ancora sconosciuti; in quest’ultima qualche artista già noto e il cui nome gira parecchio è passato, ma ce ne sono molti che fai davvero fatica a trovare da altre parti.
Cosa ne pensi riguardo la chiusura del Fabric?
E’ un peccato, naturalmente. Per quanto sia triste vedere il Fabric chiuso, è un segno di come vanno le cose quando lo stato e il business vincono sulla libertà artistica e sui luoghi d’intrattenimento. La realtà è che i club e gli artisti arrivano in zone inizialmente per nulla appetibili e sono proprio loro a renderle invece popolari ed affascinanti, sono loro ad attrarre persone in quei posti prima non considerati – però sono loro i primi ad essere cacciati in modo brutale quando gli investitori fiutano che lì si può fare del gran business immobiliare. La gentrificazione è una cosa che non puoi fermare ma, secondo me, se scegli di spostarti in una zona popolata, dove ci sono club, bar, eccetera scegli di vivere in mezzo al caos, lo sai, ne sei consapevole: i luoghi d’incontro devono essere protetti come erano prima (ed è la loro presenza il motivo per cui la zona è fiorente ed accattivante).
Infine, vorrei chiederti che eredità pensi di lasciare nel mondo della musica elettronica. Spesso si vede come il nome di un’artista sia accomunato al contesto o al posto in cui è vissuto e dal proprio biglietto da visita – “Ben Klock il boss della techno di Berlino” oppure “Moodymann l’istituzione dell’house di Detroit”. Alla fine, dovendo fare una scelta, che parola preferiresti esser letta prima del tuo nome, e hai qualcosa di nuovo che bolle in pentola?
Non saprei che dirti. E’ difficile pensare o parlare di se stessi in quel contesto. Lavoro duramente su quello che faccio, sperimento, forzo i miei limiti, cerco di essere onesto e trasparente nelle mie azioni e parole riguardo la musica e come mi fa sentire. Non riesco insomma a rispondere a questa domanda, perché quello che sarà la mia “eredità” o il modo in cui sarò visto dalla gente non dipende da me. Posso solo continuare a fare le cose come le ho sempre fatte, sperando che le persone continuino a seguirmi ed ascoltarmi. Il prossimo progetto è un nuovo disco in uscita a dicembre per HUSH 20. Ci saranno delle sorprese!
ENGLISH VERSION
We had the pleasure, once again, to interview an artist who represents the history of techno, DVS1. In this interview, as well as telling us about the most important steps in his career, we also discussed how the live entertainment and the music industry is developing through the years (one of the hottest topics of the moment included – the closing of Fabric club in London). This is what came out. Enjoy.
In my opinion, one of the more fascinating aspetcs of your career to this points is your origin, specifically your Minneapolis roots. On a global scale, Minneapolis isn’t exactly know as a techno hotbed. What advice can you give to young artists who find themselves in similar position, where their home isn’t typically looked upon as a location for spotting coming talent?
Regardless of where your from, home is important and having somewhere to develop your skills as an artist is vital. In all reality, being in a place that has less happening allows you more freedom to be individual and not be influenced by a “set” way of doing things or sounding. You can completely live in your own bubble of influence and choice and present your personal vision and aesthetic! Again, living in a city like Minneapolis, also gives you more responsibility to do things yourself, such as throwing events, building parties, attracting a crowd to come hear you. these are all things that I think are vital to seeing the big picture from all angles. Minneapolis actually has a rich history for electronic music and has had some amazing exports over the years. The reality is that we might not be the most obvious location, but anytime artist have come to play or people have looked into our history, they are always surprised by the level we are able to represent!
As compared to when you started performing live, you think you have changed the approach of the audience to the live performance?
I’m sure my DJing has evolved from when I started, but I think fundamentally I am still the same in my approach. Maybe now that I’m always in front of crowds week in and week out, I try and find my comfort in how things are set up quicker and more directly to my enjoyment. I believe that if I’m comfortable with the lights being off, the monitors being good, the booth being clear of people…then I feel safe to let go and when I let go the people will get the best possible version of me. I’ve said it a few times in past interviews. I want to be seen as an artist and respected as one in terms of being left alone to perform what I feel is needed in that moment. I don’t want to be an entertainer that is expected to “deliver” what the crowd wants each time. A few years ago I started my “enjoy right now” campaign and the best part about this is that over the last 2 years I can see that my followers and fans have really respected this and even protected me at shows by asking people to put down their camera’s and leave me in my space to just focus on music!!
You keep yourself occupied via a number of endeavors — producing, DJing, running a label. Which of the following scenarios is most rewarding: releasing an absolutely cracking track of your own, playing a pristine set at a perfect party, or uncovering and putting out music from a previously unknown producer?
They are all rewarding, but in the end I would say playing a set is at the top. I’m a DJ first and will always be, so the feeling when everything goes right is beyond words.
How do you think has changed the role and importance of a resident since you started?
I think residents are vital and are unfortunately overlooked at most places I play. As much as it’s great for me as a guest to be booked every weekend, the reality is that many clubs never have the ability to build their resident’s because every weekend they have a guest that plays the main spot. The only way someone can really learn and develop is to have an outlet for their art and having a residency is exactly what that creates.
How did your residence at Berghain start?
I played in early 2010 and I guess they liked what they heard..the rest is history!
What is your point of view, today, about the importance and relevance of the label? and you think it still makes sense to found new ones?
Of course the label is still important, but I also think that now there are too many releases at the moment. Too many new labels starting every week. The market is a bit flooded at the moment between digital and vinyl there are too many options for people which means a lot of music is overlooked and never fully digested by the intended audience. I do still see the relevance in starting a label for YOUR OWN productions as an artist, but just to start a label releasing the same people that another label is already releasing is just repeating and unfortunately adding nothing new. For my labels, hush is reserved for just my productions and mistress is where I try and release new/unknown artist. I’ve had a few known artist on the label, but ones who don’t release everywhere to keep it special.
What is your view about the closure of Fabric?
It’s unfortunate of course. As much as its sad to see fabric go, its more of a sign of things to come when governments and big business win over artistic freedom and entertainment venues. The reality is that club and artist come into areas that most people aren’t interested in, they make it unique and popular and attract people only to be forced out when developers realize the area is a potential hot bed for future business. Gentrification is one thing, you can’t stop that, but in my opinion, if you choose to move to a populated area where there is a club or bars etc, it is your choice to live amongst the chaos, the venues should be protected as they were first there and are the reason why the area is thriving!!
Lastly, I wanted to ask you about your legacy. You often see an artist’s name framed within the context of the place they reside and their utmost calling card — “Berlin techno don Ben Klock” or “Detroit house institution Moodymann”. At the end of the day, given the choice, what would you prefer the words preceding your name to read, and you have something new in store?
I’m not sure. It’s difficult to think or talk about yourself in that context. I work hard at what I do, I try and always push my own boundaries, I try and be honest and transparent in my actions and words when it comes to this music and how I feel about it. I can’t answer that because it’s not up to me what my legacy will be or what people will frame me as. I can only keep doing things as I’ve always done them and hope people will keep connecting and listening. Upcoming project is a new HUSH 20 record coming pretty soon in December. There will be some surprises!