Da tempo su Soundwall seguiamo anche cose jazz, così come ancora da prima abbiamo sempre buttato un occhio sull’hip hop: nel grande “family tree” a cui appartengono techno e house, sono snodi fondamentali e quindi per ampliare e rendere più profondo il nostro sguardo ci è sembrato sempre più importante dedicare spazi anche a queste due musiche. Soprattutto quando per innovazione artistica o importanza popolare hanno degli statement molto forti e/o significativi da mettere in campo.
E’ per questo motivo che avremmo voluto parlare di JAZZMI, presentandone l’edizione 2022 prima del suo inizio. Poi succede che quando pensavi di avere tempo poi non ne hai più, quando pensavi di poter fare certe cose arrivano imprevisti a scombinarti i piani. E ti maledici un po’. Perché così come si parla parecchio volentieri dell’ottimo Torino Jazz Festival da quando si è rinnovato, allo stesso modo un festival jazz nuovo e della mentalità aperta in una città cruciale (eufemismo…) come Milano merita davvero esposizione di per sé.
Senza essere un Jazz:Re:Found, che nel “superamento” del jazz (o nelle tracce di jazz in musiche “altre”) ha la sua ragion d’essere, JAZZMI fin da subito ha guardato con molta curiosità ed anche molta competenza al nostro mondo. Nell’edizione 2022 questa cosa si può tradurre nella presenza di Jeff Mills in primis, ma anche nell’accoppiata Venerus / Casino Royale in un live speciale, nei Cinematic Orchestra, in Alfa Mist, nei C’mon Tigre, anche nella riesumazione dei Matt Bianco, così come nell’essere andato ad espandersi territorialmente anche in culle attuali o future del clubbing (vedi i concerti che si sono svolti ad Arca – ecco, su Arca ci torneremo).
Ed è proprio questo approccio “moderno” che sta dimostrando di essere un successo ed un valore aggiunto. Non è solo questione di mirare in modo paraculo a più target, fosse così non funzionerebbe, occhio, rientrerebbe nella categoria di “Chiamo quello pop così magari mi porta gente” (e in passato siamo stati piuttosto critici con chi ha agito in questo modo). Agire in questo modo – e farlo con coscienza e competenza, non per mera convenienza – ti aiuta ad essere inserito nei lati più dinamici dei “discorsi globali” sulla musica. Catturando così anche una città difficile come Milano.
…e ora direte: Milano città difficile? Ma come? Ma quando? Ma de che? Allora. E’ vero che Milano si sta succhiando persino troppo le attenzioni e le risorse dell’ecosistema musica, in Italia, con tutta l’industria che è lì e la stragrande maggioranza dell’attività live che si concentra lì nelle sue declinazioni più importanti. Così come, a livello di clubbing, da un decennio è la città che più fa e meglio sta. Altrove i locali chiudono e fanno fatica, qua resistono, si innovano e in più di un caso prosperano pure (…avendo avuto l’accortezza di rinnovarsi un decennio fa, quando il panorama era da troppo tempo statico e/o inutilmente poco solidale). Tutto questo è tutto vero. Ma Milano ha sempre avuto un grande problema: i festival.
Lo scrivevamo presentando l’edizione di quest’anno di Polifonic, che si sdoppiava tra la tradizionale Puglia e la “nuova” Milano, in uno sforzo notevole (e giocato con grande gusto nel comporre la line up). I risultati poi, a Milano, non sono stati all’altezza delle aspettative e degli sforzi artistici e produttivi. Il che per l’ennesima ha fatto pensare – memori anche della parabola di Elita – come a Milano non sia possibile fare dei festival, o meglio, farli funzionare a dovere. La gente consuma tantissima musica (ascoltata dal vivo, ballata nei club), probabilmente più che in ogni altra parte d’Italia, e nonostante questo (…o proprio per questo?) ogni tentativo di mettere dei festival stabili si è progressivamente arenato nel fallimento. Forse chi già si nutre tanto durante l’anno ad intervalli regolari non ha bisogno del “grande evento” una tantum; forse a Milano i “grandi eventi” ci sono già, quelli offerti dai brand dell’alta (o media…) moda o in generale da quelli che reputano fondamentale investire decine, centinaia migliaia di euro in comunicazione. Ecco che quindi si “sazia” la fame da festival: e lo si fa con artisti in campo elettronico (molto spesso: il dj è la cosa più facile da chiamare), hip hop, rock.
Il jazz sfugge a questa tenaglia dorata. I brand per ora non lo cannibalizzano, col loro “eventismo”. Ed ecco allora che se riesci a fare le cose bene, con piglio e sguardo moderno ma al tempo stesso con attenzione ai fondamentali, evidentemente le cose possono funzionare. E a JAZZMI funzionano eccome. Quest’anno come non mai, tra l’altro. L’edizione 2022 si chiude con 50.000 presenze complessive. Non tutti paganti, niente eventi clamorosi, ma di sicuro una grande messe di sold out e un coinvolgimento della città che è stato reale, concreto, tangibile, voluto e ben organizzato. Per la città di Milano, questo è un grande arricchimento.
Lo sarebbe avere anche un festival di elettronica. Chi ci ha provato finora ha operato con inappuntabile conoscenza in campo musicale (appunto: Elita prima, Polifonic quest’anno), ma non è mai stato realmente premiato dai numeri rispetto ai meriti ed alle aspettative. Il pubblico milanese dell’elettronica è sazio? Si accontenta delle serate nei club? Si sente più figo ad andare ad Ibiza e Berlino, se deve spendere più del solito, o nei festival a Barcellona, Londra, Stati Uniti? E, altra domanda: il pubblico non milanese (sì, esiste anche quello, anche se Milano nel suo milanocentrismo talora manco se ne ricorda…) non ha quindi nessuna voglia di viaggiare fino a Milano per un evento specifico, perché non percepisce la città come una meta turisticamente desiderabile?
Lanciamo questi interrogativi. Non secondari. Con la certezza che JAZZMI ha fatto molto bene a Milano.
E senza l’aiuto di un brand, o di una Qualcosa Week.
Meriterebbe lo stesso anche l’elettronica, quando pensata bene, presentata bene, organizzata bene.