In questi giorni faremo qualcosa di molto speciale. Perché speciale nel suo piccolo è quello che accade a fine mese, il 29 marzo, che sarà anche il coronamento di una mini-serie di articoli/interviste che parte con queste righe che state leggendo: esce “La commedia”, il nuovo album de Il Quadro Di Troisi, il progetto prima a due – nato da Donato Dozzy ed Eva Geist – ora diventato a tre, con l’aggiunta nella formazione ufficiale di Pietro Micioni. Ma al di là del nucleo forte della band, di cui abbiamo parlato in passato e di cui ovviamente riparleremo, ciò che troviamo affascinante del Quadro è il tipo di energie creative che riesce a catalizzare, la scia di collaboratori che finisce per entrare nella galassia generata dalla lavorazione dell’album.
D’altro canto, nulla di strano. Sia Donato che Eva sono dei catalizzatori sopraffini di energie di un certo tipo: oltre ad essere grandi artisti di per sé, sono infatti delle “menti musicali” che amano ragionare parecchio sull’intessere network basati su affinità creative ed operative “pure”, invece che su calcoli manageriali. Il primo di questa serie di feature che ci accompagneranno via via fino alla release dell’album è già una faccenda notevole: magari il nome Stefano Di Trapani, se non siete di Roma, non vi dice troppo (però ha lasciato segni importanti, con l’avventura collettiva Borgata Boredom di cui è stato esponente di punta, la co-produzione dell’esordio di un ancora sconosciuto Calcutta, un’infinità di release abrasive ed interessanti su label di mezzo globo, anche già un’avventura con lo stesso Dozzy sotto la sigla Mantenna); se siete però lettori di cose di musica il suo nom de plume giornalistico, Demented Burrocacao, è da sempre la garanzia di trovare degli scritti di alta, altissima qualità. Brillanti nello stile, forti nelle opinioni, informatissimi sui fatti – perché la conoscenza di Stefano è davvero enciclopedica, tanto quanto è forte il suo piglio senza mezze misure. Anche lui ha fatto parte della creazione de “La commedia”. Abbiamo parlato di questo, ma anche di altro. Ed è, come inevitabile, come potete vedere voi stessi, una conversazione ad alta qualità.
Quando per la prima volta il Quadro di Troisi – o qualcuno dei suoi fondatori individualmente – ha incrociato la tua vita? Che ricordi hai di quei primi incontri?
Beh innanzitutto con Andrea (Eva Geist, ndr) ci conosciamo da quasi una ventina d’anni se la memoria non m’ inganna: abbiamo collaborato e diviso moltissimo nel contesto dell’ underground musicale romano ed europeo, coi nostri progetti solisti e di gruppo. Poco prima della fondazione de il Quadro condividevamo una serie di ascolti che sono confluiti senza dubbio nel progetto. Poi nella vita di Andrea è entrato Donato, che conoscevo solo di fama: me l’ha presentato proprio durante le registrazioni del primo disco, e poi in un’ altra occasione – sempre durante le session – ho incontrato anche Pietro che ho scoperto avere le mie stesse origini borgatare ( conoscevo già il fratello Paolo perché avevamo suonato insieme alle serate Discolooser). Sicuramente sono stati quei momenti in cui la novità entra nel tuo raggio d’azione e ti senti particolarmente curioso ed aperto al confronto, soprattutto perché ti trovi di fronte a persone di grande talento con le quali si può fare molto e dalle quali si può imparare molto. E per le quali è facile provare affetto.
Com’è stato lavorare a questo disco? Quale è stato il tuo apporto – e soprattutto, quali sono state le indicazioni che hai avuto?
Avendo già partecipato nel primo disco con un mio brano – “L’ipotesi” – mi è stato chiesto di ripetere l’ esperimentoe allora ho portato “La terra”, che era praticamente pronto testo e musica: il ritornello è stato scritto da Andrea se non erro, perché inizialmente la struttura non lo prevedeva, e ci sono state delle piccole modifiche in alcuni punti, ma in generale è un brano che vive di vita propria in quanto l’ ho sognato da cima a fondo. Semplicemente una notte mi sono svegliato ed era tutto lì, c’era solo da metterlo su carta immediatamente: sono quelle cose assurde in cui l’ autore alla fine è il subconscio o qualche entità spaziale, non saprei come descriverlo altrimenti. C’è anche da dire che all’ inizio – era il 2009 – inviai il provino a un contest che l’entourage di Patty Pravo aveva istituito per cercare brani inediti di autori nuovi da affidare alla cantante. Poi non so se fosse una mera mossa promozionale, perché il disco lo fece con Sangiorgi dei Negramaro e con alcuni produttori diciamo non proprio in erba. A quel punto mi sono tenuto il pezzo nel cassetto ma l’avevo già proposto ad Andrea nello stesso periodo, perché una volta che c’è la sua voce si può anche glissare su Patty (magari un giorno chissà, quest’ ultima ne farà una cover). Ci sono voluti anni e anni, ma alla fine la canzone è uscita: segno che i sogni raramente sbagliano. Riguardo le indicazioni direi nessuna: ci sono stati sicuramente diversi confronti (anche accesi!) sulla materia, ma l’ultima parola sull’arrangiamento rimane sempre la loro ovviamente, quindi non servono indicazioni. Ad ogni modo, ho proposto di suonare una sorta di “violino indiano” nel pezzo e la cosa è stata accolta di buon grado: quindi quando l’idea è buona, il Quadro risponde in maniera altrettanto buona.
Mi rendo conto che è una domanda bastarda, ma non resisto: come recensiresti questo disco? O almeno – come faresti iniziare la recensione?
Fa ridere ma il primo disco del Quadro l’ho recensito davvero, su Rolling Stone (una delle principali testate con cui Stefano collabora, ndr)! Per cui non sarebbe la prima volta. In quel caso dissi che era una sintesi del pop italiano sperimentale/ elettronico atta a giustificare un rinnovamento nella continuità del passato, e per questo puntava allo status di classico. In questo nuovo album, invece, lo status di classico è superato: anzi, direi che siamo al neoclassico, e in questo periodo storico di particolari obbrobri musicali credo che la cosa sia una forma di resistenza piuttosto interessante. Se poi vogliamo essere più precisi, direi che è uno dei dischi manifesto del “nuovo cantautorato elettronico Italiano” come teorizzato da Patrick Paulin, il figlio del rinomato Flavio, un campo che secondo me crescerà sempre di più e diventerà un fenomeno importante. Probabilmente scalzerà tutto questo pop trap r’n’b scamuffo che in Italia ancora impera, nonostante sia stradigerito e stracacato all’ estero.
Fino a che punto “La commedia” è un disco retromaniaco, secondo te?
Io credo che sia principalmente un disco molto personale, al di là delle sonorità o dei riferimenti. Concentrarsi sulla forma canzone è qualcosa che si sta perdendo: non dico che sia per forza necessario rimanere su quelle assi, uno può anche demolirla, ma per demolirla devi comunque averla ben presente. Mi sembra che in questi ultimi anni ci sia più ignoranza sulla materia che reale spinta a trovare un modo per emozionare. Il disco del Quadro invece parte proprio dal discorso delle emozioni, che se sono “retromaniache” allora possiamo pure smettere tutti di suonare. A parte ciò ricordiamoci che la Raster è dietro la pubblicazione, un’ etichetta che non mi pare si sia mai cagata cose retromaniache, anzi… Nel progetto ha visto un approccio che mancava nell’ elettronica internazionale e che fondamentalmente nasce dal nostro patrimonio storico senza essere però intriso di retorica, come spesso invece accade quando si parla dello Stivale.
Sei uno dei non tantissimi che vale sempre la pena leggere e che soprattutto non ha assolutamente paura di schierarsi, quando si tratta di scrivere di musica. Esiste un futuro per il giornalismo musicale fatto in un certo modo, o diventerà tutta materia da social media manager coi loro bei piani editoriali e testi discretamente inoffensivi e preconfezionati, che non scontentano nessuno?
Innanzitutto ti ringrazio per i complimenti, e ti rispondo dicendo che saranno molte le testate musicali a fallire, perché hanno completamente perso la bussola cercando di dare alla gente quello che vuole, appunto non scontentando nessuno (Vice Italia è solo l’ inizio di un effetto domino). Ma lo scrivere di musica non deve essere giornalismo: il giornalista non è mai onesto, soprattutto oggi in cui mira solo a creare hype. Per questo dobbiamo confidare in chi scrive per passione e non per il tesserino: è importante il futuro della musica,non del giornalismo. Sarebbe auspicabile che a un certo punto si parli solo di emeriti sconosciuti, album mai filati, segreti musicali mai confessati: se questo non accadrà sono certo che le fanzine ( digitali a questo punto) torneranno ad essere centrali, e saremo quindi tutti comunque salvi.
Com’è messa Roma, oggi? Ed è una domanda a sfondo non solo musicale, perché mi sa che i piani si intrecciano…
Roma cade sempre in piedi perché, è come il saggio che siede sulla riva del fiume aspettando il cadavere del nemico. E questo anche musicalmente: a buon intenditor…
(foto di Sdio Canato)